A cura di Federica Comito
Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta di Villa Farnesina. Ci troviamo ancora al pian terreno e, oltrepassando la porta sotto il pennacchio con Mercurio nella Loggia di Psiche, si giunge alla Sala o Stanza del Fregio che prende il nome dal fregio che corre lungo tutto il perimetro della stanza e la decora. Si tratta di un ambiente molto più piccolo rispetto alle stanze precedenti e, presumibilmente riservato a trattare affari privati, fungeva da studiolo privato di Agostino. È la sala in cui sono state lette le ultime volontà di Agostino dopo la sua morte, avvenuta l’11 aprile 1520. È stato il primo ambiente ad essere decorato nella Villa ed è anche una delle prime opere pittoriche di Baldassarre Peruzzi a Roma, per questo motivo lo stile risente ancora delle esperienze senesi del pittore.
La decorazione
La stanza presenta un soffitto a cassettoni suddiviso in forme geometriche con all’interno motivi floreali e vegetali a rilievo, dipinti d’oro su fondo blu o rosso. Sono presenti due iscrizioni in latino con lettere dorate su fondo blu rispettivamente sul lato nord e sul lato sud; volute da Salvator Bermudez de Castro duca di Ripalda e ambasciatore di Spagna alla corte di Francesco II di Napoli, in cui dichiara ti aver effettuato dei restauri alla Villa nell’anno domini 1863. Alle pareti invece, erano forse appesi degli arazzi.
Una cornice dorata raccorda il soffitto alle pareti, sotto di essa il fregio dove vengono ripresi motivi mitologici affrescati dallo stesso architetto della villa Baldassarre Peruzzi e allievi intorno al 1508- 1509. Qui colpisce l’ampio uso del giallo e del dorato tra le pareti e il soffitto, il fregio è in forte contrasto con il resto per l’uso abbondante del nero che narra, dal lato nord al lato est, le gesta eroiche di Ercole e altri miti tratti da ‘’Le Metamorfosi’’ di Ovidio. I fondi scuri sul quale si stagliano i personaggi sono realizzati dall’applicazione a secco dell’azzurrite su base scura, questa tecnica permette di dare massimo risalto alla preziosità delle figure.
Nel fregio sulla parete ovest sono raffigurate le seguenti scene:
- una ninfa con dei satiri.
- Bacco e baccanti.
- il satiro Marsia sconfitto con l’inganno da Apollo in una gara musicale mentre viene scorticato vivo per punirlo della sua superbia.
- il mito di Meleagro: la caccia a un cinghiale spaventoso inviato da Atena arrabbiata per le mancate offerte. Alla caccia partecipa anche una ragazza di nome Atalanta non sopportata dagli altri cacciatori, mentre Meleagro se ne innamora. Una volta abbattuto il cinghiale le dona pelle e zanne come trofei, questo scatena l’ira degli zii. Meleagro li uccide dando inizio a una faida famigliare con altri omicidi. Le Parche, che avevano assistito alla nascita di Meleagro, ne avevano predetto la morte quando il tizzone che bruciava in quel momento sul fuoco fosse stato consumato. Allora Altea, madre del ragazzo, nasconde il tizzone per tenere al sicuro il figlio. Le Parche fanno visita a quest’ultima e la invitano a gettare il tizzone nel fuoco cosa che Altea, incollerita per l’uccisione dei fratelli, esegue per poi pentirsene quando Meleagro muore.
- Il mito di Orfeo: Orfeo con uno strumento simile ad una viola, probabilmente la lira del mito, incanta gli animali grazie al meraviglioso suono che produce. Orfeo andato a riprendere Euridice negli Inferi, si volta a guardarla e, quest’ultima, viene quindi ritrascinata nell’ade a causa dell’impazienza dell’amato. Orfeo decidendo di non unirsi mai più ad altre donne, e forse preferendo i fanciulli come suggerisce Ovidio nel decimo libro delle Metamorfosi, viene picchiato a morte da un gruppo di Menadi. Anche se non è presente nell’illustrazione, il mito narra che la testa di Orfeo abbia continuato a cantare, dopo essere stata separata dal corpo e gettata nel fiume Ebro.
Nel fregio della parete nord sono affrescate dieci delle “dodici fatiche di Ercole” separate da tronchi d’albero:
- Ercole e il leone di Nemea;
- Ercole e i centauri;
- L’uccisione degli uccelli Stinfalidi;
- Ercole e l’Echidna, metà donna e metà serpente, madre del leone di Nemea, di Cerbero, dell’Idra di Lerna e altre mostruosità;
- Ercole e Cerbero;
- Ercole che combatte contro l’Idra;
- Il re Diomede che lo dà in pasto alle sue cavalle;
- Ercole contro il toro di Creta;
- Ercole contro Anteo il gigante che, essendo figlio di Gea (la terra) da cui traeva la forza, dovette essere ucciso sollevandolo dal suolo;
- La lotta con Gerione, al quale Ercole ha rubato i buoi.
Nel fregio della parete est troviamo ancora, a completare il ciclo, le ultime due fatiche di Ercole:
- Ercole che sostituisce Atlante per sostenere la volta del cielo;
- Ercole e il cinghiale di Erimanto.
Una statua femminile chiude la saga Eraclea. Agostino Chigi fa rappresentare in diverse occasioni la figura di Ercole all’interno della loggia, probabilmente appassionato dai miti che lo vedono come protagonista. Baldassarre Peruzzi riesce proprio nell’intento di glorificare il padrone di casa attraverso le fatiche di Ercole.
Continuando le scene affrescate sul fregio troviamo:
- Il ratto di Europa. Dall’unione tra Europa e Giove nascerà Minosse;
- Danae adagiata sul letto accoglie Giove sotto forma di pioggia dorata, dall’unione nascerà Perseo;
- Il mito di Semele: Semele, altra fanciulla amata da Giove che gli generò Dioniso, convinta da Giunone che aveva preso le sembianze della nutrice di far apparire Giove sotto le sembianze di Dio, muore colpita dal fulmine divino;
- Il mito di Atteone, trasformato in un cervo da Atena e sbranato dai suoi cani da caccia.
Altri episodi riguardano Re Mida, che vanno letti da destra verso sinistra, concludono la parete:
- Dioniso, mosso da pietà per il Re stolto che aveva chiesto di poter trasformare tutto ciò che toccava in oro, gli svela come liberarsi dall’incantesimo bagnandosi alla sorgente di un fiume;
- L’episodio in cui Re Mida assiste alla gara musicale tra Apollo e Pan e mette bocca nella contesa che vedeva vincitore Apollo, tanto che il dio permalosissimo gli fa crescere due orecchie d’asino. Anche qui la cetra di Apollo ha piuttosto l’aspetto di una viola;
- Un corteo marino con Poseidone, la moglie Anfitrite e il figlio Tritone su un carro che seguono il corteo che si snoda per l’ultima parete.
Nell’ultima parete, quella a sud, è affrescato un corteo marino: amorini che si divertono a pescare o si trovano sul dorso di delfini, altri personaggi che portano anfore, gruppi di famiglie di tritoni. Suscita qualche dubbio la presenza di una divinità fluviale che ha fatto pensare che il corteo si svolgesse in un fiume piuttosto che a mare.
Le scene allegoriche raffigurate, probabilmente fanno riferimento ad alcuni aspetti del carattere del padrone di casa Agostino Chigi. Sono raffigurate nell’intero fregio oltre 150 figure, questo dimostra la capacità sintetica e pittorica di Baldassarre Peruzzi nell’illustrare le scene importanti e rappresentarle fornendo una linearità alle storie. L’interpretazione complessiva è generalmente riferita al contrasto tra ragione e passione, tra sfera apollinea e sfera dionisiaca.
Questi cicli pittorici sono stati di grande ispirazione per altre Ville Romane, pensiamo al fregio di Palazzo Leopardi a Trastevere in cui è raffigurato un fregio mitologico fluviale che ripercorre gli stessi modelli e, in qualche modo, accentua la dimensione plastica e dinamica di quello di Baldassarre Peruzzi. Ci sono alcune figure quasi identiche ma c’è un cambiamento di linguaggio, di cromia, quasi un’accentuazione grottesca, mentre Peruzzi è più legato ad un equilibrio classico e ad una ricerca di raffinatezza.
Il restauro della Sala del Fregio
Tra il 2003 e il 2011 si svolge un restauro ad opera dell’Istituto Centrale per il Restauro nella Sala del Fregio. Prima dell’intervento di restauro, nella sala era presente un tessuto monocromo fissato con una sorta di punti metallici alle pareti. Il tessuto che tappezzava l’intera sala era riconducibile circa agli anni 1950-60. Grazie però alla documentazione fotografica antecedente e a saggi effettuati all’inizio dell’intervento, è stato possibile recuperare l’immagine complessiva dell’ambiente di come questo appariva alla fine dell’800. Le pareti erano caratterizzate dalla presenza di una decorazione a finti drappi, dipinti su carta applicata al muro che, agganciati alla cornice dipinta sotto il fregio figurato, ricadevano a coprire quasi interamente le pareti per 150 cm da terra. Lo stato conservativo si presentava critico, in particolare nell’angolo nord-est della parete a causa di pregresse infiltrazioni d’acqua e per le ampie lacune della decorazione a finti drappeggi, dovute ad ampi rifacimenti delle murature. Dopo il restauro del fregio con le storie mitologiche è stato affrontato il completo recupero delle superfici dipinte della sala, ossia il soffitto e le pareti. Si è poi giunti, attraverso il lavoro interdisciplinare di un’equipe di specialisti (architetti, storici dell’arte, restauratori, chimici e fisici) a una riproposizione organica dell’aspetto della sala così come si presentava alla fine dell’‘800. All’epoca infatti, la decorazione a drappeggi con i parati in tessuto rendeva le quattro pareti monocrome solo in funzione di un’esaltazione e di un ‘isolamento’ del fregio cinquecentesco, in quanto brado decorativo più importante. L’intervento particolarmente delicato e complesso, perché tiene conto delle tecniche esecutive utilizzate in origine e del pessimo stato di conservazione delle superfici dipinte, ha richiesto la messa a punto di un procedimento tecnico sperimentale appositamente progettato e realizzato dopo numerosi studi e test.
La “Saletta pompeiana”
Accanto alla Sala del Fregio si trova un ambiente più piccolo che mostra delle decorazioni risalenti al tempo del duca di Ripalda, 1861-63. Questi due ambienti sono sempre stati utilizzati come uffici o come studi privati dei vari padroni di casa, fino a giungere agli anni Trenta con Guglielmo Marconi, presidente dell’Accademia d’Italia, che decide di usare la Sala del Fregio come studio, e fa trasformare l’ambiente più piccolo in un bagno privato con anticamera. La Sala, nel primo Cinquecento, era un semplice pianerottolo della scala che scendeva alle cucine di Agostino Chigi. Nell’Ottocento, grazie a una serie di interventi fatti eseguire dal Duca di Ripalta, Salvador Bermúdez de Castro, viene invece trasformata in una splendida camera ornata con decorazioni ispirate allo stile pompeiano, da qui il nome “Saletta pompeiana”. In quegli anni infatti, gli scavi di Ercolano e Pompei, la riscoperta di Paestum, le sepolture con ricchi corredi messi in luce nell’antica Magna Grecia, appassionavano la nobiltà e la borghesia del XIX secolo. Da qui l’ispirazione per la realizzazione delle decorazioni ottocentesche della Villa, affascinanti riletture dei modelli antichi in chiave neoclassica e romantica.
Conclusione
In tutta la villa è forte il gusto rinascimentale di ritorno alla classicità rivisitato con i canoni del tempo, di cui Agostino Chigi si fa interprete, grazie soprattutto alla scelta di circondarsi di intellettuali e artisti di notevoli capacità. Peruzzi, per l’intera decorazione del fregio, si era ispirato a rilievi antichi, a sarcofagi e prototipi dell’età classica che Agostino Chigi, oltre ad amare profondamente, ha favorito grazie al suo mecenatismo che lo aveva addirittura portato a realizzare una tipografia nella sua Villa, trasformandola in un centro culturale di straordinario valore e di portata internazionale.
Bibliografia
Il fregio riscoperto di Palazzo Leopardi a Roma, Alessandro Zuccari.
Gli interventi dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, Francesca Romana Liserre.
Sitografia
http://www.romainteractive.com/ita/trastevere/villa-della-farnesina/sala-del-fregio.html
artemagazine.it
www.villafarnesina.it
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