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A cura di Matilde Lanciani

Il Tempio del Valadier: un capolavoro neoclassico

Il Tempio del Valadier è un’architettura neoclassica commissionata da Papa Leone XII (Annibale Sermattei della Genga) a Giuseppe Valadier nel 1828. Già nel 1029, nello stesso luogo dove ora sorge la costruzione, esisteva un oratorio ancora visibile addossato alla parete rocciosa della grotta, il quale costituisce lo sfondo di queste meravigliose strutture. Il legame tra Naturalia e Artificialia è rafforzato dal percorso di 800 metri (Fig.1) in salita per arrivare a questo sito, raggiungibile a piedi o in bicicletta, che ripercorre le fasi della passione di Cristo. “Infrasaxa” era il nome attribuito a quest’ultimo dalle monache benedettine di clausura e, ancora oggi, esso costituisce un punto privilegiato di preghiera e venerazione dei fedeli (Fig.2) con frequenti allestimenti liturgici, processioni o realizzazioni di scenografie simboliche, come ad esempio quella del Presepe Vivente.

Il Tempio del Valadier, di forma ottagonale, è realizzato in travertino locale e la copertura del tetto è costituita da lastre di piombo. Al suo interno ospitava una scultura di Canova: la Vergine con il Bambino (Fig.3) realizzata in marmo di Carrara, oggi custodita al Museo di Genga, e sostituita nel luogo originario da una copia lapidea. Per secoli il Tempio fu utilizzato come riparo per la popolazione locale da saccheggi, luogo di pentimento per i peccatori o ancora tappa di pellegrinaggi, in quanto naturalmente dotato di una mistica spiritualità rafforzata dallo splendido paesaggio circostante. Architettura e arte si fondono in un bene culturale che rappresenta ed esprime il connubio tra patrimonio materiale e immateriale.

Fig. 3

Il complesso di cui fa parte questa architettura è quello dell’Eremo di Santa Maria Infra Saxa a Genga, in provincia di Ancona. Il Monasterium S. Mariae Bucca sassorum, posto sul vicino Monte Ginguno, dove ora sorge il Tempio del Valadier, è documentato da una serie di fonti medievali benché oggi non ne restino tracce, se non dell’oratorio (Fig.4) sopra citato. Nell’eremo si venerava un’immagine lignea di origine incerta rappresentante la Madonna, andata distrutta durante un incendio, che subì numerosi tentativi di trafugamento nel corso dei secoli. Quest’ultima fu sostituita da quella in pietra che è possibile ammirare ancora oggi.

Fig. 4

La pianta ottagonale del tempio è tradizionalmente volta a indicare l’elemento femminile, ossia la figura della Vergine, come ad esempio nella Rotonda degli Angeli di Brunelleschi a Firenze, e ricorda la struttura classica del Battistero; non mancano però riferimenti all’esempio ravennate, basti pensare al Mausoleo di Teodorico. Recentemente la cronologia del Tempio è stata spostata al 1817 e la realizzazione attribuita anche a Carlo Donati, Tommaso Zappati e Pietro Ghinelli, quest’ultimo autore di importanti edifici marchigiani in stile neoclassico come il Foro Annonario di Senigallia o il Teatro delle Muse di Ancona.

Il legame con il paesaggio è un tema che viene ad innestarsi nell’architettura e nell’arte già in epoca rinascimentale a Pienza, ove Papa Pio II Piccolomini fece progettare una loggia nel suo Palazzo che si affacciava sulle campagne dell’antica Corsignano. Tale tema sarà poi ulteriormente sviluppato nella Villa Madama di Raffaello o da Bramante nel Belvedere Vaticano con una serie di terrazzamenti e livelli che configurano un percorso ascensionale, attraverso la fede, verso Dio. Lo stesso intendimento fu quello del Vignola quando realizzò Palazzo Farnese a Caprarola.

In prossimità del Tempio del Valadier è inoltre possibile ammirare l’Abbazia romanica di San Vittore alle Chiuse (Fig.5) e il ponte romano, i quali accrescono la suggestività dello scenario dove sorge l’architettura: si tratta del Parco della Gola Rossa e di Frasassi, complesso ipogeo di massima rilevanza dove si trovano anche le caratteristiche grotte ricche di millenarie e imponenti stalattiti e stalagmiti.

Fig. 5

Larchitetto

Giuseppe Valadier (Roma, 1762-1839) fu storicamente considerato uno dei massimi esponenti del Neoclassicismo, come si evince dalla celebre facciata di S. Pantaleo a Roma. Oltre che architetto fu anche urbanista (progettò Piazza del Popolo e del Pincio a Roma (Fig.6)) e si distinse in numerosi lavori di restauro di monumenti antichi. Valadier connotò il periodo romano dal papato di Pio II alla Restaurazione, e studiò appassionatamente Palladio e l’architettura francese che furono i suoi principali modelli.

I suoi avi emigrarono dalla Francia a Roma nel 1714 e il padre orafo lo accolse nella sua bottega come apprendista e continuatore dell’attività sino al 1827. In seguito la sua predilezione per l’architettura emerse incondizionatamente e ricevette una serie di meriti come architetto dei Sacri Palazzi (1781), architetto camerale (1786) e, dal 1810, direttore dei lavori pubblici di beneficenza. Al termine di questo incarico proseguì la sua attività come insegnante presso l’Accademia di San Luca (1821-37) pubblicando molte sue lezioni, tra di esse la celebre L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra dell’insigne Accademia di S. Luca (1828-39). Tra le altre sue opere teoriche si ricordano: Raccolta di diverse invenzioni (1796), Progetti architettonici (1807), Della basilica di S. Paolo sulla via Ostiense (1823) e Opere di architettura e ornamento (1833).

Le opere

La prima sfida architettonica di Valadier fu la ricostruzione del Duomo di Urbino (1789), a cui seguirono i lavori romani di Palazzo Braschi, il restauro di Ponte Milvio e le facciate di S.Pantaleo e S.Rocco. Lavorò in seguito alla villa del principe Poniatowski (1800-1817) e risistemò a terrazzamenti Piazza del Popolo e Piazza del Pincio. I giardini furono un altro elemento caro a Valadier, infatti egli attuò una riqualificazione naturalistica tra la via Flaminia e il Tevere e da Ponte Milvio al porto di Ripetta. Progettò inoltre una loggia porticata e una rotonda attorno alla Colonna Traiana e strade interne ed esterne alle Mura Aureliane in seno ad un miglioramento urbanistico.

A Cesena fu attivo per Pio VII nella Chiesa di S. Cristina (1814-25) per cui realizzò, con Thorvaldsen, la monumentale tomba in S.Pietro. Infine nell’ultimo periodo della sua carriera si dedicò al restauro dell’Arco di Tito (1819-21) e del Tempio della Fortuna Virile (1829-35).

Fig. 6

Bibliografia

Marconi, P. (1964). Giuseppe Valadier. Officina edizioni.

Pasquali, S. (2015). Giuseppe Valadier, 1964: una recensione postuma. Ricerche di storia dell’arte, 38 (2-3), 82-84.

Treccani, voce “ Giuseppe Valadier”.

Valadier, G. (1831). L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra dell’insigne Accademia di San Luca (Vol. 2).

Sitografia

Il Tempio del Valadier: una chiesa nella roccia

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