A cura di Alice Casanova
Introduzione: la casa-museo dell’Alchimista
Lungo la strada che sale all’altopiano dell’Alpago, nella provincia di Belluno, si incontra la località di Valdenogher di Tambre, un piccolo paese che, secondo la tradizione locale, diede rifugio ad un alchimista veneziano perseguitato dalla Santa Inquisizione. Oggi la casa dove il nobile praticava indisturbato i suoi esperimenti è divenuta una Casa Museo, più propriamente conosciuta come la “Casa Museo dell’Alchimista”.
La leggenda narra si chiamasse Alessandro Lissandri (1) e che fosse un nobile veneziano costretto a lasciare la lontana Alessandria d’Egitto per sfuggire alla condanna a morte della Chiesa, che lo accusava di stregoneria. Grazie all’intervento della Repubblica Serenissima di Venezia il nobile riuscì a rifugiarsi nella piccola località di Tambre e a costruire una casa per praticare la sua arte: la ricerca della Pietra Filosofale.
La cultura della Pietra Filosofale, e con essa quella dell’alchimia, fece ingresso in Europa dopo il 1000 d. C. principalmente attraverso la tradizione araba – al–kimya in arabo significa appunto “pietra filosofale” – anche se sappiamo che le medesime conclusioni riguardo i processi alchemici erano state raggiunte anche in altri luoghi, come la Grecia e l’Egitto (2). La costante ricerca degli alchimisti per tale pietra era dovuta alle sue straordinarie proprietà magiche, ovvero alla sua capacità di guarire da qualsiasi malattia non solo gli uomini, ma anche gli animali ed i metalli. Basterebbe dunque un po’ di “pietra filosofale” per “guarire” il piombo o il rame e trasformarli in metalli preziosi come l’oro e l’argento. L’opera alchemica o Magnum opus– così è chiamato il lavoro di ricerca dell’alchimista – è costituita principalmente da tre fasi, la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo, le quali sono caratterizzate dall’apparire di tre colori, rispettivamente il nero, il bianco ed il rosso e sono rappresentate allegoricamente da tre animali, il corvo, la colomba e la fenice. Ogni fase dell’opus alchemica è caratterizzata da un diverso approccio a qualsiasi tipo di materia – anche macabra come feti o feci, motivo per cui venivano accusati di stregoneria – finalizzato alla ricerca della Pietra.
L’interno
La casa-museo dell’Alchimista è costituita principalmente da due blocchi architettonici: il primo, che vediamo dalla strada, (Fig.1) è di origine cinquecentesca ed ha un aspetto tardo gotico, mentre il blocco sul retro è datato 1800 ed è tuttora adibito a museo. La facciata, del tutto singolare nell’architettura veneta e in quella alpagota, è forse uno degli aspetti più curiosi dell’intero complesso. Le piccole finestre rettangolari – 12 come i mesi dell’anno – sono decorate con finte trabeazioni, mentre al piano nobile spicca la bifora ad arco trilobato con bassorilievi, sostenuta da colonnine con capitelli e sormontata da un architrave (3). Al piano terra, degli archi ribassati con chiave d’arco (4) sono sostenuti da colonnine doriche. La facciata è inoltre decorata con sculture di origine cinquecentesca in pietra bianca e pietra rossa – detta “de la Secca” – raffiguranti pittoreschi ed originali simboli alchemici. Furono queste simbologie ermetiche e la tripartizione della casa in tre piani a suggerire fin da subito la natura particolare della dimora e la sua connessione con i riti dell’alchimia. Tra gli elementi che caratterizzano la facciata si scorgono infatti delle coppie di serpenti [Fig.2], presenti nelle chiavi degli archi laterali al primo piano, Mercurio alato (si suppone) posto nella chiave dell’arco centrale [Fig.3], e all’ultimo piano la figura dell’ermafrodita [Fig.4]. Iniziando l’analisi dalle due serpi al primo piano, si nota che esse sono raffigurate mentre si incrociano, avviluppandosi simmetricamente attorno ad un unico asse; ciò rappresenta le forze opposte e complementari della natura con le quali l’alchimista lavora. Il simbolo delle due serpi ricorda anche lo scettro del Dio Mercurio, messaggero e guaritore degli dei (la stessa verga con i serpenti è rappresentata infatti nell’icona dei farmacisti). Mercurio lo si ritrova nella chiave d’arco centrale, con in basso probabilmente un albero di vite, considerato nella tradizione alchemica anche “albero da cui nasce la vita”. Altro simbolo venerato dagli alchimisti è l’ermafrodita [Fig.]; l’unione in un solo individuo dell’essere femminile e di quello maschile è considerato come la perfezione. Anche il prototipo dell’alchimista per eccellenza veniva visto nella tradizione come un ermafrodita. Più propriamente, l’alchimista tipo doveva essere un anziano che, seppur sul finire degli anni, portava in grembo il germe della rinascita ed è dunque raffigurato nei libri alchemici come un uomo gravido [Figg. 5-6].
Proseguendo l’analisi della facciata si osserva come essa si sviluppi su tre piani, i quali rimandano a loro volta alle tre fasi della lavorazione della materia – le già citate Nigredo, Albedo e Rubedo – i cui colori caratteristici vengono ripresi all’interno dell’edificio.
L’interno della casa-museo dell’Alchimista
Entrando nel complesso architettonico si può osservare come il piano terreno si snodi in quattro ambienti con pavimentazione in pietra e come le pareti siano caratterizzate da una particolare colorazione nera. Tale aspetto è correlato ad un’altra peculiarità del piano terra, ovvero la presenza di un “Athanor”, l’antico focolaio dell’alchimista [Fig.7], e la totale assenza di camini. In questo piano della casa l’alchimista metteva in pratica la prima fase dell’opera alchemica, la Nigredo, ovvero la lavorazione della materia per farla regredire allo stato caotico. Lo strumento principale con il quale gli alchimisti cercavano di far regredire la materia era il fuoco, per la sua capacità di “sciogliere” gli elementi. Per ovviare al problema della mancanza di canne fumarie si praticarono dei fori sopra le porte, per facilitare l’uscita dei fumi, il che però provocò nel tempo l’annerimento delle pareti.
Salendo al secondo piano della casa-museo dell’Alchimista si accede alla fase della “purificazione”, quella dell’Albedo, dove la materia, già regredita, trovava la purificazione attraverso alcune operazioni, tra le quali il bagno alchemico. Se per la prima fase l’elemento allegorico era il corvo, in questa fase l’animale caratteristico era la colomba.
Il terzo ed ultimo piano rappresenta infine la Rubedo, la fase in cui la materia rinasce, come una fenice, dalle proprie ceneri.
Nel XVIII sec. la casa-museo dell’Alchimista divenne proprietà di Alessandro Bortoluzzi, i cui discendenti rinominarono la casa “Palazzo dei Lissandri”.
Note
“Lissandri” è probabilmente un cognome che è stato aggiunto a posteriori per ricordarne la provenienza (li-Sandri, ovvero “quelli di Alessandria”)
Va fatto notare che l’alchimia è nata in diverse parti del mondo. Oltre che nel mondo arabo, anche i greci erano arrivati alle medesime conclusioni, la parola greca chumeia significa “fusione”. Infine, la parola egiziana alkemi vuol dire “arte egizia”.
Bifora: tipo di finestra divisa verticalmente in due aperture da una colonnina sui cui poggiano due archi. Arco trilobato: arco a spigoli arcuati, ovvero un arco che al suo interno è composto da tre archetti minori. Architrave: elemento architettonico orizzontale che scarica il suo peso su altri elementi.
Chiave d’arco: o “chiave di volta”, è una pietra lavorata posta all’apice di un arco o di una volta.
Ad oggi solo quello centrale è aperto a causa delle manomissioni settecentesche.
Bibliografia
Rizzardo, C. Vecchione, G. Zanella (a cura di), Casa museo dell’alchimista, Valdenogher – Tambre d’Alpago (Bl), Unione Montana Alpago, 2017.
Sitografia
http://museisitialpagocansiglio.it/it/musei-siti/casa-museo-alchimista/
http://www.villevenetecastelli.com/ville-castelli-palazzi-e-dimorestoriche-del-veneto/index.php/it/le-nostre-ville/provincia-di-belluno/1509-casa-valdenogher
Immagini
Immagini di dominio pubblico tratte da Google Immagini e dal Sito Web ufficiale dei musei dell’Alpago.
http://museisitialpagocansiglio.it/it/musei-siti/casa-museo-alchimista/
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