A cura di Ornella Amato
Il complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara: le origini
Il Complesso Monumentale di San Giovanni a Carbonara è uno di quei gioielli nascosti di storia e storia dell’arte che non solo raccontano silenziosamente un passato glorioso e lontano, ma incuriosiscono tutti: dallo storico al turista, poiché non è solo uno scrigno d’arte, ma tra le sue mura conserva e, quasi sottovoce, racconta aneddoti nascosti della città di Napoli dalla fine del gotico all’inizio del Rinascimento, fino ad arrivare e con un salto temporale al Settecento con la scala in piperno davanti la facciata che fu opera del Sanfelice.
La chiesa di San Giovanni a Carbonara
La chiesa – punto centrale del complesso e dalla quale tutto si snoda – è dedicata a San Giovanni Battista ed è detta “a Carbonara” sia perché si trova proprio in via Carbonara, precisamente in via Carbonara n. 4, sia perché durante il medioevo quest’area, detta “Ad Carbonetum” era l’area esterna alla città dove si accumulavano i rifiuti cittadini, insomma una vera e propria discarica.
Durante la dominazione angioina la zona divenne l’area nella quale si tenevano fiere e giostre, giostre spesso talmente cruente da provocare non poca irritazione anche tra letterati del tempo.
La realizzazione della chiesa di San Giovanni a Carbonara avvenne tra gli anni 1339 e il 1418 grazie al contributo del nobile napoletano Gualtiero Galeota ma, per volere di Ladislao di Durazzo ultimo erede del casato degli Angiolini, si procedette ad un ampliamento, compresa la realizzazione del chiostro.
Nella chiesa convivono non solo gli elementi del ‘300 e del ‘400 ma, già ad un primo esame degli esterni, ci si rende conto che in essa è entrata tutta la storia dell’arte d’Italia, a cominciare dallo scalone settecentesco realizzato da Ferdinando Sanfelice, che conduce davanti al portale gotico caratterizzato da due pilastri e una lunetta affrescata dal Lombardo Leonardo da Besozzo.
L’interno di San Giovanni a Carbonara è ad unica navata, a croce latina, quasi austera, con l’abside caratterizzata da una volta a crociera secondo i canoni del gotico; la pavimentazione invece è di marmo policromo e, all’interno della stessa, non sono stati pochi a voler vedere anche dei simboli massonici, come ad esempio le forme ortogonali che, a ben guardare, formano le piastrelle.
La chiesa di San Giovanni a Carbonara conta sei cappelle: quattro laterali, una nella controfacciata, la Cappella Somma
ed una alle spalle dell’abside, quale è la cappella Caracciolo del Sole, alla quale si accede passando sotto il Monumento Funebre di Ladislao di Durazzo.
Il Monumento Funebre di Ladislao di Durazzo
Ladislao di Durazzo, re di Napoli, figlio di Carlo III D’Angiò, fu un sovrano politicamente ambizioso: la sua politica estera fu caratterizzata da forti mire espansionistiche, e il suo motto, “o Cesare o niente”, ben dimostra il suo temperamento. Scomunicato, visse una vita in bilico tra l’ambizione e il timore continuo di una morte per avvelenamento, una morte che, stando alle fonti, più volte avrebbe beffato, poiché viaggiava sempre col suo coppiere, il cui compito era quello di assaggiare tutto ciò che sarebbe stato servito il sovrano.
Destino volle che la sua fine fosse segnata proprio da un avvelenamento, quasi subdolo: si racconta infatti che, innamoratosi della figlia di un medico fiorentino facente parte della fazione nemica dei Durazzo, volle giacere con lei; il padre acconsentì alla sua richiesta ma, qualche istante prima che si coricasse, intinse le labbra intime della figlia di un potente veleno che uccise il re, il quale rimase vittima non solo di una vera e propria congiura, ma anche del suo stesso piacere verso le donne.
Il suo nome resta legato al monumento funebre a lui dedicato all’interno della chiesa di San Giovanni a Carbonara, più che una chiesa un vero e proprio Pantheon del casato D’Angiò – Durazzo, così com’è definito da molti storici.
Realizzato per volere di Giovanna, sorella di re Ladislao, il monumento funebre è un’opera grandiosa in marmo, alta circa 18 metri, un gioiello dell’arte tardo gotico e proto rinascimentale, che monopolizza l’attenzione dello storico, del turista, del visitatore che entra e che vede davanti a sé un’opera dalle mastodontiche dimensioni.
L’opera è stata realizzata soprattutto da scultori toscani, tra il 1414 e il 1430 e, per tradizione, è attribuito ad Andrea da Firenze, attivo in quegli anni proprio nella chiesa San Giovanni a Carbonara, il quale avrebbe ricevuto la commissione direttamente dalla Regina Giovanna succeduta sul trono dopo la morte del fratello.
L’opera si sviluppa su tre livelli: il primo vede un frammento marmoreo con le quattro virtù cardinali, al primo ordine risaltano in particolare le statue di Ladislao e della sorella Giovanna in trono nel gruppo centrale, collocati come se fossero all’interno di un loggiato e, alle loro spalle, ancora sono visibili gli affreschi coi simboli del casato angioino.
Il terzo ordine invece non si sviluppa in senso orizzontale ma in senso verticale ed è caratterizzato dal sarcofago del re aperto da due angeli reggi-cortina; alla base sono presenti quattro figure che rappresentano, oltre lo stesso re e la sorella, anche i genitori Carlo III e la moglie Margherita di Durazzo.
Volgendo lo sguardo verso l’alto si incontra anche il santo della casa D’Angiò, San Ludovico da Tolosa, che benedice la salma di Ladislao;
La statua equestre del re, sull’ultimo ordine, con la spada sguainata e puntata verso l’alto, sormonta totalmente il mausoleo. Risalta, alla base, la scritta “Divus Ladislaus”.
Diverse sono state le letture e le interpretazioni di questa rappresentazione del sovrano sulla cima del monumento: le letture tradizionali che si danno sono due:
- All’indomani della scomunica, Ladislao, in groppa al suo cavallo, sfida la Chiesa;
- L’esaltazione delle sue virtù militari.
Resta certa l’interpretazione della presenza del cavallo, legata alla maniera scultorea tardogotico lombarda.
Il Crocifisso di Giorgio Vasari
Merita di essere citato il Crocifisso realizzato da Giorgio Vasari, all’interno del Complesso stesso, un olio su tela conservato all’interno della chiesa stessa.
Si tratta di un Crocifisso databile intorno al 1545, che alcune fonti raccontano che non sarebbe l’unica opera realizzata dal Vasari per la chiesa, ma che avrebbe fatto parte di un gruppo di opere conservate attualmente presso il Museo di Capodimonte.
Le fonti raccontano che il dipinto sarebbe stato realizzato a Roma e, solo in un secondo momento, spedito a Napoli per essere collocato all’interno della Cappella Seripando poiché fu commissionata dallo stesso cardinale Gerolamo per porla nella cappella di famiglia all’interno della chiesa di San Giovanni stesso.
Attualmente è collocata accanto al monumento sepolcrale di Ladislao; lo spostamento si è reso necessario per i lavori di restauro che hanno interessato la cappella stessa a partire dall’anno 2011.
Bibliografia
I.Maietta. Vasari a Napoli – Paparo editori
Sitografia
Treccani.it
Napoligrafia.it
Napoli-turistica.com
Napolike.com
Touringclub.it
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