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A cura di Stefania Melito

Introduzione

Nei precedenti articoli sulla certosa di Padula si sono tratteggiati la corte esterna, ossia il primo luogo che si offre allo sguardo del visitatore, e il Chiostro della Foresteria, uno dei primi ambienti da cui parte il percorso all’interno del monumento, ovvero un insieme di chiostro e soprastante loggiato con funzioni di accoglienza di ospiti illustri e rappresentanza del potere certosino. Nel corso del presente articolo si parlerà invece del fulcro spirituale del complesso cenobitico: la chiesa.

La porta della chiesa

Come detto in precedenza, la porta della chiesa affaccia sul Chiostro della Foresteria, ed è una delle pochissime parti originali trecentesche giunte fino a noi. Si tratta di un ampio portone a due battenti realizzato in cedro del Libano, legno molto utilizzato per il suo significato biblico di maestà e bellezza, datato 1374 e decorato da un complesso sistema di formelle, con cornici a rilievo, che corrono lungo tutta la superficie; le scene al loro interno spesso presentano motivi fitoformi, che continuano in maniera ininterrotta da una formella all’altra. All’interno delle cornici sono presenti delle lettere gotiche, che su di un battente compongono la scritta Ave Maria Gratia Plena, mentre sull’altro Cartusiensis Ordinis. Alle lettere sono abbinate le rappresentazioni di episodi mariani ed episodi della vita e del martirio di San Lorenzo. La porta secondo alcuni è opera di Antonio Baboccio da Piperno, abate scultore e orafo attivo nel Meridione in quel periodo, anche se la prima opera certamente attribuibile a lui è datata 1407 ed è il portale maggiore della cattedrale di Napoli. La porta è inserita in un portale marmoreo che reca gli stemmi della famiglia Sanseverino, databile tra la fine del ‘400 e i primi del ‘500, e che ai lati presenta una decorazione a candelabri mentre alla sommità una scritta recita “GLORIA IN EXCELSIS DEO ET IN TERRA PAX HMNB”. Tale portale si inserisce nel clima generale di rinnovamento artistico che investe Napoli e che, grazie ai rapporti di potere dei certosini con il mondo esterno, arriva fino a Padula: la realizzazione del portale infatti sembrerebbe opera della bottega di Tommaso Malvito, scultore comasco allievo del Laurana attivo dal 1484 a Napoli e autore di varie opere nella capitale partenopea, oltre che direttore dei lavori della cappella Carafa del duomo napoletano, la più importante di tutte in quanto destinata ad accogliere le reliquie di San Gennaro. La decorazione a candelabre presente nella cappella sembra infatti stilisticamente affine a quella del portale certosino.

La chiesa

Una forte scenografia barocca su un impianto gotico è la prima cosa che si nota entrando in chiesa, insieme alla presenza di un muro esattamente di fronte all’ingresso, con al centro una porta-grata, che divide in due l’aula e separa il primo ambiente da un altro situato al di là di essa.

By Velvet – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20598173.

La costruzione della chiesa della Certosa prende avvio dopo il 1321, anno in cui il nipote del fondatore della Certosa, Tommaso III, scrive al priore della Certosa, donandogli 12 once d’oro per la realizzazione della nuova chiesa in memoria del padre e del nonno. Sempre Tommaso III sarà colui che fonderà la chiesa di San Francesco a Padula nel 1380. Sono anni in cui si assiste, nel Vallo di Diano e nella vicina Napoli, ad una fiorente attività culturale testimoniata dalla circolazione di artisti tra province richiamati da committenze prestigiose; Tommaso Malvito citato in precedenza ne è un esempio, ma in questi anni il “nome di grido” è quello di Tino da Camaino, uno dei massimo scultori senesi, allievo di Giovanni Pisano e ideatore del progetto della Certosa di S. Martino e Castel Sant’Elmo, la cui attività è documentata a Napoli a partire dal 1323. Nel 1336 è autore, su commissione diretta dei Sanseverino, della tomba di Enrico Sanseverino (figlio del fondatore della Certosa Tommaso) a Teggiano, poco distante da Padula: è lecito quindi supporre una sua presenza anche nel vicino cantiere della Certosa, altro feudo dei Sanseverino, dove proprio in quegli anni si stava costruendo o terminando la chiesa. Cosa certa è che grazie a questa committenza illustre anche nel Vallo di Diano arriva il gotico, così fortemente voluto da Roberto D’Angiò, che prenderà appunto il nome di gotico angioino.

L’impianto della chiesa della Certosa di San Lorenzo è ad aula unica rettangolare con volte a crociera (un’altra delle rare testimonianze originali della struttura trecentesca giunte fino a noi) costolonate che si appoggiano su robusti pilastri laterali, mentre sul lato destro si aprono quattro cappelle a infilata. Il muro centrale succitato, coronato da una statua di San Lorenzo in gloria, divide l’ambiente in due zone: la prima, entrando, più piccola, che era riservata ai conversi, ossia coloro che si incamminavano sul sentiero della clausura, mentre la seconda, molto più grande, era riservata ai Padri, ossia i monaci a tutti gli effetti.

L’ultima parte è quella contenente l’altare, quindi si può dire che tutto l’ambiente sia suddiviso in tre aree quadrate.

Sulla struttura gotica si innesta un ammodernamento barocco che si esplica in precise scelte decorative: un ciclo veterotestamentario nel primo ambiente, caratterizzato da scene di Profeti e santi che si affidano a Dio o muoiono per Lui, contrappunta il ciclo del Nuovo Testamento nella parte riservata ai Padri, laddove emergono con chiarezza la bontà e la misericordia divine. Il ciclo pittorico è opera del palermitano Michele Ragolìa, pittore tardo cinquecentista attivo in costiera amalfitana, a Napoli e nel salernitano, come provano le 40 tele dipinte per il convento di Sant’Antonio a Polla, distante pochi chilometri da Padula.

By Velvet – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20598039.

Tale scelta iconografica deriva dalla volontà di rappresentare lo status delle due condizioni: quella dei conversi, ai quali bisogna rammentare che soltanto affidandosi pienamente a Dio saranno degni della loro scelta, e quella dei Padri, che a scelta compiuta godono della pienezza dell’amore divino. Ad ulteriore sottolineatura di questo concetto concorrono le scene raffigurate sui cori lignei dei due ambienti, databili ai primi anni del Cinquecento, rispettivamente 1503 quello dei Padri e 1507 quello dei conversi, fatti eseguire probabilmente sotto il priorato di Pietro Paolo Lumbolo da Gaeta (1493-1507) da tale Giovanni Gallo, artista interno all’ordine certosino. Sul coro dei Padri, formato da 36 stalli e dal programma iconografico più articolato, sono presenti infatti scene tratte dal Nuovo Testamento raffiguranti episodi della vita di Cristo dall’Annunciazione alla Pentecoste (sui dossali), scene di martirio di santi e apostoli (sugli inginocchiatoi) e le vite dei padri del deserto (sulla fascia mediana dei dossali), il tutto intervallato da iscrizioni, mentre sul coro dei conversi, più semplice, sono presenti scene di Santi, ritratti all’interno di architetture o paesaggi, e figure di Padri della Chiesa.

By IlSistemone – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41904039, coro dei Padri.

Nella parte della Chiesa riservata ai conversi trovano posto anche due altari addossati al muro divisorio (una simile scelta compositiva si ritrova nella Reale Certosa dell’Assunzione a Granada) sormontati da due busti di santi.

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Questi due altari sono simili a quello, molto più imponente e maestoso, a doppia faccia con putti ed animali aggettanti alle estremità, che si trova nella parte riservata ai Padri, opera di Gian Domenico Vinaccia della seconda metà del 600. Gli altari sono stati eseguiti con la tecnica della scagliola, ossia un impasto di gesso unito a pigmenti naturali che imitava il marmo: la particolarità di questi altari, che ne testimonia la preziosità, risiede invece nell’utilizzo di pietre dure e madreperla al posto dei coloranti naturali, che danno vita a preziosi effetti virtuosistici di grande impatto.

Il pavimento presenta un motivo tridimensionale sui toni del bianco, del grigio e del nero tranne che nella parte riservata ai Padri, ove trova posto un ammattonato maiolicato settecentesco della bottega dei Massa, gli stessi che hanno realizzato le maioliche del chiostro di Santa Chiara a Napoli. Secondo Giovan Battista Pacichelli sul fondo della chiesa si trovavano un’ancona dipinta da Luca Giordano e vari dipinti del Farelli, oggi purtroppo andati perduti a causa delle spoliazioni napoleoniche, come si nota dai grandi riquadri tristemente bianchi delle pareti. Ai lati dell’altare due dipinti ottocenteschi rappresentano uno La morte di San Brunone e l’altro Il martirio di San Lorenzo, mentre dietro l’altare trova posto la tela con San Lorenzo e San Bruno ai piedi della Vergine con Bambino.

Accanto alla chiesa vi sono quattro cappelle laterali: il capitolo dei conversi, la cappella dell’Ecce Homo, la cappella del Crocifisso e la cappella delle reliquie, che conserva al suo interno un reliquiario a parete ove il Pacichelli attesta la presenza di “[…] un braccio di San Lorenzo, una spina della Corona del Redentore, la camicia intiera di San Carlo Borromeo e altre”. Sempre in questa cappella è presente un affresco a figura intera di San Giovanni Battista che però, a causa delle trasformazioni della chiesa successive al Trecento che hanno portato all’ampliamento della finestra posta in essa, risulta oggi letteralmente decapitato.

Di DaianaDiRella – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=81833222 cappella del Crocifisso.

Dietro l’altare maggiore si colloca infine la Sacrestia, caratterizzata da grandi armadi in legno di noce e acero, che contenevano sia i paramenti sacri e sia le sculture di San Bruno, San Lorenzo, di San Michele Arcangelo e di una Madonna con Bambino, tutte opere di un certo Fra Stefano, converso della Certosa di Trisulti che pare le abbia realizzate nel 1686. La Sacrestia contiene un maestoso ciborio in bronzo, opera di Jacopo o Giacomo del Duca, che inizialmente si credeva fosse stato eseguito su disegno di Michelangelo Buonarroti, mentre studi successivi hanno smentito questa ipotesi. Il ciborio è situato su un altare che presenta un paliotto finemente decorato a scagliola.

Di Lucamato – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=73040967 Sacrestia della chiesa di San Lorenzo con ciborio su altare con paliotto in scagliola.

 

Bibliografia

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D’Anzilio M, Il monumento funebre Sanseverino nella pieve di Santa Maria Maggiore di Diano: alcune considerazioni, pp. 201-216, in Le Diocesi dell’Italia meridionale nel Medioevo. Ricerche di storia, archeologia, storia dell’arte, in Atti del Convegno, Benevento, Cerro al Volturno, Volturnia Edizioni 2019

Capano A, Il desertum vitae. Tra spiritualità, economia e ricerca della bellezza, pag. 189, in A. Baldini e A. La Greca, Uno scrigno per l’UNESCO. I siti, la cultura immateriale e le aree di interesse comunitario nel Cilento e nel Vallo di Diano. aspetti storico-antropologici, Torre Orsaia 2019

Restaino C, Le tarsie lignee della Certosa di Padula. Rapporti tra immagini e testi nel coro dei padri

ll Regno di Napoli in prospettiva, Volume 1, Arnaldo Forni editore

Redin G., Jacopo Del Duca, Il Ciborio Della Certosa Di Padula El Il Ciborio Di Michelangelo Per Santa Maria Degli Angeli

 

Sitografia

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https://www.treccani.it/enciclopedia/michele-ragolia_(Dizionario-Biografico)/

http://www.polomusealecampania.beniculturali.it/index.php/amministrazione/amministrazione-trasparente/35-certosa-di-san-lorenzo-padula-gli-ambienti

http://www.culturaitalia.it/opencms/it/contenuti/percorsi/percorso139/index.html

http://www.academia.eu

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