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A cura di Alice Casanova De Marco

A pochi chilometri da Feltre, sulle pendici del Monte Miesna nella località di Anzù, domina solitario il Santuario dei Santi Vittore e Corona, l’ultimo edificio romanico ancora intatto della provincia di Belluno nonché importante testimonianza storico-artistica del bellunese. L’esistenza del Santuario infatti, è simbolo del forte legame tra il territorio Trevigiano- Bellunese e la storia delle crociate, mentre gli affreschi al suo interno rientrano tra i più interessanti dell’alto Veneto.

Veduta del Santuario sullo sperone di roccia.

Il complesso monumentale dei Santi Vittore e Corona è costituito dal santuario, dal convento e dal chiostro, ed è raggiungibile sia percorrendo la lunga scalinata ottocentesca, costruita da Giuseppe Segusini, sia tramite un panoramico sentiero. Entrambi i percorsi terminano in corrispondenza dell’imponente facciata romanico-bizantina della chiesa, accanto alla quale si accede al chiostro, anch’esso in stile romanico.

Il chiostro si presenta come un ambiente semplice e pulito, arricchito soltanto da lunette seicentesche che illustrano la storia del Santuario e di Feltre.

Gli influssi veneti-bizantini che si denotano nella facciata, si ritrovano anche nell’impostazione planimetrica della chiesa: a croce greca inscritta in un rettangolo, a tre navate e con quattro robusti pilastri centrali. Alla croce greca si aggiungono poi un corpo architettonico orientale, costituito dall’abside- martyrium, ed uno occidentale, che contiene una rampa di scale ad addolcire il dislivello tra la parte interna e quella esterna della chiesa. La conformazione architettonica che si può vedere oggi è frutto di diverse modifiche che negli anni hanno cambiato l’assetto della chiesa. Il primo intervento fu a opera dei padri Fiesolani (1494 – 1668), seguiti dai Somaschi (1669 -1771) ed infine dai Francescani (1852 – 1878).

La Storia

Come testimonia un’epigrafe all’interno del santuario, la costruzione della basilica si deve a Giovanni de’ Castellani da Vidor – un ricco feudatario di Enrico IV – che secondo la tradizione aveva guidato i soldati di Feltre durante la prima crociata, nel 1096. A questa data infatti si fa risalire l’inizio del cantiere del complesso religioso, anche se altre fonti suggeriscono che Giovanni diede avvio ai lavori solo dopo il suo ritorno dalle crociate, come tributo per la grazia ricevuta. La costruzione della chiesa proseguì molto velocemente e il 14 maggio del 1101 l’edificio ultimato venne consacrato dal figlio di Giovanni, nonché Vescovo di Feltre, Arpone da Vidor.

I Santi Vittore e Corona

Come si evince dal nome, il Santuario è dedicato ai beati martiri Vittore e Corona, le cui reliquie si narra siano giunte a Feltre trasportate dai crociati di ritorno dall’Oriente. Una leggenda piuttosto fantasiosa racconta il preciso momento in cui il Vescovo di Feltre decise di affidare il santuario ai due martiri, in seguito al verificarsi di un evento miracoloso: si narra infatti che durante il viaggio dei crociati dalla Siria verso Belluno, quando questi giunsero alle pendici del Monte Miesna, le reliquie che essi trasportavano avrebbero manifestato in diversi modi sovrannaturali la volontà di rimanere in quel sito.

Fine del XV sec. Santi Vittore e Corona, prima lesena della porta nord.

La storia del martirio dei due Santi invece è affidata ad un’altra leggenda, secondo la quale entrambi furono martirizzati in Siria nell’anno 171 d.C. Si racconta che Vittore fosse un soldato cristiano, il quale subì pesanti torture ed infine la decapitazione, per essersi rifiutato di rinunciare alla fede cristiana. Corona invece era una giovane sposa, convertitasi al cristianesimo dopo aver assistito al supplizio di Vittore ed essere rimasta colpita dalla forza della sua fede. Sicuramente un atto di grande coraggio che però la condusse inevitabilmente alla tortura e alla morte. Oggi le reliquie dei due santi sono conservate all’interno dell’arca allocata nel martyrium – ovvero un piccolo edificio che in questo caso coincide con l’abside – che ha la generale funzione di custodire la tomba del martire.

Arca dei martiri.

Il martyrium del Santuario di Anzù è di particolare interesse per la storiografia artistica locale, in quanto presenta una loggetta a pianta quadrata con colonne marmoree e capitelli intarsiati: una soluzione architettonica unica in tutto il territorio. Tale loggetta si sviluppa armoniosamente sui tre lati dell’abside, circondando l’arca dei martiri in modo da esaltarne la presenza e renderla il punto centrale per i pellegrini che visitavano la chiesa. Un’altra caratteristica che la rende singolare è l’intricata rete di passaggi che si sviluppa dall’intercapedine nel doppio muro della parte bassa della loggia e che conduce al piano superiore, da dove si può osservare l’arca dall’alto. Dalla loggetta superiore poi, un altro corridoio conduce ancora più in alto e si conclude con una piccola finestra che affaccia sull’abside. Questo sistema di corridoi – tipico delle cripte di epoca proto-romanica (2) – era piuttosto funzionale: esso permetteva ai pellegrini di rendere omaggio alla tomba dei martiri, senza però disturbare le funzioni religiose che aveva luogo in chiesa.

Nonostante il dialogo tra l’arca dei martiri e la loggetta sia piuttosto armonioso, non vi è la certezza che quella sia la posizione originaria della tomba. Quella che osserviamo oggi infatti, deriva da un intervento compiuto nel XV secolo da Luigi Foscarini – Rettore di Feltre per la Repubblica di Venezia – il quale fece sollevare l’arca su quattro colonne. Tra le colonne e l’arca, Foscarini posizionò un lastrone lapideo, scolpito con l’effige di San Vittore e decorato con un fregio che riporta la data 1440.

L’innalzamento dell’arca dei santi viene raffigurato in una lunetta del Chiostro, XVII sec.

Gli affreschi

L’interno della basilica ospita una serie di affreschi di stile paleocristiano orientale, realizzati tra il 1100 e il 1400, che hanno come soggetto Santi, scene tratte dai testi sacri e gli episodi del martirio dei Santi Vittore e Corona.

La decorazione più antica risale appunto al XII secolo, ed è rappresentata dagli affreschi di San Pietro e San Paolo, allocati sulle lesene laterali del martyrium, rispettivamente a sinistra e a destra. L’immagine di San Pietro – raffigurata al di sopra di una piccola altura – riempie interamente lo sfondo, che appare delimitato da una serie di cornici geometriche e policrome. San Paolo invece è rappresentato in modo diverso: egli è posto all’interno di una serie di cornici (rosa, dorata e blu) che creano un gioco prospettico che indirizza lo sguardo verso la figura del santo.

Sul primo pilastro sinistro verso il presbiterio, sono raffigurati San Cristoforo, databile all’ultimo quarto del XIII secolo, e sul lato opposto la Madonna del latte, affrescata nel tardo Trecento.

In pieno Trecento si collocano gli affreschi più importanti del Santuario, realizzati in tre momenti diversi, che si distribuiscono in tre particolari zone della chiesa. In primo luogo le lunette del presbiterio, decorate a destra con la Madonna della misericordia ed in basso l’Ultima Cena, e a sinistra con il Giudizio Universale. Entrambi gli affreschi furono eseguiti da un pittore anonimo, probabilmente un allievo di Giotto, in quanto vi è una discreta somiglianza tra il Giudizio universale del Santuario e quello della cappella degli Scrovegni a Padova. Vi è infatti lo stesso modo giottesco di eseguire la cornice così come anche gli angeli che squillano le trombe.

Successivamente alla decorazione del presbiterio, è ascrivibile quella del transetto sinistro, suddiviso in diciotto semplici riquadri che racchiudono gli Episodi del martirio dei Santi Vittore e Corona.

La lettura del ciclo di affreschi inizia dall’alto a sinistra della parete nord, dove purtroppo solo i primi tre episodi sono rimasti integri. Il riquadro centrale e parte di quelli laterali infatti sono stati distrutti con l’apertura del grande finestrone e delle due finestrelle durante il rinnovamento seicentesco della chiesa. In sintesi, i primi sei riquadri mostrano le torture subite da Vittore – come l’amputazione delle dita e la combustione – mentre gli ultimi tre illustrano la conversione di Corona e la successiva morte. Le scenette continuano poi nelle pareti laterali del transetto dove però sono molto più danneggiate e perciò di difficile lettura.

Transetto sinistro del presbiterio, Santa Corona è convocata da Sebastiano.

Per quanto riguarda le maestranze che hanno realizzato gli Episodi del martirio e la datazione della decorazione, vi sono due distinte scuole di pensiero: da un lato si riconosce un’impronta bolognese e la realizzazione non è precedente al sesto decennio del Trecento. Dall’altro si attribuisce la decorazione ad una scuola artistica locale con collegamenti al Trentino Alto Adige ed il periodo in considerazione è tra gli anni Trenta e Sessanta del Trecento.

La terza fase di decorazione della chiesa vede protagonisti i Padri della Chiesa ed è affrescata nelle pareti del martyrium. Nelle pareti laterali vi sono due lunette che raffigurano a destra, S. Agostino e S. Gregorio, mentre a sinistra S. Gerolamo e S. Ambrogio. I quattro Padri sono raffigurati nell’atto di scrivere su tavoli lignei molto semplici su cui si posano vari libri e pergamene. Sopra le pareti si eleva una volta decorata con stelle e con i quattro evangelisti, una chiara rappresentazione del paradiso. A separare gli affreschi del martyrium da quelli della navata vi è un sott’arco affrescato con cornici mistilinee, che racchiudono nove mezze figure di angeli musicanti.

L’ultimo affresco di cui si parlerà è un’insolita Ultima Cena, presente nella parete sud del Santuario. Già la sua collocazione, quasi nell’ombra e alla fine della navata destra, fa notare la differenza tra questa Ultima Cena e la prima, posizionata sotto la Madonna della Misericordia e soprattutto vicino all’altare.

Ultima Cena con gamberi.

La seconda Ultima Cena è definita insolita per ciò che presenta sulla tavola: oltre ai simboli del sacrificio eucaristico – il pesce, il pane ed il vino – vi sono infatti anche alcuni alimenti che mettono in relazione il sacro episodio con il territorio locale. Tali alimenti sono ad esempio alcuni frutti, come pere, mele e castagne, ma soprattutto spiccano i ventisette gamberi rossi di fiume. Ad osservarli oggi, l’inserimento di tali crostacei sembra una scelta bizzarra, ma al tempo i gamberi erano un elemento caratteristico della zona e fruibile anche dai più poveri. Nelle vicinanze del Santuario infatti, scorre il Fiume Piave, le cui acque limpide ed incontaminate, ospitavano in passato una grande quantità di gamberi.

Particolare dell’Ultima Cena con gamberi.

Ma oltre al collegamento con la tradizione locale gli studiosi hanno cercato di comprendere se vi fosse anche un significato religioso riguardo all’inserimento dei gamberi nell’affresco. La prima ipotesi che si rifà alla tradizione cristiana, collega la muta del gambero al tema della resurrezione. Mentre una seconda ipotesi, si focalizza sulla caratteristica del gambero di camminare all’indietro, proprio come fanno gli eretici sempre secondo la tradizione. Nella zona di Feltre, ed in generale quella lungo le sponde del Piave, l’eresia era un tema piuttosto comune in quanto, al tempo in cui sono stati realizzati gli affreschi, la Chiesa Cattolica era particolarmente oppressiva: bastava mostrare il più lieve dubbio per essere considerati eretici.

Purtroppo, durante la reggenza dei padri Somaschi (1669-1771) l’intero edificio subì un pesante rivestimento barocco che per lungo tempo coprì gli affreschi medievali. Su alcuni di essi si notano ancora le martellinature eseguite per permettere una maggiore aderenza degli stucchi. La riscoperta dell’originaria decorazione avvenne solo durante gli interventi di restauro eseguiti tra il 1920-22 e il 1939 e promossi dal rettore Giuseppe Bortolon (Feltre, 1876 – 1939).

  • Il santuario domina l’unica strada che storicamente collegava il territorio feltrino a Venezia, un punto strategico per il controllo del transito e per proteggere la città di Feltre. Cfr. Archeologia dell’architettura.
  • La differenza tra i corridoi del Santuario e di quelli delle cripte antiche è il fatto di non essere sotterranei. Nel Santuario non era infatti possibile scavare sotto il terreno in quanto è costruito su un banco roccioso. Inoltre, tali corridoi non volevano essere tenuti nascosti, anzi, vi era un certa tendenza a voler spettacolarizzare il pellegrinaggio. Conte T.,Tesori d’arte nelle chiese del bellunese. Feltre e territorio, Editore Provincia di Belluno, 2008, p.230.

 

Bibliografia

Venezia e il Veneto: La Laguna, il Garda, le Ville, i Colli Euganei e le Dolomiti, Guide verdi d’Italia, Touring club italiano, 1999

NOVELLO A., La chiesa dei Ss. Vittore e Corona a Feltre, in «Arte Cristiana» IX (1921), 5, pp. 143-152.

MAGANI F., MAJOLI L. (a cura di) Tesori d’arte nelle chiese del bellunese. Feltre e territorio, Editore Provincia di Belluno, 2008

CODEN F., Agiografia e iconografia dei santi Vittore e Corona, in Il santuario dei SS. Vittore e Corona a Feltre. Studi agiografici, storico e storico-artistici in memoria di Mons. Vincenzo Savio, Belluno 2004, pp. 213-269.

Archeologia dell’Architettura XIX, 2014, All’Insegna del Giglio, 2015

 

Sitografia

http://www.infodolomiti.it/nqcontent.cfm?a_id=7161

https://www.qdpnews.it/veneto/37769-feltre-la-leggenda-delle-reliquie- dei-santi-martiri-vittore-e-corona-il-santuario-costruito-sullo-sperone-di- roccia

 

Immagini

Fotografie scattate da Alice Casanova De Marco, tratte dal documentario di Tele Pace e dal libro Tesori d’arte nelle chiese del bellunese. Feltre e territorio, di MAGANI F., MAJOLI L. (a cura di).

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