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A cura di Stefania Melito

 

 

Introduzione

Uscendo dalla cucina della Certosa di San Lorenzo a Padula e oltrepassando un ambiente con camino attiguo ad essa ci si affaccia su un corridoio che, a mo’ di asse prospettico, taglia tutta la Certosa nel senso della lunghezza raccordando vari locali: è lo stesso corridoio su cui insiste un lato del Chiostro della Foresteria, la prima sala che si incontra entrando nella casa alta. Tale ampio spazio consente, tra gli altri, l’ingresso alle cantine della Certosa, un’imponente stanza che viene aperta solo in occasioni speciali: si tratta di un ampio vano, situato in una zona un po’ appartata del monastero, un tempo destinato ad accogliere le derrate alimentari e la produzione vitivinicola del convento.

Le cantine della Certosa di Padula

Esse sono collocate in posizione defilata rispetto al suddetto corridoio, e vi si accede in due modi: attraverso due porte situate in cucina ai lati della cappa, che mediante una scaletta introducono direttamente nelle cantine (accesso oggi chiuso), oppure da un piccolo spiazzo scoperto, che si raggiunge uscendo dalla cucina, attraversando un ambiente, arrivando sul corridoio e girando a sinistra; ci si ritrova in una piccola area esterna, in cui in un angolo è collocata una stretta scala, e subito dopo un piccolo e stretto spazio di raccordo. Improvvisamente, al di là di un’apertura ad arco, si spalancano le cantine, la cui grandezza veramente impressionante è messa ancora più in risalto dalla piccolezza degli luoghi che si sono attraversati per raggiungerle.

Il locale è diviso in due bracci: il primo è completamente vuoto, mentre il secondo ospita una riproduzione delle enormi botti che un tempo erano qui conservate, e che vi furono poste nel 1967 in occasione del film “C’era una volta” di Francesco Rosi, che vide protagonisti Sophia Loren e Omar Sharif.

Fonte: https://www.destinazioneseletanagrovallodidiano.info/images/cantinecertosa.jpg.

Molte scene del film furono girate in Certosa, in particolare nelle cantine, nella cucina, nel chiostro grande e in altre sale, e la troupe e gli attori soggiornarono a Padula il tempo necessario alle riprese: resta ancora traccia di ciò nella memoria popolare, che racconta come Sophia Loren si fosse perfettamente integrata con la popolazione a tal punto da sgridare una bambina perché “troppo piccola per poter portare lo smalto”[1]. Un’affermazione che nel 2021 può sembrare banale, ma che allora, alla fine degli anni ’60, dimostrava la semplicità e la spontaneità di un’attrice già Premio Oscar (vinto nel 1960 con La Ciociara).

In fondo si possono notare il torchio e le scalette che portano in cucina. Crediti fotografici associazione “Certosa Estesa”. Fonte: https://www.facebook.com/certosaestesa/photos/pcb.660187254614415/660187151281092.

Il secondo ambiente delle cantine della Certosa: il torchio

Nel secondo ambiente, situato dopo una svolta, oltre alle botti si trova un torchio, datato 1785, dalle dimensioni maestose, ricavato da un unico tronco di quercia di dodici o quindici metri incastrato con una sorta di forcella in una enorme vite. Questo tronco, posto al di sotto di due archi quadrati lignei, serviva a pressare l’uva posta in un catino e collocata nella grande vasca di pietra posta al di sotto del torchio, che una volta spremuta rilasciava il succo che veniva canalizzato sotto la vasca mediante un’apertura.

Credits: associazione “Certosa Estesa” – https://www.facebook.com/certosaestesa/photos/pcb.660187254614415/660187001281107/.

Le dimensioni gigantesche suggeriscono che il suo utilizzo non dovesse essere limitato alla produzione di vino solo per i monaci residenti in Certosa, ma che molto probabilmente servisse a soddisfare il fabbisogno dell’intero paese, se non del circondario. Alla sua base è murata una lapide dedicata al dio pagano Attis, probabilmente proveniente dall’antica Cosilinum, ossia l’area archeologica di Padula, su cui sono incise queste parole: “Sanctum/ mundum/ Attinis p(ro) r(editu)/ a fundament(is)/ Helviae Abascante/ et Capitolina f(ilia), d(ecreto) d(ecurionum), p(ecunia) s(ua) f(ecerunt)”.

Recentemente un’associazione locale, “Certosa Estesa”, ha provveduto ad eseguire una scansione 3D del torchio, rendendone quindi di immediata comprensione l’utilizzo, abbinandola ad un’interessante giornata dedicata appunto alle cantine.[2]

Il chiostro dei Procuratori

Uscendo dalle cantine e ritornando sul corridoio principale, fatti pochi passi verso l’entrata ci si ritrova, a sinistra, davanti all’ingresso del chiostro dei Procuratori, sormontato da un corridoio finestrato.

Il cosiddetto procuratore era un monaco deputato all’amministrazione economica del monastero: era colui che coordinava le attività dei conversi, gestiva e sovrintendeva le elemosine e il patrimonio certosino, manteneva rapporti con l’esterno; una volta all’anno riferiva l’andamento del suo operato al Priore. Solitamente ce n’era uno solo per certosa, ma la Certosa di San Lorenzo faceva eccezione, in quanto per la vastità dei suoi possedimenti (il feudo di Padula in primis, ma anche possedimenti a Brindisi, Taranto, oltre che a Montesano e Buonabitacolo) essa ne contava più di uno. Gli alloggi riservati ai procuratori erano appunto quelli del corridoio finestrato posto al di sopra del chiostro.

Il chiostro vero e proprio presenta invece dei fasci di pilastri, con una parasta scanalata verticalmente nella parte centrale, che scandiscono le arcate; al di sopra del capitello fitomorfo posto sulla parasta corrono tutto intorno una fascia liscia e una cornice marcapiano piuttosto aggettante e movimentata da rientranze e sporgenze, al di sopra della quale si slanciano in altezza altre paraste, poste in corrispondenza di quelle inferiori, e che vanno a delimitare le finestre del corridoio.

Il chiostro, che presenta una pavimentazione a spina di pesce, è diviso in due modi: alla divisione centrale a croce si affiancano infatti altre quattro divisioni dei quattro angoli, anch’essi a croce; nel mezzo del chiostro si trova una fontana lapidea quadrilobata con angoli, con al centro quel che sembra un delfino e ai lati quattro animali marini, mentre nelle altre quattro divisioni vi sono quattro basi onorarie.

Fonte: https://www.lifeinsalerno.com/wp-content/uploads/2020/09/20200531_161113-1024×498.jpg.

Lungo tutto il porticato, che funge da Lapidario, sono disposti alcuni rocchi di colonne, epigrafi, capitelli ed altro materiale frutto delle campagne archeologiche che fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 interessarono Padula e l’intero comprensorio valdianese; il resto del materiale è nell’attiguo Museo Archeologico Provinciale della Lucania Occidentale, di cui si parlerà nel prossimo approfondimento.

 

Si ringrazia l’associazione “Certosa Estesa” per avermi autorizzato a pubblicare due loro fotografie

 

Note

[1] Ciò mi è stato riferito dal figlio di quella signora.

[2] https://www.italia2tv.it/2020/02/03/nel-ventre-della-certosa-per-scoprire-i-segreti-del-monumento-di-padula-la-splendida-iniziativa-dellassociazione-certosa-estesa/

 

Bibliografia

Vecchi scavi, nuovi studi. Museo Archeologico Provinciale della Lucania Occidentale nella Certosa di San Lorenzo a Padula”, a cura di Matilde Romito, Salerno, 2006.

Padula nel Rapporto di Robert Mallet e l’intervento attuale di restauro della Certosa di S.Lorenzo” di G. Miccio, in “Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857. L’opera di Robert Mallet nel contesto scientifico e ambientale attuale del Vallo di Diano e della Val d’Agri“, a cura di G.Ferrari, vol.1, Bologna 2004.

 

Sitografia

http://www.ariap.it/news/STORIA%20Certosa%20di%20San%20Lorenzo%20o%20Certosa%20di%20Padula.pdf

https://storico.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Luogo/MibacUnif/Luoghi-della-Cultura/visualizza_asset.html?id=155601&pagename=157031

https://www.touringclub.it/destinazione/localita/chiesa/170900/certosa-di-s-lorenzo-padula

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