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A cura di Alice Perrotta

Introduzione

L’opera di Alessandro Magnasco (1667-1749) costituisce un caso particolare all’interno del panorama artistico genovese dell’epoca perché la sua formazione si collocò soprattutto in città dal contesto culturale assai diverso, come Milano e Firenze.

Cenni biografici ed opere

Gli anni della prima formazione

Alessandro Magnasco, chiamato anche il Lissandrino, nacque a Genova il 4 febbraio 1667. Il padre, anch’egli pittore e allievo di Valerio Castello, morì quando Alessandro aveva solo cinque anni, scartando così l’ipotesi di una possibile prima formazione presso la bottega paterna.

Il pittore si trasferì giovanissimo a Milano dove, grazie agli insegnamenti di Filippo Abbiati – una delle personalità più note dell’ambiente artistico lombardo – imparò “il disegno & il colorire”[1] Le prime opere, del tutto estranee alla pittura genovese (che verrà ripresa più avanti dal pittore), manifestavano un linguaggio prettamente lombardo, dal gusto molto teatrale. Tuttavia, rispetto alle costruzioni solide dell’Abbiati, il pittore genovese mostrò fin dall’inizio un linguaggio originale e inconfondibile, costituito da pennellate estremamente libere e forme disgregate. Tra i primi dipinti a noi noti vi sono la Maddalena, il Cristo portacroce (entrambi di collezione privata) e la serie delle Estasi di San Francesco, fra cui quella conservata a Palazzo Bianco a Genova è la più indicativa (Figg. 1-2). Nella rappresentazione delle scene sacre, intrise di colori lividi e terrosi, le figure appaiono disarticolate e scarnificate.

Col finire dell’esperienza sotto la guida dell’Abbiati, probabilmente negli anni novanta del Seicento, il Magnasco si allontanò dalla pittura sacra tradizionale, inserendosi nel gruppo degli specialisti dei generi pittorici “minori”. Iniziò, dunque, a dipingere le sue prime opere di genere, come la Riunione di quaccheri (1695) di collezione privata (fig.3). La maggior parte di queste tele fu eseguita assieme alla collaborazione di paesaggisti e pittori di rovine. In tali dipinti – che riscossero notevole successo – veniva accentuato il carattere sfilacciato e contorto delle figure.

Fig. 3 – Alessandro Magnasco, Riunione di quaccheri, 1695, collezione privata. Fonte: E. Gavazza, L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Cassa di Risparmio di Savona (gruppo Banca Carige), 2000, p. 332.

Sul finire del secolo, Magnasco si affermava come noto figurista, nonostante non avesse una propria bottega e dipendesse da altri specialisti per le commissioni di opere. Il passaggio dall’arte sacra tradizionale alla pittura di genere avvenne plausibilmente in modo graduale.

Un’opera significativa in tal senso è il S. Antonio Abate nell’Eremo, eseguita in collaborazione con Carlo Antonio Tavella (1668-1738), che si occupò del paesaggio roccioso. Qui i motivi devozionali e penitenziali, tipici della pittura lombarda, si perdono nel paesaggio assumendo un carattere tendenzialmente decorativo. Di conseguenza, viene smorzato anche l’effetto drammatico. Forse fu proprio grazie al Tavella che Alessandro ebbe modo di inserirsi nell’ambiente della pittura di genere.

I soggetti popolareschi e caricaturali che animavano le sue opere si configurarono fin da subito come dei veri e propri “tipi” ricorrenti: la lavandaia, il frate in preghiera, il pellegrino in riposo, il soldato che gioca a carte sopra un tamburo.

Negli anni del suo primo soggiorno milanese, Magnasco cominciò ad interessarsi anche alla ritrattistica, un genere che lo entusiasmava ma che praticò solo per un breve periodo. I suoi ritratti, dal taglio realistico, costituivano un suggestivo momento di indagine della realtà. Anche qui la matrice era prettamente lombarda e in contrasto con la ritrattistica genovese del periodo, orientata verso una funzione celebrativa.

 

Firenze

Dopo l’esperienza milanese, il secondo soggiorno più significativo per Magnasco fu Firenze. Trasferitosi nella città toscana nel 1703, produsse diverse opere per conto del Gran Principe Ferdinando, amante dello stile antiaccademico e “brioso”.[2]

Al soggiorno fiorentino risalgono per esempio il Viaggio di frati e la Tebaide, concepiti insieme ad alcuni paesisti, tra i quali si ricorda Marco Ricci, nipote di Sebastiano Ricci, un pittore amatissimo dal Gran Principe e amico del Magnasco stesso. La Scena di Caccia (1706-1707) (fig.4) del Lissandrino (e di ignoto paesaggista), oggi conservata al Wadsworth Museum di Hartford (USA), in cui compaiono Ferdinando de’ Medici, sua moglie, Sebastiano Ricci e il pittore stesso, testimonia proprio tali legami. L’opera, dai toni caricaturali e burleschi, costituisce un caso particolare rispetto alla solennità dei ritratti di corte tradizionali.

Fig. 4 – Alessandro Magnasco, Scena di caccia, 1706-1707, Wadsworth Museum, Hartford (USA). Fonte: Alessandro Magnasco (1667-1749). Gli anni della maturità di un pittore anticonformista (catalogo della mostra), a cura di Fausta Franchini Guelfi, Galerie Canesso (Parigi), 2015, p. 14.

 Il secondo soggiorno milanese                                                                                                                                 

Verso il 1708 Alessandro decise di lasciare Firenze poiché nel frattempo il suo mecenate, il Gran Principe, si era ammalato. Il pittore, dopo un breve soggiorno a Genova dove si sposò, fece ritorno a Milano. Nella città lombarda, affiliato all’Accademia di San Luca, lavorò per conto di importanti famiglie come i Borromeo e i Visconti. Tra il 1719 e 1725 gli fu poi affidata una prestigiosa commissione: il governatore austriaco di Milano, il conte Gerolamo di Colloredo, gli richiese quattro dipinti di grandi dimensioni da destinare all’Abbazia di Seitenstetten in Austria. Le opere in questione sono la Biblioteca e il Refettorio dei cappuccini, la Sinagoga (fig.5) e il Catechismo nel duomo di Milano.

Fig. 5 – Alessandro Magnasco, Sinagoga, 1719-1725, Seitenstetten, Pinacoteca dell’Abbazia. Fonte: E. Gavazza, L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Cassa di Risparmio di Savona (gruppo Banca Carige), 2000, p. 339.

Altra opera significativa databile a questi anni, intorno al 1725, è la Satira del nobile in miseria (fig.6), che ricorda le commedie di Carlo Maria Maggi, un rappresentante dell’aristocrazia milanese del tempo che dedicò i suoi scritti ad una satira arguta nei confronti della nobiltà moralmente degradata.

Fig. 6 – Alessandro Magnasco, Satira del nobile in miseria, 1725 ca., Detroit, Institute of Arts. Fonte: By Alessandro Magnasco, https://www.dia.org/art/collection/object/satire-nobleman-misery-53142, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=79700847.

 

Il ritorno a Genova

Nel 1733 il Lissandrino tornò a vivere a Genova dove rimase fino alla morte.

Nella sua città natale venne influenzato dallo studio delle opere di Domenico Piola, Gregorio de Ferrari, del Grechetto e soprattutto di Valerio Castello. Tuttavia, rispetto alle vivaci cromie e alle auliche figure della pittura genovese, Magnasco rimase fedele alle tonalità cupe e alle forme “corrose”[3]. Egli continuò a preferire i suoi soggetti popolari e le tematiche care al patriziato lombardo[4], sebbene per gli aristocratici genovesi «quel suo dipinger di tocco parve di niun conto»[5].

A questo periodo risalgono lavori come Il pittor pitocco (fig.7), opera emblematica in cui Alessandro si autoritrae mentre dipinge un violinista ambulante storpio che siede davanti a lui. O ancora, il Trattenimento in un giardino d’Albaro (Palazzo Doria-Tursi, Genova) (figg.8-9), databile intorno al 1740. La tela, dal formato inconsueto, mette in scena uno scorcio di vita quotidiana dell’aristocrazia genovese. Anche questa volta i toni sono disincantati: l’intento di Magnasco è quello di mostrare lo sfarzo illusorio di una nobiltà destinata ormai a tramontare.

Un carattere ulteriormente polemico è presente nella tela databile al 1735-40 – quasi un preludio de’ Il giorno del Parini – di collezione privata: La dissipazione e l’ignoranza distruggono le arti e le scienze (fig.10).

Fig. 10 – Alessandro Magnasco, La dissipazione e l’ignoranza distruggono le arti e le scienze, 1735-40, collezione privata (già Parigi, Galerie Canesso). Fonte: WikimediaCommons. Credits: By Alessandro Magnasco – http://magnasco.canesso.com/blog/2015/11/08/la-dissipation-et-lignorance-detruisent-les-arts-et-les-sciences/, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49494227.

 

Note

[1] C. Dufour Bozzo (a cura di), La Pittura a Genova e in Liguria, vol. 2, 1970-1971, p. 325.

[2] Ivi, p. 330.

[3] Ivi, p. 325.

[4] Tra i committenti milanesi si ricordano i Borromeo, gli Archinto, i Visconti e Giovan Francesco Arese.

[5] Ivi, pag.339

 

Bibliografia

– C. Dufour Bozzo (a cura di), La Pittura a Genova e in Liguria (vol 2), 1970-1971

– F. Franchini Guelfi, Alessandro Magnasco, Genova: Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, 1977

– Alessandro Magnasco (1667-1749). Gli anni della maturità di un pittore anticonformista (catalogo della mostra), a cura di Fausta Franchini Guelfi, Galerie Canesso (Parigi), 2015

– E. Gavazza, L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Cassa di Risparmio di Savona (gruppo Banca Carige), 2000, p. 339

 

Sitografia

www.fondazionezeri.unibo.it

www.museidigenova.it

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