A cura di Francesco Surfaro
Le opere che il Vasari realizzò fra il 1566 e il 1569 su commissione di papa Pio V Ghislieri per la Chiesa di Santa Croce e Ognissanti a Bosco Marengo costituiscono un vero e proprio manifesto per la nuova arte “riformata” post tridentina. In questo articolo, il primo di due pubblicazioni, verranno approfondite le dichiarazioni politiche e le strategie diplomatiche che si celano dietro alla genesi di questi due capolavori.
La Storia – Un nuovo papa sulla Cattedra di Pietro
Il 20 dicembre 1565, a quattordici giorni dalla morte di Pio IV (al secolo Giovanni Angelo Medici di Marignano), si tenne la prima seduta del conclave che avrebbe dovuto portare all’elezione di un candidato idoneo a farsi carico dell’onerosissimo compito di applicare quanto il Concilio di Trento, conclusosi appena tre anni prima, aveva stabilito. Le feste natalizie di quell’anno furono officiate con la Sede Vacante, dal momento che il quorum fu raggiunto soltanto il 7 gennaio successivo, quando, con il beneplacito del cardinale- arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, salì al soglio pontificio, assumendo il nome di Pio V, l’ultraortodosso cardinale di Santa Romana Chiesa Michele Ghislieri.
Nato da una famiglia di modesta estrazione sociale il 17 gennaio del 1504 a Bosco (oggi Bosco Marengo), comune dell’alessandrino all’epoca appartenente ai territori del Ducato di Milano, Ghislieri (o Ghisleri) venne battezzato col nome di Antonio, che mutò in Michele quando, a soli quattordici anni, vestì l’abito domenicano. Ricevette una solidissima formazione teologica dalla forte impronta tomistica, la quale non fu accompagnata da studi in ambito giuridico e umanistico. Fanatico assertore dell’ortodossia cattolica, fu, oltre che teologo, anche un intransigente e spietato inquisitore. La fermezza e l’integrità mostrate nello svolgere le proprie mansioni (non si fece alcuno scrupolo nell’intentare processi anche ai danni di membri della Curia) facilitarono la sua ascesa ai vertici della gerarchia prima dell’Ordine dei Frati Predicatori e poi della Chiesa.
Giorgio Vasari, un ostaggio diplomatico tra Papa Ghislieri e Cosimo I
Proprio all’indomani della sua elevazione alla Cathedra Petri, Pio V convocò l’allora cinquantacinquenne Giorgio Vasari – che stava rientrando da un viaggio in Italia centro- settentrionale intrapreso per aggiornare le proprie conoscenze sulle biografie di pittori, scultori e architetti coevi e non – e lo nominò suo artista ufficiale, concedendogli il privilegio del tutto inusitato di potersi sistemare, fra un soggiorno romano e l’altro, presso quelle stanze dell’Appartamento Papale solitamente adoperate durante i mesi invernali. Al principio dell’estate del 1566 l’Aretino ricevette la prima commissione da parte del neoletto papa: una tavola raffigurante l’Adorazione dei Magi da destinarsi alla cappella dell’Epifania presso la chiesa attigua al convento domenicano di Santa Croce e Ognissanti in Bosco Marengo, località natale del Pontefice. Il complesso non era stato ancora neppure progettato e già Ghislieri si premurava di dotarlo di preziose opere d’arte eseguite dagli artisti che gravitavano attorno alla sua corte (la bolla “Praeclarum quidem opus” con cui si disponeva l’edificazione della chiesa e del convento sarebbe stata emanata soltanto il successivo 1° agosto) anche perché desiderava che quel luogo di culto divenisse il proprio mausoleo.
In quel periodo Vasari aveva raggiunto l’apice della fama, ed era letteralmente sommerso dagli impegni. A Firenze, per il duca Cosimo I de’ Medici, stava realizzando a Palazzo Vecchio dei magnifici cicli di affreschi coadiuvato dal proprio éntourage e, contemporaneamente, dando forma all’imponente progetto – voluto sempre da Cosimo – di renovatio urbis, comprendente, fra le altre cose, l’adattamento dei principali luoghi di culto fiorentini alle nuove esigenze liturgiche caldeggiate dalla Riforma Tridentina e quel cantiere che, ad oggi, può essere considerato unanimamente il suo capolavoro in ambito architettonico: la fabbrica degli Uffizi. Evidentemente non abbastanza sfiancato da questi incarichi di altissimo profilo, Vasari stava curando, di concerto con l’editore Giunti, anche una seconda edizione de “Le Vite de’ più Eccellenti Pittori, Scultori et Architettori“, che sarebbe stata pubblicata nel febbraio del 1568. E’ legittimo, a questo punto porsi due domande: perché l’Aretino lasciò, seppur temporaneamente, i cantieri fiorentini per accettare una commissione così poco attraente come dipingere una pala d’altare per un luogo periferico e, come si vedrà in seguito, senza alcuna libertà di espressione artistica? E soprattutto, perché Cosimo permise al Romano Pontefice di sottrargli l’unico artista capace di tradurre, tramite ambiziosi progetti artistici, quel messaggio propagandistico rivolto alle corti europee atto a delineare un’immagine del Ducato di Firenze come un exemplum di potenza magnifica e magnanima al contempo, degna addirittura della grandezza degli antichi? Ambedue le questioni sono mal poste: in primo luogo è doveroso precisare che Vasari non ebbe alcun potere decisionale, anche e soprattutto perché accettare o rifiutare quanto gli veniva richiesto non rientrava affatto tra le sue prerogative; c’è poi da aggiungere che fu lo stesso Cosimo ad inviare il suo protetto presso la sobria corte dell’austero Pio V con intenzioni squisitamente diplomatiche. Il duca, infatti, stava cercando in ogni modo possibile di ingraziarsi Sua Santità affinché questi gli concedesse la tanto agognata nomina a Granduca di Toscana. Il piano mediceo non aveva però tenuto conto di un fattore di primaria importanza: Ghislieri era tutt’altro che un gran mecenate, anzi, in un primo momento aveva più volte dato prova di essere indifferente – se non addiritura ostile – nei confronti delle Arti. Basti pensare che uno dei primissimi atti del suo pontificato fu ordinare la rimozione dal Palazzo Apostolico e dal Belvedere di quasi tutte le preziose sculture antiche appartenenti alle collezioni vaticane, le quali vennero trasferite al Campidoglio. A detta del Ghislieri «non conveniva a chi era successore di Pietro tenere simili idoli in casa». Per riuscire a persuadere il papa ad accettare i servigi del Vasari fu necessaria l’intercessione del monsignore fiorentino filomediceo Guglielmo Sangalletti, tesoriere segreto e Primo Cameriere pontificio, il quale sfruttò il fortissimo ascendente che esercitava sul Successore di Pietro per piegarlo ai sotterfugi cosimiani.
L’Adorazione dei Magi
“Tornato dunque a Fiorenza, e per averlomi
Sua Santità comandato, e per molte amorevolezze fattemi, gli feci, si come avea commessomi, in una tavola l ’Adorazione dei Magi, la quale come seppe essere stata da me condotta a fine, mi fece intendere che per sua contentezza e per conferirmi alcuni
suoi pensieri, io andassi con la detta tavola a Roma.”
Giorgio Vasari, ‘Le Vite’ (ed. 1568)
Vasari raccontò la genesi dell’Adorazione dei Magi ne ‘Le Vite’, nelle ‘Ricordanze’ e nelle sue fitte corrispondenze epistolari. Dalle stesse parole dell’artista si apprende che Pio V volle seguire scrupolosamente, dal principio alla fine, la realizzazione della tavola, richiedendo in maniera costante informazioni su come stesse procedendo il lavoro. Il 12 luglio del 1566 il pontefice si fece inviare un disegno preparatorio – probabilmente proprio quello che oggi si conserva presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi – grossomodo non troppo diverso dalla versione finale dell’opera che, da quanto si può vedere, originariamente era stata concepita in forma centinata e non quadrangolare come ora la si ammira. Lo studio propedeutico al dipinto su tavola è accompagnato da un bozzetto per il perduto altare cinquecentesco della Cappella dell’Epifania, smembrato nel corso degli sciagurati interventi di rifacimento settecenteschi voluti dai domenicani in occasione della canonizzazione di Pio V e sostituito con una mensa e un’ancona tardobarocche in marmi policromi.
In una missiva di monsignor Sangalletti rivolta all’artista si legge che il committente, sebbene avesse accolto positivamente il progetto, lamentò la presenza di alcuni particolari eterodossi ed ordinò di correggerli, esortando il pittore a limitarsi a tradurre in immagine il racconto evangelico, coerentemente con ciò che la Controriforma aveva stabilito nel campo dell’iconografia sacra. Vasari aveva infatti ambientato la scena non in una stalla o in una grotta, ma in una struttura architettonica scenica tutt’altro che congruente con la narrazione dei testi sacri e, inoltre, aveva omesso – fra le altre cose – la presenza del bue e dell’asino. In ossequio alle disposizioni papali l’artista rimosse gli elementi paganeggianti, semplificò le architetture in modo tale da farle assomigliare ad una sorta di scuderia o ad una stalla e collocò l’asino e il bue sotto una piccola arcata buia sullo sfondo. I personaggi principali, prima ruotati verso destra, vennero raffigurati frontalmente nei medesimi atteggiamenti della bozza fiorentina.
Non era affatto la prima volta che il pittore si ritrovava a dover affrontare il tema dell’Epifania. Nel 1547 aveva già eseguito un altro olio su tavola del medesimo soggetto per la Chiesa degli Olivetani di Rimini e, proprio raffrontando quest’ultima con la pala boschese, è possibile ravvisare alcune analogie nelle scelte compositive. Lo stile dell’Adorazione dei Magi di Santa Croce è compatibile con quello del coevo ciclo di pitture a fresco eseguito dal Vasari e dai suoi fedelissimi collaboratori nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio.
Eccellente esemplificazione del virtuosismo e della sprezzante destrezza esecutiva dell’autore, la sovraffollata composizione è attraversata da un asse verticale passante per la monumentale figura della Vergine Maria che offre il figlio, come una novella Odigitria, alla venerazione degli astanti, e culminante in alto nella stella attorniata da putti in volo. Ai piedi del gruppo madre-figlio, vero fulcro dell’opera, Melchiorre e Gaspare, prostrati per terra, baciano i piedi al Cristo infante, il quale accetta con un gesto della manina la navicella aurea che, da sinistra, Baldassarre gli sta porgendo. Le sagome dei due Magi in basso disegnano due linee diagonali, le quali, convergendo verso l’alto e verso il centro, formano due triangoli (il numero 3 è una chiara allusione alla Trinità, mentre il due si riferisce alla duplice natura, umana e divina, del Redentore). Gli elaborati panneggi, già impreziositi dalla presenza di raffinati ornamenti, vengono ulteriormente arricchiti da ricercatissimi effetti luministici e cromatici, i quali rispondono perfettamente a quella “vaghezza de’ colori” tipica del Manierismo post-michelangiolesco.
Il dipinto doveva essere già stato portato a termine nel febbraio del 1567, dal momento che l’Aretino si recò proprio in quel frangente nella Città Eterna per sottoporre il proprio lavoro al giudizio del pontefice. Evidentemente Pio V rimase talmente entusiasta del risultato da richiedere, proprio in quell’occasione, non un’altra singola pala, ma una monumentale macchina lignea a più scomparti per l’altar maggiore sempre dell’aedificanda Chiesa di Santa Croce a Bosco.
Della pala dell’Adorazione dei Magi Vasari dipinse una replica di dimensioni nettamente ridotte per il Priore dello Spedale degli Innocenti, Vincenzo Borghini, suo caro amico. Questa versione, dipinta in contemporanea a quella boschese, si conserva attualmente ad Edimburgo presso la Scottish National Gallery.
Bibliografia
http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/23/9977_CAREDDU.pdf
https://www.academia.edu/40350887/Due_lavori_del_Vasari_nel_complesso_monumentale_di_Santa_Croce_in_Bosco_Marengo
https://www.academia.edu/42721020/La_Chiesa_di_Santa_Croce_a_Bosco_Marengo_fra_Storia_e_Restauri
https://www.academia.edu/6411812/Giorgio_Vasari_al_servizio_di_Pio_V_affermaz ione_artistica_o_ostaggio_diplomatico
Sitografia
https://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-vasari_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Storia-e-Politica%29/
https://www.treccani.it/enciclopedia/pio-v-papa-santo_%28Dizionario-Biografico%29/
Istituzioni di riferimento
http://www.museosantacroce.it/web/
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