A cura di Simone Rivara
Introduzione: storia e simbologia della chiesa di Isola del Cantone
Che la Valle Scrivia sia un’importante via di comunicazione tra Genova e la Pianura Padana è chiaro almeno da quando i romani hanno fatto conoscere le strade agli abitanti di queste montagne dell’entroterra ligure. Infatti è proprio lungo le rive del Torrente Scrivia (e non solo), ora scoscese e aspre, ora più ampie e pianeggianti, che Aulo Postumio Albino, console romano, fece costruire nel 148 a.C. la Via Postumia, per collegare Genova ad Aquileia in funzione prevalentemente militare. Una volta sottomessi i popoli della Gallia Cisalpina, la Via rimase come arteria commerciale per rifornire la città di Libarna (oggi interessante sito archeologico), almeno per quanto concerne la sua parte ligure. Con la caduta dell’impero d’Occidente gli scambi diminuirono fino al fatidico anno Mille (da sempre considerato il secolo della svolta e della ripresa economica) quando il percorso di fondovalle riprese ad essere trafficato, come dimostrano i numerosi ponti costruiti nel Basso Medioevo.
E certamente, lungo un canale di scambio così importante e trafficato, non poteva mancare la presenza di una delle istituzioni più potenti e celebri del medioevo: l’Ordine benedettino.
Ed infatti quella che oggi è la chiesa parrocchiale di Isola del Cantone, dedicata a San Michele e ai Santi Martiri Stefano ed Innocenzo, situata sul versante sinistro dello Scrivia, fu in origine una cella benedettina che rispondeva alla grande abbazia di San Michele della Chiusa in Val di Susa. Questa cella fungeva da presidio (da stazione di servizio) per l’accoglienza di pellegrini, mercanti e viandanti di ogni genere, in cambio di denaro. In quanto cella benedettina era abitata da monaci, che non si occupavano della salvezza delle anime degli abitanti di Isola (o Campolungo, come era anticamente chiamato l’insediamento urbano sulla riva sinistra dello Scrivia, mentre “Insula” era l’insediamento sulla riva destra, figura 1); questo compito infatti spettava ai sacerdoti della chiesa di Santo Stefano, sul versante opposto, questa sì, sotto il controllo della chiesa di Roma e della Diocesi di Tortona.
Come dimostra la colonnina con capitello corinzieggiante ritrovata sotto il vecchio intonaco durante i lavori di ristrutturazione dell’adiacente canonica (figure 2, 3), con ogni probabilità di fianco alla cella sorgeva un piccolo chiostro.
La prima notizia che dimostra la presenza dei benedettini a Isola risale al 1154 ed è una citazione nella bolla del 30 marzo di papa Anastasio IV che ne attesta i diritti al monastero clusino. Con la costruzione del borgo nuovo fra XIII e XIV secolo, i frati abbandonarono Campolungo lasciando la chiesa in gestione ai sacerdoti tradizionali (in seguito alla perdita di importanza della chiesa di S.Stefano), anche se ufficialmente rimase sotto il controllo di San Michele della Chiusa.
Nel 1582 Mons. Francesco Bossio, Vescovo di Novara, visitatore apostolico per l’osservanza dei decreti del Concilio di Trento, recatosi in loco, decretò alcuni interventi da effettuarsi, tra i quali è interessante riportare alcuni aspetti molto pratici descritti da Don Stefano Costa nella sua “Isola del Cantone in Valle Scrivia”, agli inizi del ‘900:
«alla finestra che è nella cappella si ponga un telaio. […] La sacristia sia ingrandita sufficientemente; il tetto sia riparato dove è rotto; il cimitero sia adornato di croce visibile a tutti: tempo un mese.» (Costa 41,42)
Ciò lascia intuire le condizioni non ottimali in cui la struttura riversava: finestre senza vetri (un telaio per riparare dal freddo i fedeli), tetto compromesso e nemmeno una croce a vegliare sulle anime dei defunti, sepolti nel cimitero circostante.
Nel 1650 il rettore Andrea Chioino, parroco in quel tempo, stese una relazione sullo stato della chiesa, consigliando lavori di restauro che si sanno eseguiti entro il 1680, poiché proprio in quell’anno un bollettino parrocchiale enunciava le ultime spese compiute. Gli interventi furono notevoli: anche se non si conoscono nello specifico, si ha notizia che la chiesa fu allungata di un terzo ricavando così lo spazio per due nuovi altari laterali e probabilmente prese, in gran parte, le fattezze attuali.
Ancora Stefano Costa ricorda che nel 1853 fu aperta la scalinata di fronte alla chiesa, e che il portale maggiore fu ornato con gli stipiti in pietre conce. Nel 1877 fu rinnovata la facciata, decorata nel 1882 con l’affresco di San Michele, pagato L. 300 (figura 4) sostituito durante gli anni Sessanta con un bassorilievo con lo stesso soggetto, di dubbio gusto (figura 5).
Altri interventi di restauro furono compiuti tra Otto e Novecento.
La chiesa di Isola del Cantone: la facciata
Ricostruita nel 1877 e decorata nel 1882, la facciata (figura 6) a salienti rispecchia l’organizzazione interna dell’edificio in tre navate ed è suddivisa in due registri. Quello inferiore è composto dal portale sovrastato dalla figura dell’Arcangelo Michele con la testa di Satana (figura 5), quattro lesene scanalate con capitello decorato con putti e melograni; tra motivi vegetali classicheggianti, negli intercolumni sono dipinte un’ancora (figura 7), simbolo della speranza, e una croce (figura 8), la fede, intorno alla quale svolazza un cartiglio con il motto “in hoc signo vinces” (dal latino “sotto questo segno vincerai”), che rievoca la visione di Costantino durante la battaglia di ponte Milvio. Una trabeazione decorata con motivi vegetali divide i due comparti; il registro superiore presenta al centro un rosone polilobato, quattro lesene a fusto liscio con capitello decorato a foglie d’acanto, simbolo della resurrezione e di vita eterna, dipinte tra gli intercolumni le immagini dei Santi Martiri Stefano ed Innocenzo (figure 9, 10), collocati in finte nicchie. Il primo reca in mano un piccolo contenitore, forse la sua stessa reliquia; il secondo un libro aperto sul quale si possono leggere i versetti 31 e 38/39 capitolo 8 delle lettere di San Paolo ai romani:
Si Deus pro nobis quis contra nos? Quis nos separabit caritate Christi?
Certus sum enim quia neque mors neque vita neque angeli neque principatus instantia neque futura neque altitudo neque profundum neque alia quaelibet creatura poterit nos separare a caritate Dei, quae est Christo lesu Domino nostro.
[Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dell’amore di Cristo?
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (figura 11).]
Entrambi hanno in mano la palma del martirio. La facciata culmina in un pesante frontone e sull’apice una croce. La facciata è fresca di restauro, completato nel 2019.
È interessante osservare il simbolo (figura 12) posto al centro del timpano: si tratta di uno stemma che celebra il matrimonio tra G. Battista Torre e Anna Maria Spinola. Lei era figlia di Gerolamo, feudatario di Isola, che finanziò i lavori di trasformazione della chiesa tra 1650 e 1680; il simbolo è composto dagli stemmi delle due casate giustapposti, ovvero una torre unita al simbolo araldico della casata Spinola. Potrebbe avere il significato di “Jus Patronatus”, cioè diritto concesso per gratitudine dai fedeli verso i benefattori; la chiesa inoltre presenta i colori della casata Spinola, il giallo e il rosso.
L’interno della chiesa di Isola del Cantone
Lo stesso simbolo araldico presente sul timpano è replicato sopra al presbiterio e sulla balconata dell’organo (figure 13, 14), dove gli Spinola, prima della costruzione dell’organo, solevano assistere alla messa distaccati dal popolo.
Nel 1901 si avviarono lavori di ristrutturazione degli interni, le pitture furono affidate a Rodolfo Gambino di Alessandria. Le pitture del Gambino, non certamente definibili capolavori ma comunque di gradevole fattura, nascondono alcune interessanti curiosità. Il pittore affrescò le pareti con una quantità enorme di figure sacre (che devono ancora essere riconosciute e studiate nel dettaglio) mentre nella volta, divisa in grossi rettangoli come fossero quadri, narrò alcune vicende della parrocchia isolese, tra cui la più importante al centro della navata: la consegna alla chiesa dei resti dei “Corpi Santi” (così sono chiamati i Santi Martiri Stefano ed Innocenzo), avvenuta nel 1629 (figure 15, 16). Proprio in questa scena sono stati riconosciuti alcuni abitanti di Isola del Cantone che pagarono Gambino per essere ritratti; in alto a sinistra, invece, il pittore ritrasse sé stesso e il proprio figlio Luigi, in abbigliamento elegante e sorprendentemente moderno (figura 17). Sullo sfondo della sena si scorge il Monte reale con la sua cappella.
Ancora sulla volta, tra un dipinto e l’altro, si riconoscono gli stemmi dell’arcivescovo Tommaso Reggio (figura 18) e di Papa Leone XIII (figura 19), anche in questo caso un segnale di gratitudine rivolto dai cittadini ai benefattori che finanziarono il restauro.
Nel primo altare a sinistra entrando in chiesa si trova una sorprendente pala d’altare che raffigura la crocifissione (figura 20, 21), di gran lunga l’opera di maggiore interesse: è infatti attribuita al pittore secentesco Francisco de Burgos Mantilla (Burgos 1610-Madrid 1672), esponente del barocco spagnolo nonché allievo del celebre Diego Velásquez. In netto contrasto cromatico, dallo sfondo scuro emerge la figura di Cristo in croce, raffigurato secondo l’iconografia del “Cristo spirante”, nel momento in cui pronunciò le parole “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”; ai suoi fianchi due putti lo assistono, mentre sullo sfondo si intravede un drammatico cielo in tempesta, sempre secondo le scritture. La tela, fortemente teatrale, aderisce in pieno ai dettami della controriforma. La pala attende ancora di essere studiata nel dettaglio.
L’8 agosto 1629, come anticipato, Gerolamo Spinola consegnava ufficialmente le reliquie dei S. Martiri Stefano ed Innocenzo al Rettore Andrea Chioino, parroco di Isola del Cantone. Di S. Innocenzo non si hanno notizie; di S. Stefano (da non confondere con il più noto protomartire) il Costa ci tramanda che fu suddiacono della chiesa di Roma. Gli scheletri dei venerati Martiri furono collocati, a partire dal 1901, in un maestoso reliquiario neo-gotico in bronzo dorato realizzato dall’orafo Eugenio Broggi (figura 22). La “cassa” fu riposta su un altare laterale della chiesa, realizzato ex novo e pagato interamente dagli isolesi emigrati in America nel 1911, dei quali un’iscrizione ricorda il gesto (figura 23):
QUESTO MARMOREO ALTARE DEDICATO AI SS. MM. STEFANO ED INNOCENZO E L’URNA DI BRONZO CHE RACCHIUDE LE LORO OSSA VENERATE DONARONO A QUESTA CHIESA PARROCCHIALE I FIGLI EMIGRATI IN AMERICA
COSÌ VOLLERO AFFERMATA LA LORO FEDE RELIGIOSA RICORDANDO LA PATRIA LONTANA
Una volta all’anno, la seconda domenica di agosto, viene portata a spalla in solenne processione lungo le strade del paese.
Simbologia
Nel 1827 fu realizzato il piazzale che nel 1887 fu selciato e alberato con undici platani, su progetto dell’ing. Edoardo Mignacco (probabilmente un massone, come molti borghesi di fine ‘800). Si osservano sullo spiazzo i seguenti simboli: una clessidra tra la porta d’ingresso in chiesa e la scalinata che collega il piazzale alla strada provinciale (figura 24) e una stella a sei punte inscritta in un cerchio a sua volta inscritto in un rombo (figura 25). La clessidra è, per la massoneria, metafora di Saturno e perciò del tempo, invito alla pazienza e alla tolleranza, guida il pensiero a soffermarsi sulla natura transitoria della vita (polvere siamo e polvere ritorneremo). Il rombo, formato da due squadre, costituisce uno dei più antichi simboli massonici. La stella a sei punte, che è la stella (o scudo) di Davide, è costituita da due triangoli equilateri intersecati, e rappresenta l’unione del cielo e della terra.
Se si guarda alla chiesa dalla strada provinciale, si noterà che la facciata forma un ottagono, simbolo della vita eterna in rimando all’ottavo giorno (figura 26), mentre il rapporto tra le misure della facciata e del retrostante campanile altro non è che la sezione aurea (figura 27).
La chiesa, a croce latina, è orientata con l’abside ad est in modo tale che l’ingresso principale sia a ovest, ai piedi della croce; così facendo, il fedele che entra in chiesa, si dirige verso est, cioè verso l’abside (metafora del capo di Cristo crocefisso) e ripercorre simbolicamente la salita di Gesù sulla croce, secondo una tradizione secolare.
Inoltre il giorno della ricorrenza della consegna dei “Corpi Santi”, l’8 agosto, il sole entra dall’oculo polilobato posto sull’abside e illumina l’ingresso (figura 28); durante il solstizio d’estate illumina l’angolo sud della parete ovest; durante gli equinozi l’angolo nord della parete ovest. La cristianità aveva ereditato questo “culto del sole” dai culti pagani pre-cristiani, ricchi di significati.
La chiesa fa parte della “linea di San Michele”, una linea immaginaria che, partendo da Mont-Saint Michael, passa per La Sacra di San Michele e per molte altre chiese dedicate all’Arcangelo, termina nel monastero di San Michele ad Haifa, Israele (figura 29).
Si invitano i lettori a visionare, nella IGTV di “Storia dell’arte”, le riprese realizzate con il drone.
Bibliografia
COSTA Stefano, Isola del Cantone in Valle Scrivia, 1913;
PEDEMONTE Sergio, Per una Storia del Comune di Isola del Cantone, Grafiche G7, Savignone 2012;
PEDEMONTE Sergio, In Margine a una Storia di Isola del Cantone, Libreria dell’Oltregiogo 2, Insedicesimo editori;
PEDEMONTE Sergio, Visita Guidata alla Chiesa Parrocchiale, 11 agosto 2019, Centro Culturale Isola del Cantone;
PEDEMONTE Sergio, La Tavola di Bronzo della Val Polcevera e la Via Postumia, Novinostra in Novitate n. 6, 2018;
DE SANTIS Henry, PEDEMONTE Sergio, ruderi della chiesa di Santo Stefano a Isola del Cantone, atti del XV seminario di archeoastronomia, Genova, 13-14 Aprile 2013.
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