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A cura di Francesca Strada

 

Fig. 1 – Tomba Guidi.

Introduzione

A egregie cose il forte animo accendono

  L’urne de’ forti, o Pindemonte.”

(Dei Sepolcri, Ugo Foscolo, versi 151-152)

Con l’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804 si sancì l’impossibilità di seppellire i defunti all’interno delle mura cittadine, portando le città a munirsi di luoghi d’inumazione esterni, che nel corso del secolo andarono arricchendosi di statue, affreschi e splendidi epitaffi. Uno degli esempi più antichi d’Italia, superato solo dal Vantiniano di Brescia e dai due cimiteri monumentali di Bologna e Ferrara, è il Cimitero dell’Osservanza di Faenza, che non è solo un placido luogo di eterno riposo, ma anche uno scrigno d’opere d’arte a pochi passi dal centro.

Fig. 2 – Tomba Tini.

Il Cimitero dell’Osservanza a Faenza: dove la morte è romantica

La costruzione di questi cimiteri si inserisce in un clima culturale assai particolare, il Romanticismo, che porta con sé un rinnovato amore per l’irrazionalità e ciò che essa accompagna: la morte, emblema dell’inconoscibilità stessa, è oggetto di estrema attenzione da parte di artisti e poeti. Il sepolcro viene ad assumere un significato nuovo, diventando con Foscolo quasi un oggetto di venerazione, come espresso dall’opera Dei Sepolcri, dove il ricordo del defunto ispira l’animo a grandi gesta attraverso la contemplazione dei monumenti funebri di coloro che furono grandi nella storia. In un’ottica materialistica, il cimitero non è più solo deputato all’eterno riposo, ma anche allo sfoggio della propria grandezza tramite opere monumentali.

Fig. 3 – Tomba Cattoli.

 

Il Cimitero dell’Osservanza a Faenza: Storia 

Dopo l’editto napoleonico, a Faenza venne scelto il convento dei Minori Osservanti come nuovo luogo di inumazione, ufficialmente aperto pochi anni dopo. Il cimitero prende il nome dalla chiesa attorno alla quale è stato costruito, ovvero la Chiesa dell’Osservanza, da cui proviene una splendida statua lignea di Donatello di cui si è parlato in un precedente articolo.

Fig. 4 – Tomba di Francesca Rossi.

Nel 1858 per volontà della commissione municipale intervenne l’architetto Costantino Galli, il quale progettò la facciata ad emiciclo per dare lustro e monumentalità al camposanto, ispirandosi a Piazza del Plebiscito a Napoli e a Piazza San Pietro. Inizialmente furono costruiti solo i chiostri sul lato sinistro; l’edificazione del lato destro fu causata dalla crescente richiesta di loculi e dalla scarsità di spazio.

Fig. 5 – Uno dei chiostri del cimitero.

 

Tomba Pasi

Una delle tombe più significative dell’intero complesso è quella dedicata al vescovo Giacomo Pasi. Nel guardarla, si nota subito il contrasto tra la bellezza dell’opera, nonché la sua monumentalità, con la sua inadeguatezza al luogo. Tomba Pasi, infatti, fu progettata nel XVI secolo per la Chiesa di Santa Maria dei Servi, in centro a Faenza, e non per il cimitero ottocentesco. La tomba ha trovato qui un alloggio sicuro e riparato, dopo essere stata rimossa dalla chiesa per i lavori di ricostruzione nel Settecento ed essere stata posta sul fianco di quest’ultima, esposta alle intemperie e alle ingiurie del tempo, fino all’arrivo del delegato apostolico della provincia di Ravenna nel 1851, il quale dispose la sua traslazione in un luogo protetto. Lo splendido complesso di fregi, statue e bassorilievi raggiunse il chiostro della Badia del cimitero solo nel 1878. L’artista, Pietro Barilotto, è chiaramente riconoscibile dalla firma nell’epitaffio, che recita: “PETRUS BARILOTUS FAVENTINUS FECIT”. Non è un caso che la realizzazione della tomba di un uomo così illustre sia stata affidata a Barilotto, egli è infatti noto per i numerosi monumenti funebri lasciati alla città manfreda e non solo. Considerato dalla prima critica novecentesca “scultore degno e posto tra i più lodevoli artefici del ‘500”.[1]

Fig. 6 – Tomba Pasi.

La tomba rappresenta il vescovo adagiato sul sarcofago, appoggiato alla mano destra, mentre la sinistra accarezza il ginocchio. Pasi sembra lasciarsi andare a un dolce riposo, mentre i santi Pietro e Paolo si protendono dalle nicchie laterali, quasi a vegliare sul vescovo dormiente. Nella lunetta in terracotta posta sopra al defunto si nota la Vergine con le braccia alzate tra due santi, mentre il Padre Eterno si sporge dalla formella superiore, benedicendo l’eterno riposo. Il tutto inserito in una splendida cornice di fregi e pilastri in pietra d’Istria, che sembra ricreare la facciata di una chiesa. La grandezza dell’opera è resa dal confronto con un minuscolo sepolcro presente nello stesso chiostro, il più famoso di Faenza, perché reca scritto solamente: “Tomba d’un infelice”.

 

Le opere di Domenico Rambelli

Numerose sono le opere di artisti celebri come Ercole Drei e Lucio Fontana, il quale realizza in gres la tomba della famiglia Melandri; tuttavia, è Domenico Rambelli a meravigliare di più lo spettatore per la bellezza e la plasticità delle sue figure. L’artista faentino, considerato tra i più grandi scultori del ‘900, concepisce due opere per il cimitero, entrambe poste nell’emiciclo: il medaglione per la tomba di Antonio Berti e la tomba di Rosa Laghi. Rambelli, allievo del Berti, realizza per lui un altorilievo capace di mostrare la sua grande capacità di ritrattista. L’opera è stata collocata nei pressi dell’ingresso della chiesa a dimostrare l’importanza del maestro nell’arte faentina di fine ‘800.

Fig. 7 – Tomba di Antonio Berti.

 

Tombe di straordinaria bellezza

Tra i chiostri dell’Osservanza è difficile non lasciarsi rapire dalla meraviglia dei sepolcri circostanti; le decorazioni floreali si rifanno allo stile liberty, particolarmente apprezzato dalle famiglie facoltose. Gli scultori sono chiaramente ispirati da Canova, come nel caso della tomba della famiglia Tabanelli, nella quale una giovane donna viene trasportata all’interno del sepolcro dall’angelo della morte, il quale spinge una porta, disvelando un buio che reca alla mente l’immagine del celeberrimo Monumento Funebre per Maria Cristina d’Austria.

Fig. 8 – Tomba della famiglia Tabanelli.

Ad attirare l’occhio del visitatore è la tomba di Brigida de’ Marchesi Stanga, elegantissima rappresentazione di un compianto interpretato da un gruppo statuario di matrice classica.

È leggiadra la donna dolente sulla tomba di Paolo Rampi ed è evidente il gusto neogotico della cappella gentilizia della famiglia Canuti, volto a ricordare con i suoi pinnacoli una chiesetta medievale.

Fig. 11 – Dettaglio della tomba di Paolo Rampi.

L’obiettivo che queste famiglie si erano prefissate con la realizzazione di questi monumenti è stato raggiunto: il tempo non cancellerà la memoria del loro passaggio sulla terra dal cuore della loro città.

Fig. 12 – Tomba della famiglia Canuti.

 

 

Tutte le foto presenti sono state scattate dalla redattrice.

 

Bibliografia

Antonio Messeri- Achille Calzi, Faenza nella storia e nell’arte, Tipografia Sociale Faentina, 1909

 

Sitografia

https://www.pinacotecafaenza.it/mostre/rambelli/biografia/

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