A cura di Simone Rivara
Introduzione: il Forte di Gavi
Nell’Appennino ligure, al di là del Passo dei Giovi, il paesaggio gradatamente muta e passa da valli aspre e scoscese alle dolci colline famose per il vino e il buon cibo. Questo territorio che viene storicamente chiamato “Oltregiogo ligure” fu, nei secoli andati, una zona di grande importanza strategica dal punto di vista economico-militare, in quanto corridoio tra Genova e il Nord Italia e terra di confine fra diversi stati. Nella parte oggi Piemontese dell’Oltregiogo sorge, tra gli altri, il paese di Gavi che, proprio per la sua posizione, fu dotato di un castello, poi divenuto fortezza, conteso per secoli da genovesi, tortonesi e milanesi.
Il Forte, la storia
Le poche testimonianze documentarie e le leggende fanno supporre l’esistenza di un fortilizio già in età preromana o più sicuramente romana, come predominio sulla Via Postumia che collegava Genova con la Pianura Padana. Documenti storici testimoniano che il Castello sostenne attacchi da parte degli Ungari (899) e dei Saraceni (930-35), che giunsero a Gavi dopo aver saccheggiato e distrutto Genova.
Durante la sua discesa in Italia, l’imperatore Svevo Federico I detto il Barbarossa (1174/1177) scelse proprio il Castello di Gavi come rifugio sicuro per la moglie Beatrice ed il figlio Enrico VI dopo la dura sconfitta subita a Legnano contro i liberi comuni italiani. Nel 1191 fu proprio il figlio Enrico VI, divenuto imperatore alla morte del padre, a donare il Castello ai genovesi in cambio di aiuti militari in Sicilia; tuttavia i genovesi ebbero non pochi problemi nel governare la zona e dovettero reprimere più volte le insurrezioni dei marchesi locali alleati con Tortona, storica rivale di Genova nei primi secoli del basso medioevo. Lo scontro si concluse con il passaggio dell’intero marchesato di Gavi alla Repubblica di Genova (1202), fatto che fu essenzialmente un bene per Gavi dal momento che i genovesi fecero grandi investimenti sul Castello e sulle vie di comunicazione, vista la posizione strategica del paese. La pace raggiunta tra Genova e Tortona durò solo fino a 1224, anno in cui tortonesi e alessandrini si allearono e tentarono più volte di riprendere il Castello senza successo fino al 1231, quando si stipulò un nuovo trattato con cui vennero poste le basi per una pace definitiva.
Durante il XIV secolo Genova fu dilaniata dalle lotte intestine che indebolirono la Repubblica. Approfittando dell’instabilità politica i Visconti, duchi di Milano, nel 1348 si impossessarono dell’Oltregiogo e presero anche il Castello con l’intento di conquistare Genova. Il forte di Gavi fu venduto per 15.000 fiorini d’oro a Bonifacio (Facino) Cane, condottiero che guidò i genovesi contro il dominio francese durato dal 1394 al 1411. Il figlio di Facino, Ludovico Cane, fu deposto dai genovesi, che riacquistarono il Castello per 10.000 fiorini d’oro e vi insediarono un nuovo castellano.
Le lotte tra Genova e Milano per il controllo di Gavi e quindi del Castello si protrassero, fra alti e bassi, per tutto il XV secolo. Alla fine il Castello fu consegnato, insieme al feudo di Gavi, ai genovesi dalla famiglia Guasco, in cambio di un’enorme somma di denaro, versata dal Banco di San Giorgio, e dell’iscrizione della famiglia Guasco nell’albo d’oro della nobiltà genovese (1528).
Ripreso definitivamente il dominio di Gavi la Repubblica di Genova emanò, nel 1528, i “Capituli et ordini da observare in lo castello di Gavi”, ovvero una serie di regole e procedure per la corretta gestione del fortilizio. Nel 1529 il Castello fu visitato dall’imperatore Carlo V durante il suo viaggio in Italia. Nel 1540 furono effettuati alcuni interventi di rinforzo delle strutture, affidati all’ingegner Domenico Olgiati.
Nel 1625, durante la guerra tra Genova e le forze franco-sabaude, il governatore Alessandro Giustiniani resistette per diciassette giorni, dopodiché, rimasto a corto di munizioni, chiese una tregua di tre giorni per recarsi a Genova e ricevere istruzioni dal governo, a condizione di cedere il dominio qualora non fosse ancora rientrato allo scadere del tempo prestabilito. Il duca di Savoia decise allora di fermare e trattenere con la forza Giustiniani presso Voltaggio, sulla via per Genova, in modo tale che il Castello, privo di notizie, proclamasse la resa, cosa che avvenne puntualmente nell’aprile del 1625. Il maniero fu tuttavia conquistato nuovamente dai genovesi, con l’aiuto tedesco, pochi mesi dopo. A questo periodo risale una prima descrizione a rilievo, realizzata da Carlo Morello (fig. 1).
Sempre nel 1625, quando Genova riacquistò la stabilità politica, si decise di affidare a Gaspare Maculano il progetto per l’incremento del potenziale bellico della Repubblica. Fra’ Vincenzo da Fiorenzuola, al secolo Gaspare Maculano, prima ancora di essere un prestigioso ingegnere militare, era, appunto, un frate domenicano. Egli fu inquisitore a Pavia, Genova e poi a Roma, dove venne nominato Commissario del Santo Uffizio da Papa Urbano VIII. Tra le altre cose il Fiorenzuola, nel 1633, processò Galileo Galilei portandolo all’abiura. Del rapporto tra i due rimane una lettera scritta dal Fiorenzuola al Cardinale Francesco Barberini, che lascia trasparire una certa comprensione e umanità: “La notte passata il Signor Galileo è stato travagliato da’ dolori che l’hanno assalito, e gridava anco questa mattina, vero è che havendolo io visitato due volte riceve il medicamento maggiore dal sentirsi dire che quanto prima si sbrigherà la causa, come veramente stimerei bene si facesse stando l’età grave di quest’huomo.” ¹
Il progetto comprendeva molti forti appenninici avamposti della Superba tra cui il Forte di Gavi, che aveva subito gravi danni dopo la guerra del 1625. È con questi interventi che il Castello diventò un forte e prese, a grandi linee, la forma che conserva tutt’oggi: quasi tre volte più grande rispetto a prima con ben sei bastioni, contro i due precedenti, disposti in ogni direzione a difesa del corpo centrale, detto Maschio. Il complesso si articola su più livelli seguendo l’andamento del crinale e, in alcuni punti, le mura si fondono con la roccia, che fu abilmente e faticosamente lavorata dagli scalpellini (fig. 2).
Al Fiorenzuola si devono anche le costituzioni della cosiddetta “Cittadella”, la parte che rimane più bassa rispetto al Castello, adibita al ricovero dei soldati e ad altre funzioni pratiche, e della fortificazione di Monte Moro, collinetta poco vicino al Forte considerata il “tallone d’Achille” del baluardo; queste ultime costruzioni saranno oggetto di forti modifiche nel secolo successivo. I lavori terminarono nel 1629 e il Forte fu quindi degnamente armato sempre secondo le direttive del Fiorenzuola, che consigliò di incrementare l’artiglieria già presente con altri 26 pezzi fra “mezzi cannoni”, “sagri”, e “quarti di cannone”; inoltre stabilì che, per un corretto funzionamento, dovevano operarvi 130 soldati in totale. Nel 1632 si provvide a migliorare le vie di accesso al forte stesso, di conseguenza furono allargate le vie che conducevano a Novi Ligure (Via Lomellina) e a Voltaggio. Nel corso della seconda metà del XVII secolo e la prima del XVIII il Forte venne ancora ampliato significativamente dagli interventi di Ansaldo de Marini e successivamente di Giovan Pietro Morettini. Tra gli altri interventi si aggiunse un corpo di fabbrica alla Cittadella per accogliere più soldati. I due ingegneri, inoltre, potenziarono il bastione di Monte Moro (che oggi risulta quasi invisibile, mimetizzato nel verdeggiante paesaggio) perché, fra tutti, era quello più esposto all’attacco nemico (fig. 3, 4).
L’ultima battaglia di cui il forte fu testimone risale al periodo Napoleonico: quella di Gavi fu l’unica fortezza francese a non cadere in mano nemica durante gli assedi austro-russi prima della vittoria di Napoleone a Marengo, avvenuta il 14 giugno 1800. Nel 1814, però, il comandante francese a Gavi, Bernardino Poli, dopo una lunga resistenza contro l’esercito inglese di Bentick, fu sconfitto e costretto a consegnare il forte agli inglesi in seguito al trattato di pace stipulato tra Francia, Inghilterra e Austria. Nel 1815, con il congresso di Vienna, Gavi fu ceduta al Regno di Sardegna assieme a tutta la Repubblica di Genova. Successivamente, con l’Unità d’Italia, Gavi entrò a far parte della provincia di Alessandria e il Forte perse la sua secolare funzione di baluardo militare.
La fortezza fu disarmata e adibita a penitenziario civile fino al 1906. Nel 1908 l’imponente opera difensiva venne dichiarata di notevole interesse storico-artistico dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Durante la Prima Guerra Mondiale fu utilizzata nuovamente come carcere per i prigionieri austriaci e i disertori italiani. Al termine del conflitto fu assegnata al Consorzio Cooperativo Antifilosserico per la sperimentazione nei vigneti e, nei terreni interni al Forte, furono piantate diverse specie di vitigni. Nel 1933 venne presa in consegna, con verbale del 23 maggio, dalla Soprintendenza all’arte Medievale e Moderna del Piemonte, essendo stato riconfermato l’interesse storico-artistico dal Ministero. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel Secondo Conflitto Mondiale il maniero venne ancora una volta convertito a penitenziario (questa volta per prigionieri inglesi), e, dopo l’otto settembre, occupato dai nazisti e destinato alla detenzione dei partigiani, numerosi nella zona. Il Forte trovò pace il 21 ottobre 1946, quando venne consegnato definitivamente alla Soprintendenza.
Qui termina la prima parte dell’articolo che riguarda questo mastodontico forte, il mese prossimo si approfondirà ulteriormente l’argomento.
Note
¹ Di Raimondo Armando, pagine 55,56.
Bibliografia
Pernice Francesco, Il Forte di Gavi, Ministero per i beni culturali e ambientali Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Piemonte, Celid, Torino 1997.
Di Raimondo Armando, Il Forte di Gavi (1528-1797), Erga Edizioni, Genova 2008.
Dellepiane Arturo, POLCEVERA-LEMME-SCRIVIA-BORBERA Itinerari di arte e di storia, Tolozzi editore.
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