A cura di Mattia Tridello
Introduzione
“Egli è qui: col suo insegnamento, col suo esempio, col suo sorriso” (San Giovanni Paolo II, omelia a Canale D’Agordo). Parole più appropriate non poteva trovarle San Giovanni Paolo II in occasione dell’anniversario dell’elezione al soglio pontificio del suo predecessore, Giovanni Paolo I, il 26 Agosto 1979, quando giunse nel paese natale di quest’ultimo per celebrare, tra un’immane folla di fedeli e abitanti del luogo, una Messa commemorativa nella piazza principale. La frase sopracitata che Egli pronunciò nell’omelia rimase impressa nella popolazione, tanto da essere visibile tuttora a chiunque arrivi o si appresti a visitare Canale d’Agordo. Incise nel legno e affisse alla facciata dell’antica Pieve (Fig. 1), le commoventi parole rammentano eternamente quella memorabile giornata e si pongono non solo come segno visibile dell’affetto degli agordini nei confronti del loro più illustre compaesano, ma specialmente come eco di un sentimento comune di amore, gratitudine e riconoscenza nei suoi confronti.
Il paesino della Valle Biòis, contrassegnato fin dall’origine da incantevoli tesori artistici e naturali, l’inconfondibile scenario monumentale delle Dolomiti, la maestosa cornice delle vette del Civetta, del Focobòn e dei Lastèi, il verde vivido e intenso dei boschi di conifere e il rombo discreto del torrente Biòis sono infatti solo alcune delle caratteristiche che rendono questi posti meta imprescindibile e irrinunciabile per gli amanti del panorama montano e per coloro che, in cerca di riparo dalla frenetica vita dei centri più popolati, vogliono ritrovare un momento di tranquillità e calma armonia all’ombra delle pinete. Oltrepassare il ponte ligneo che introduce alla piazza centrale del paese, tuttavia, non significa solamente assaporarne le bellezze naturalistiche, ma implica l’inizio di una visita tra le case che videro Albino Luciani formarsi, tra i luoghi che, più di tutti, ne conservano calorosamente la memoria e ne tramandano affettuosamente l’insegnamento evangelico.
All’interno del piccolo paese tutto parla e si fa testimone della permanenza del giovane agordino: ogni muro diventa un silenzio eloquente e trasmette il ricordo della giovinezza del pontefice, restituendone un ritratto fedele e ben documentato che cerca di far luce, più che sulle cause della morte (per le quali fiumi di inchiostro sono stati versati), sulla formazione che ha reso Don Albino il vescovo, il patriarca, il cardinale e infine il papa che tutti, chi in maniera diretta, chi per testimonianze, ha avuto modo di conoscere. Giovanni Paolo I non può quindi essere ricordato solo per la brevità del pontificato: prima dell’elezione al soglio di Pietro, nel Settembre 1978, trascorsero infatti ben 65 anni, il periodo di vita di un uomo di Dio che, fin dall’infanzia a Canale D’Agordo, orientò la sua esistenza al servizio nella Chiesa con impegno e virtù eroiche.
E’ per questo, dunque, che tale trattazione cercherà di approfondire il lato meno noto della vita di Luciani, ripercorrendone i luoghi dell’infanzia e della giovinezza arrivando, tramite la descrizione dei monumenti artistici e storici presenti nel paese natale, alla creazione di un vero e proprio itinerario attraverso i luoghi che hanno con Lui un rapporto diretto: la casa natale, la Pieve di San Giovanni Battista e il MusAL (Museo Albino Luciani).
Il contesto storico, geografico e sociale di Canale D’Agordo
“Il bacino di Agordo è uno dei più stupendi delle Alpi. Figuratevi di essere in mezzo alla cerchia dentata di una sterminata corona da re. Le montagne dolomitiche, ritte intorno come gruppi di torri e di aguglie di candido marmo, ne formano i raggi che si innalzano tanto da perdersi nell’azzurro del cielo”
Antonio Stoppani “Il bel Paese” 1876
In questo modo il presbitero, accademico, patriota e geologo italiano A. Stoppani, nel suo libro intitolato “Il bel Paese” (edito nel 1876), descrive il contesto geografico in cui è inserito Canale d’Agordo. La vallata del piccolo paese, al pari delle più note località turistiche di Falcade e Caviola, non era solo un vero e proprio gioiello naturale ma deteneva sia origini antichissime (basti pensare che una delle prime citazioni di Canale risale a una bolla di Papa Lucio III del 1185) sia uno stile di vita della popolazione assai laborioso, intriso da un forte senso del dovere e dell’onestà. Non può stupire quindi che il motto episcopale e pontificale di Luciani, “Humilitas”, (Umiltà) rispecchiasse la condizione sociale e lavorativa degli agordini nella Valle del Biois. La parola, che deriva da “humus” (terra), probabilmente voleva riferirsi anche a quella sua stessa terra natale, contrassegnata dai ritmi del lavoro nei campi ove si praticava, seppur in un ambiente sfavorevole, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, per secoli l’unico sostegno economico e alimentare delle numerose famiglie che, soprattutto in tempo di carestia, pativano spesso la fame. Verso il ‘300 le primitive attività di sostentamento vennero presto affiancate dall’industria mineraria nelle due miniere di ferro, piombo e mercurio della zona, Sass Négher e Sàis. Non tardarono quindi a nascere le prime fucine per fondere i metalli in località “I Forn” e “Medavàl”. Proprio per la presenza di numerosi forni (che fin dall’occupazione veneziana forgiavano ottime spade per l’esercito “da Mar” e “da Terra” della Serenissima) il paese iniziò ad essere denominato e chiamato “Forno di Canale”. L’antico toponimo rimase invariato per secoli, per poi essere cambiato in “Canale d’Agordo” nel 1964. Per quanto concerne l’amministrazione politica, fin dal 1411 la gestione territoriale era organizzata dalle Regole, ovvero da organismi politico-burocratici costituiti da tutti i capifamiglia che gestivano il patrimonio pascolivo e boschivo della collettività attraverso statuti che concedevano una privilegiata autonomia rispetto al potere centrale della Repubblica di Venezia. Tali organizzazioni sopravvissero sino al 1806 quando, con decreto napoleonico, vennero soppresse in favore dell’istituzione comunale. Nel paese di Luciani ve ne si trovavano ben tre, ma l’ultima testimonianza a noi visibile è un edificio datato 1640 (anche se si ipotizza un’origine antecedente) chiamato comunemente “Casa delle Regole” (Fig. 2). Situato nella piccola ma suggestiva piazzetta della frazione di Tancon, veniva utilizzato come luogo di riunione e assemblea dai rappresentanti della Regola di Forno di Canale, i cosiddetti “Capi Colmèl”.
Nel breve tragitto che dalla piazza principale di Canale arriva alla Casa in oggetto, si viene attorniati da numerosi fabbricati che hanno mantenuto, a discapito dei secoli o degli anni di costruzione, l’originario aspetto. Assieme agli altri Comuni della Val Biois (Falcade e Vallada Agordina), Canale d’Agordo vanta infatti un numero incredibile di “tabià”, i tradizionali fienili in legno delle Dolomiti. Queste suggestive opere artigianali, alcune centenarie e plurisecolari, si possono ammirare praticamente ovunque nella valle tanto da risultare difficile l’individuazione di un simile patrimonio nel resto del panorama dolomitico. Stupisce come, nel giro di poche centinaia di metri, si possa tornare indietro nel tempo, guardare gli stessi edifici in legno e muratura che anche Albino Luciani vide. D’altronde la sua casa natale, originariamente, doveva per certi versi assomigliare esternamente alle costruzioni rurali ancora visibili tra le vie del paese. Tuttora quest’ultima, grazie all’acquisizione da parte della Diocesi di Vittorio Veneto, è stata resa visitabile per permettere a qualsivoglia turista, fedele o semplice visitatore di poter osservare con i propri occhi le stanze nelle quali visse la famiglia Luciani e dove Albino soggiornò in numerose occasioni sia da Patriarca di Venezia che da cardinale pochi mesi prima del Conclave del ‘78.
La casa natale di Giovanni Paolo I a Canale D’Agordo
La casa, che dista circa 200 metri dal centro del borgo, si presenta attualmente come il frutto dei lavori di ristrutturazione avvenuti nel 1959 ad opera del fratello di Luciani, Edoardo, per ampliare la metratura interna dell’abitazione (Fig. 2-3-4). Quest’ultimo, vista anche la numerosa prole, fece abbattere il fienile che occupava interamente la parte sud del fabbricato per costruirvi i servizi igienici e altre stanze. Tuttavia la zona nord della casa rimase pressoché invariata, continuando a custodire gli ambienti originali dell’infanzia e dei primi momenti di vita del piccolo Albino.
L’itinerario di visita inizia dal piano terra dove, dopo essere entrati nella stalla, si vieni introdotti in un corridoio su cui si affacciano la cantina (utilizzata come ripostiglio e luogo di lavoro invernale da falegname del padre di Albino, Giovanni) e il vano scale. Salite le pedate in legno ci si appresta a visitare il primo piano, caratterizzato dalla “zona giorno” e dalla “zona notte”, il luogo che custodisce la memoria dei primi pianti da neonato del pontefice. Dopo aver oltrepassato il piccolo camerino si trova, infatti, la cosiddetta “stùa”, la stanza dove Bortola Tancon partorì Albino il 17 Ottobre 1912 (Fig. 5). Lo spazio, che all’epoca di Luciani era il più caldo della casa, veniva riscaldato dalla tipica stufa montana (fornèl) in ceramica (Fig. 6) alimentata a legna dalla cucina adiacente tramite un piccolo sportellino in metallo. Così facendo l’ambiente risultava idoneo per permettere il parto, tanto che qui vedranno la luce anche gli altri famigliari del papa, inclusi il fratello e i nipoti. La stanza, tuttavia, fu legata indissolubilmente ad Albino poiché, come si può leggere dall’atto di Battesimo, per imminente pericolo di vita vi fu anche battezzato da parte della levatrice Maria Fiocco, che aveva aiutato la madre durante i difficili momenti del travaglio. Il Sacramento del Battesimo fu completato due giorni dopo al fonte battesimale della Pieve del paese.
Continuando la visita, sullo stesso piano si può notare la cucina dove spesso i famigliari si ritrovavano attorno alla tavola e dove Luciani, prima da vescovo e poi da patriarca, era solito sedersi sulla sedia che dava le spalle alla finestra (Fig. 7). Proseguendo per il lato sud dell’abitazione si può trovare la stanza da letto dove il futuro papa riposava quando veniva in visita alla casa natale, l’ultima volta in cui la utilizzò fu pochi mesi prima del Conclave.
L’infanzia di Albino, che coincise con gli anni del primo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra, trascorsa tra le mura di casa, la chiesa parrocchiale e la scuola, fu segnata innanzitutto dalla presenza della madre Bortola. Donna ispirata da una portentosa fede e forgiata dai retti valori dell’onestà, del duro lavoro e dell’attenzione al prossimo, divenne senz’altro un punto cardine nella formazione umana e cristiana di Luciani. Accanto alla figura materna, colui al quale il giovane fu molto legato fu senz’altro l’arciprete don Filippo Carli. Costui, dopo numerosi incarichi sparsi per la valle, venne chiamato dal vescovo a reggere l’importante e antica Pieve di San Giovanni Battista di Canale d’Agordo dove Albino svolgeva regolarmente il servizio di chierichetto. L’attenzione ai giovani e ai nuovi metodi della comunicazione del Catechismo fecero del parroco una profonda e presente guida spirituale per il ragazzo, sia prima sia durante gli studi in seminario a Feltre e Belluno. Durante i mesi estivi, ad esempio, don Filippo affidava a Luciani la stesura di articoli per il bollettino parrocchiale oppure la risistemazione dell’antica e pregiata biblioteca presente nella canonica della pieve. Quella stessa chiesa, ancora oggi, costituisce una tappa fondamentale per comprendere l’esperienza cristiana del futuro papa poiché custodisce, tra le sue navate ,oltre che preziose opere d’arte, in parte ispirate proprio alla sua figura, anche le memorie cruciali della sua formazione sacerdotale, culturale e umana.
La Pieve di San Giovanni Battista a Canale D’Agordo
Il territorio dell’attuale Valle del Biois era servito anticamente solamente dalla Cappella di San Simon (documentata già dal 1185 ma presumibilmente risalente all’VIII secolo). Tuttavia, come accennato in precedenza, con lo sviluppo dell’industria estrattiva delle miniere e l’accrescimento dei forni di fusione dei metalli, i Regolieri furono unanimi nella decisione di fondare una nuova cappella per esigenze sia di comodità che di centralità nella Valle. Perciò il luogo designato per l’edificazione della chiesa fu individuato nel punto di incontro tra la Val del Biòis e quella di Garès, su di un terrazzo alluvionale strategico poiché equidistante da tutti i villaggi che componevano la comunità montana. Proprio per la principale funzione sacramentale di essere sede di numerosi battesimi, l’edificio venne intitolato a colui che battezzò Cristo, San Giovanni Battista. Il 3 Settembre 1458 la Cappella di Canale D’Agordo, tramite decreto pontificio, venne elevata a Pieve autonoma con il diritto di possedere stabilmente un battistero e tutte le insegne parrocchiali mentre l’antica San Simon mantenne il diritto di comparrocchialità. La chiesa del Santo Precursore divenne dunque il centro religioso, civile e sociale dell’intera Valle, ove i paesani si riunivano per partecipare sia alle solenni funzioni religiose, sia alle attività che avevano luogo nella piazza antistante la pieve. A testimonianza di ciò, con l’accresciuta affluenza di paesani nel nuovo centro cittadino, a partire dalla metà del XV secol, iniziarono ad essere fondate, nei locali annessi alla chiesa, numerose confraternite, come quella dei Battuti (risalente al 1455), quella del Santissimo Sacramento (1637), quella del Rosario (1656) e infine quella del Suffragio dei Defunti (1687).
L’architettura e la decorazione artistica
L’edificio sacro, per quanto concerne l’architettura e la decorazione artistica, al momento della sua fondazione, si presentava molto diverso rispetto a quello che vide e frequentò Albino Luciani. Il fabbricato religioso fu infatti segnato da numerose ristrutturazioni e rimaneggiamenti che, a partire dal XIV secolo, lo videro mutare e ampliare fino ad arrivare alla dimensione attuale.
L’originaria cappella tre-quattrocentesca, presumibilmente, doveva occupare lo spazio centrale della navata attuale della chiesa, e presentava una copertura a capriate lignee a vista e un coro riccamente affrescato (Fig. 8). A cavallo tra la seconda metà del ‘400 e l’inizio del ‘500, l’altare maggiore venne impreziosito con la collocazione di un pregevole Flügelaltar di bottega brissinese, ora purtroppo andato perduto. Nel 1568 avvenne il primo ampliamento della zona absidale che comportò l’allungamento longitudinale e trasversale della pianta con la creazione di due navate laterali, una a destra e l’altra a sinistra (Fig. 9). La parte terminale della costruzione fu destinata ad essere rimaneggiata nuovamente nel 1689 e ad assumere un profilo planimetrico non più curvilineo ma poligonale (Fig. 10). Dopo i numerosi interventi stilistici e l’incendio avvenuto il 29 Agosto 1741, nel 1859 l’Arciprete, don Agostino Costantini, decise di restaurare la chiesa affidandosi all’intervento dell’architetto Giuseppe Segusini.
Il noto progettista feltrino elaborò schizzi e disegni ispirati alle forme neoclassiche e neo-rinascimentali, in voga all’epoca, per la ristrutturazione sia dell’interno sia della facciata principale esterna, la quale appariva ancora influenzata da un forte influsso stilistico di fusione tra gotico e barocco (Fig. 11).
L’interno venne contrassegnato da una notevole ristrutturazione volta sia a consolidare le strutture murarie già presenti (ad esempio venne ispessito l’arco trionfale che introduce il presbiterio) sia a crearne di nuove, come l’innalzamento delle due monumentali colonne all’ingresso dell’abside e l’apertura della nuova sagrestia, non più sul lato destro ma su quello sinistro del piccolo transetto. Gli apparati decorativi esistenti vennero altresì modificati o riconvertiti per renderli maggiormente consoni alle nuove forme neoclassiche dell’edificio, le finestre che illuminano le volte laterali vennero rese semicircolari mentre quelle gotiche dell’abside passarono dal terminamento ad arco acuto a quello a tutto sesto. La stessa sorte spettò agli altari laterali, che in gran parte vennero modificati e smantellati. Anche gli arredi subirono modifiche di collocazione come nel caso del fonte battesimale e del pulpito ligneo. Una delle ultime fasi dell’intervento consistette nella tinteggiatura delle pareti e dei motivi ornamentali posti all’incrocio tra le nervature delle volte e nei pennacchi delle stesse. Grazie all’importante restauro avvenuto nel 2017 è stato possibile non solo ripristinare gli antichi colori dell’intervento ottocentesco che col passare del tempo avevano subito ricolorazioni sempre più invasive e scarsamente fedeli alla tinteggiatura iniziale, ma anche constatare che le volte della chiesa sono le cosiddette “volte vere”, ovvero non costituite (come la maggior parte di quelle realizzate dal XVIII secolo in poi) da dei listelli intonacati in un graticcio ma da una possente struttura in pietrame e tufo. Tali dati sono risultati utili per comprendere che quindi Segusini non intaccò l’originaria volta cinquecentesca ma si limitò solamente a rivestirla.
La facciata principale
La facciata principale della Chiesa Arcipretale, come illustrato in precedenza, essendo il risultato della ristrutturazione ottocentesca, si presenta in forme neoclassiche e ripropone la scansione dello spazio interno in tre navate (Fig.12). L’esterno, scandito da una serie di paraste dalla colorazione tendente al rosa antico, è ripartito in tre parti, una centrale e due laterali simmetriche. La porzione al centro, di dimensioni maggiori, ospita l’ accesso principale al luogo sacro, ovvero un portale con la parte superiore architravata in aggetto sorretta da due mensole lapidee. Al di sopra di quest’ultimo trova spazio il rosone cieco, opera dello scultore Valentino Panciera Besarel (1859), che racchiude al suo interno un bassorilievo raffigurante il Battesimo di Cristo nel Giordano (Fig.13). Il livello inferiore della facciata si conclude con una cornice in rilievo sulla quale si instaura l’ampio timpano semicircolare che, riproposto nella forma di semitimpano nelle parti laterali, conclude finemente l’alzato della pieve precludendo e mascherando alla vista dell’osservatore i vari livelli delle coperture retrostanti.
Il campanile
Il campanile dell’edificio, a base per lo più quadrata e dalle tipiche forme stilistiche montane, essendo probabilmente inglobato nelle navate laterali della chiesa, risale a un periodo anteriore al XVI secolo. Al di sopra dell’orologio si trova la cella campanaria che custodisce al suo interno cinque campane, tra cui solo una, la più antica, rimase intatta durante la Prima Guerra Mondiale mentre le quattro, distrutte dall’esercito nemico, vennero rifuse al termine del conflitto. La copertura della torre, poggiando su di una piccola base ottagonale arcata, si presenta a bulbo e viene coronata con la presenza dell’angelo che permette al fabbricato di raggiungere l’altezza di 36 metri (Fig. 14).
L’interno
Lo spazio interno della Pieve di Canale D’Agordo è marcato da composte proporzioni (Fig. 15-16). Le navate laterali vengono divise da quella centrale tramite due successioni di monolitici pilastri. Quest’ultimi, di base quadrata, sono definiti da una serie di lesene in rilievo che culminano in capitelli corinzi policromi. Al di spora di questi si impostano le volte a crociera con nervature e rosone centrale decorato che fungono da copertura sia per la navata centrale che per quelle laterali. In quest’ultime, nello spazio tra i pilastri e i muri perimetrali dell’ambiente, trovano collocazione gli altari minori.
La navata destra
La navata destra della chiesa (Fig. 17) presenta, partendo idealmente dall’ingresso in facciata, il fonte battesimale, l’altare intitolato alle Anime Purganti con l’interessante tela tratta dal medesimo soggetto del Tintoretto e l’elegante pulpito in noce del XIX secolo addossato alla parete perimetrale del campanile.
La navata sinistra
La navata sinistra dell’edificio (Fig. 18), nelle medesime dimensioni di quella destra, presenta due altari laterali, uno dedicato a Santa Lucia e l’altro alla Madonna Immacolata in cui è presente una statua della Madonna di Lourdes acquistata nel 1900 in occasione dellAnno Santo e due piccole statuine, di ottima fattura, rappresentanti Santa Rita e Sant’Agnese provenienti dalla Scuola della Val Gardena.
Il presbiterio
Immaginando di proseguire l’itinerario di visita verso l’abside dell’edificio, tramite due maestose colonne laterali, si viene introdotti nel presbiterio (Fig. 19). Gli splendidi e artistici stalli in noce risalenti all’intervento del Segusini si pongono come lignea cornice attorno al maestoso altare maggiore che custodisce, a sua volta, due opere degne di nota. La prima di queste è senz’altro la pala maggiore che, incastonata in uno splendido e policromo dossale marmoreo, rappresenta San Giovanni Battista nella veste di “Vox clamantis in deserto” (Fig. 20) ed è attribuita al pittore Antonio Longo che vi lavorò dal 1808 al 1820. La seconda testimonianza artistica di rilevante valore viene rappresentata, senza dubbio, dal raffinato ed elaborato tabernacolo ligneo (Fig. 21-21 a) realizzato dall’abile intagliatore seicentesco, definito da Balzàc il “Michelangelo del legno”, Andrea Brustolon che, dopo gli incarichi lavorativi veneziani, ritornò nella Belluno natia per aprire una bottega e diffondere le sue opere in tutta la provincia dolomitica.
Le tracce di Papa Luciani nella chiesa
Come già illustrato precedentemente, la chiesa parrocchiale di Canale D’Agordo rappresentò per Albino, fin dall’infanzia, un luogo di profonda formazione culturale spirituale e cristiana tanto da farne una meta costante nel tempo e anche durante le sue visite in paese per salutare i famigliari quando era ormai già vescovo. Come i tre luoghi che ci si sta attingendo a descrivere, nella chiesa sono presenti altrettanti tre punti chiave, tre tappe obbligate, tre memorie del passaggio fisico e evangelico di Giovanni Paolo I. Il primo elemento che ricorda quest’ultimo è senza dubbio il battistero (collocato difronte all’ingresso nella prima campata della navata destra) nel quale furono completati dal vicario parrocchiale, don Achille Ronzon, i riti battesimali di Luciani il 19 Ottobre 1912. A memoria di tale avvenimento è stata posta una monumentale lapide marmorea che rammenta non solo il Battesimo di Albino ma anche quello di molti altri personaggi illustri nati a Canale o nelle zone limitrofe, tra questi figura Padre Felice Cappello, valente gesuita, noto per esser diventato il “confessore di Roma”. Il fonte battesimale vero e proprio, formato da una base lapidea, risulta ricoperto da una costruzione lignea tronco-piramidale realizzata dallo scultore Amadeo Da Pos nel 1933 (Fig. 22-22a).
Proseguendo la visita verso la zona absidale, al di sopra dei pochi gradini che innalzano il presbiterio, si può vedere il secondo elemento che riconduce alla figura di Luciani e che raccorda quest’ultimo con gli avvenimenti seguenti alla sua scomparsa. In occasione dell’importante e attesa visita di San Giovanni Paolo II infatti venne fatto realizzare allo scultore di Falcade, Dante Murer “Moro”, un altare “verso il popolo” per la celebrazione liturgica che avrebbe presieduto il Santo Padre nella piazza antistante la chiesa. La mensa, utilizzata per l’occasione, venne poi posta all’interno della Pieve per essere utilizzata come altare maggiore. L’opera, intagliata con maestria, è formata da quattro pannelli massicci in legno di noce, tre dei quali rappresentano scene e episodi che riassumono magistralmente la vita di Luciani. Nel fronte (Fig. 23-23a) che si affaccia verso l’assemblea, lo scultore ha imperniato tutta la raffigurazione iconografica e iconologica nella parte centrale dove viene raffigurato Cristo (sulla destra) che, sorreggendone la mano, affida le chiavi del Regno dei Cieli (simbolo del Ministero petrino – “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”- “A te darò le chiavi del Regno dei cieli: ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” Matteo 16,18-16,19) a Giovanni Paolo I (Fig. 24) il quale, fiducioso e sereno, accetta la consegna volgendo lo sguardo verso Gesù. Il gruppo dei due personaggi centrale divide ma allo stesso tempo diventa un legante tra gli episodi rappresentati nei due lati esterni. Lo scultore falcadino, con abile gesto scultoreo, è riuscito a condensare e racchiudere in poche scene il significato e l’insegnamento della vita del pontefice. A sinistra, infatti, tramite un accurato intaglio, viene rappresentata l’infanzia e la prima giovinezza di Albino quando, tra le sue montagne, pascolava le mucche, ascoltava il catechismo dalla madre e a sua volta lo spiegava ai bambini (Fig. 25). Sulla destra, invece, maggiore attenzione è posta sugli anni del Concilio Vaticano II, sull’incontro tra Luciani e Giovanni Paolo II, sui piccoli e umani gesti, come l’abbraccio con i fanciulli, che ne contrassegnarono il breve pontificato (Fig. 26). Nei due lati corti dell’altare trovano spazio le raffigurazioni delle tre Virtù Teologali: Fede, Speranza e Carità.
Volgendo le spalle all’abside e dirigendosi a ritroso verso l’ingresso nella contro-facciata (dove figura la cantoria con il pregiato organo di Gaetano Callido del 1801), nella prima campata della navata sinistra compare l’ultimo elemento simbolo della memoria del papa. Qui emerge l’imponente statua bronzea intitolata “l’humilitas” realizzata dallo scultore Riccardo Cenedese di Vittorio Veneto (Fig. 27-27a). Luciani, in veste di papa, è rappresentato con un bambino accanto a lui che regge la mitria (simbolo del potere spirituale). La composizione, di forte valenza rappresentativa, simboleggia la straordinaria e mirabile capacità di Giovanni Paolo I di essere vicino ai più bisognosi, ai piccoli della società, di essere in grado di farsi piccolo anche nel parlare per poter essere capito, come diceva il suo padre spirituale don F. Carli, “anche dall’anziana vecchietta che abita in cima al paese”. L’opera, inizialmente pensata per essere collocata nella piazza del paese, ha trovato una stabile posizione nella chiesa tanto da esser diventata meta di pellegrinaggi e devozione popolare. D’altronde la figura di Luciani, fin dalla scomparsa ritenuta eroica e santa, fu destinata ad essere protagonista di numerose opere artistiche disseminate nei luoghi che gli furono legati a seguito di soggiorni o speciali visite. Un esempio è senz’altro il busto presente nel piazzale di Santa Maria Assunta a Frassinelle Polesine (RO) (Fig. 28) opera dello scultore di Camisano Vicentino, Felice Canton. La scultura, realizzata in memoria della visita dell’allora patriarca Luciani nel paesino polesano (avvenuta nel ’76 per il ricordo del venticinquesimo anno dalla tragedia dell’alluvione del Po’ del ’51), ancorata a una possente roccia, rappresenta, con vivido e magistrale realismo, il volto del pontefice pervaso da una profonda serenità che conquista, prima ancora che gli occhi, il cuore dell’osservatore. Tali uniche caratteristiche fanno sì che il mirabile ritratto scultoreo risulti come una delle opere a lui dedicate più verosimiglianti e fedeli tuttora esistenti. Quest’ultimo esempio non è altro che uno dei tanti casi in cui la personalità di Luciani fu motivo di affetto e gratitudine da parte delle persone tanto che, proprio nel paese natale, già dagli anni successivi alla morte, vi fu l’idea di realizzare un luogo che fosse in grado di raccogliere, riunire ma soprattutto mantenere le memorie e la devozione alla vita del vescovo divenuto patriarca e papa. Uscendo dalla Chiesa, volgendo lo sguardo sulla destra, si incontra il fabbricato che custodisce affettuosamente tutto quello indicato, il MusAL, l’ultima tappa dell’itinerario proposto.
Il MusAL: il Museo Albino Luciani di Canale D’Agordo
Le prime idee per la realizzazione del museo giunsero già dal 2006 da parte dell’Amministrazione Comunale di Canale d’Agordo e da Mons. Sirio Da Corte (arciprete del paese). La concretizzazione di tali proposte avvenne con l’inaugurazione di una prima sede espositiva che trovava collocazione nei locali del palazzo della canonica. Tuttavia, sia per la ristretta metratura degli spazi che per la volontà di creare un luogo dove sviluppare pienamente gli episodi della vita di Lucaini e accogliere i pellegrini, si decise di spostare il percorso museale nell’attuale palazzo che lo custodisce. Inaugurato dal segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin nel 2016, il MusAL viene ospitato in un fabbricato risalente al XV secolo che fungeva da sede dell’Arciconfraternita dei Battuti (Fig. 29). Sino al 1869 quest’ultimo appariva interamente affrescato sia all’interno, come testimonia l’unica porzione di affresco sopravvissuta, “La Resurrezione di Cristo” (Fig. 30), sia all’esterno. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento la struttura subirà numerosi interventi volti a designarne sempre nuove funzioni, da scuola elementare che frequentò lo stesso Luciani, a ufficio postale fino a spazio museale.
Il percorso
Il percorso di visita del MusAl si articola cronologicamente nei quattro piani del palazzo permettendo al visitatore di riscoprire e approfondire chiaramente il contesto storico e famigliare nel quale si formò la figura del futuro papa. L’esposizione permanente ha infatti il preciso obiettivo di descrivere la profonda importanza che rivestì Giovanni Paolo I nella storia ecclesiastica e umana del XX secolo, nonchè il compito di ricordare il pontefice non per i soli pochi giorni di pontificato, ma specialmente per l’insegnamento pastorale che ha donato a qualsivoglia persona che, per un attimo, lo abbia serenamente ascoltato. Il percorso, che mostra oggetti da lui utilizzati, carteggi, vesti talari, effetti personali e gli abiti da cardinale e papa (Fig. 31-32), pone maggiormente l’accento, quindi, sul percorso spirituale, umano e sociale che il giovane seminarista fece fino ad arrivare alla nomina vescovile, patriarcale e infine pontificia. Lungo tutta la visita l’osservatore può vivere anche un significativo coinvolgimento emotivo per la presenza di numerosi filmati che illustrano i passaggi della vita di Albino e di numerosi altoparlanti che diffondono le frasi del pontefice in determinati punti delle sale.
La visita, che inizia dal seminterrato, prosegue poi ai piani superiori dove trovano spazio, in ordine, la sala dedicata alla prima infanzia di Albino e a quelle figure che furono fondamentali per la sua formazione; oltrepassata quest’ultima, nella successiva viene illustrato il periodo del seminario minore a Feltre e maggiore a Belluno (Fig. 31). Salendo le scale e arrivando all’ultimo piano del percorso ci si addentra nel racconto della vita di Luciani da Vescovo di Vittorio Veneto (Fig. 32), da Patriarca di Venezia e da Pontefice (Fig. 33-33a).
L’ultima sala del museo, per volere dei curatori, introduce ma non si addentra nelle numerosissime ipotesi che nacquero dopo che, il 28 Settembre 1978, Giovanni Paolo I lasciò questo mondo. Condividendo tale scelta, uscendo dallo spazio espositivo e ritornando nella piazza di Canale, si conclude idealmente questo itinerario tra i luoghi che videro crescere e formarsi la figura umile ma estremamente possente nella Fede, colossale nel suo sapere enciclopedico, umana nel rapportarsi con il prossimo, di Albino Luciani.
Le parole contenute in queste pagine costituiscono e vogliono essere, dunque, l’umile tentativo di raccontare, attraverso un percorso artistico-culturale, il contesto, i luoghi, le relazioni che forgiarono e contribuirono a formare un Papa che non sarebbe stato tale senza gli insegnamenti e le esperienze vissute nella Valle del Biois. Seppur in pochi giorni, mostrando più che dando, Egli ha fatto progredire la Chiesa assumendosi convintamente il carico delle nuove strade indicate dal Concilio Vaticano II, ha aperto un sentiero che sarà percorso poi dai suoi successori. Tra quegli stessi sentieri che qui, nelle sue montagne, abbondano, non può non esserci quello della gratitudine nei confronti di colui che, con il suo sorriso e insegnamento magistrale, ha seminato fiori di speranza in un mondo segnato da conflitti e disuguaglianze. Quei fiori, quei virgulti di testimonianza evangelica sono già germogliati e di certo sbocceranno ancora per le generazioni che, in futuro, vorranno conoscerlo e farsi accompagnare dal suo esempio nel lungo percorso della vita.
Bibliografia
Serafini, “La Pieve di San Giovanni Battista a Canale d’Agordo (Dolomiti Bellunesi)-La chiesa di Papa Luciani”, tipografia Piave, 2018;
Serafini, F. Vizzutti, “Le chiese dell’antica Pieve di San Giovanni Battista nella Valle del Biois, documenti di storia e arte”, edito a cura delle dell’antica Pieve di Canale d’Agordo, tipografia Piave, 2007;
Serafini, “Sui passi dell’arte e della fede in Valle del Biois, itinerari tra le chiese dell’antica pieve di Canale d’Agordo”, Belluno, 2003;
Falasca, D. Fiocco, M. Velati, “Albino Luciani Giovanni Paolo I. Biografia «ex documentis». Dagli atti del processo canonico”, Tipografia Piave, 2018;
Lise, “Giovanni Paolo I, la speranza che nasce dall’umiltà”, Elledici, Velar, terza edizione 2018;
Luciani, “Illustrissimi”, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio, nuova edizione 2018;
Sitografia
Sito web del MusAL;
Sito web del Comune di Canale d’Agordo;
Sito web del Messaggero di Sant’Antonio;
Sito web della parrocchia di San Giovanni Battista di Canale e di San Simon;
Sito web “Agordino Dolomiti”;
Fonti delle immagini
Fotografie scattate dall’autore dell’articolo;
Immagini tratte da: L. Serafini, “La Pieve di San Giovanni Battista a Canale d’Agordo (Dolomiti Bellunesi)-La chiesa di Papa Luciani”, tipografia Piave, 2018;
Immagini tratte da: L. Serafini, F. Vizzutti, “Le chiese dell’antica Pieve di San Giovanni Battista nella Valle del Biois, documenti di storia e arte”, edito a cura delle dell’antica Pieve di Canale d’Agordo, tipografia Piave, 2007;
Immagini di dominio pubblico tratte da: Google immagini e Google Maps;
Immagine di copertina: collage grafico realizzato da Mattia Tridello;
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