A cura di Andrea Bardi
Introduzione
Il seguente articolo intende fornire un approfondimento sulla prima delle sale a cui giungono i visitatori una volta percorsa la Scala Regia e approdati al Piano Nobile: è la Sala di Ercole [Fig. 1], la cui partitura decorativa si snoda attorno alla creazione leggendaria del Lago di Vico.
La leggenda nella Sala di Ercole
Le origini mitiche del lago di Vico (in origine lacus Ciminus) vengono riportate per la prima volta da Servio nel suo commento all’Eneide[1]. Secondo il mito Ercole, pressato dalle continue richieste della popolazione locale che gli chiedeva un saggio della sua forza, piantò la sua clava nel terreno[2]. In seguito a vani tentativi da parte degli uomini locali, fu lo stesso Ercole a provvedere all’estrazione dell’arma, causando una fuoriuscita di acqua che inondò la pianura circostante originando così il bacino lacustre cimino. In seguito a tale dimostrazione di forza, gli abitanti del posto decisero di innalzare un tempio all’eroe.
Ubicazione e Cronologia
La Sala di Ercole occupa, in lunghezza, l’intero lato del palazzo che affaccia sul paese e sulle pianure del cimino, ammirabili grazie all’apertura di cinque arcate vetrate a tutto sesto[3]. Lunga ottantatre palmi (circa ventuno metri), larga quarantuno (quasi undici) e alta, alla cornice, trenta (circa otto metri)[4], la sala, voltata a botte, era probabilmente concepita come sala da pranzo. I lavori di decorazione al suo interno vennero eseguiti in un periodo i cui estremi sono scanditi dalla settima misura[5](una misura è un documento di pagamento), databile all’11 novembre 1566, all’undicesima (23 novembre 1573, data entro la quale si vuole completato anche il pavimento, anch’esso su disegno di Jacopo Barozzi da Vignola)[6].
Descrizione della Sala di Ercole
La compartimentazione spaziale della sala trova i suoi referenti più immediati nella Sala Paolina di Castel Sant’Angelo (équipe di Perin del Vaga, 1545-1547, fig. 3), dalla quale si distacca, tuttavia, nel suo tono più riposato, nel suo respiro più ampio principalmente dovuto da una più ampia dimensione dei riquadri e dalla ripetitività degli elementi decorativi, meno invasivi rispetto al prototipo[7]. La descrizione dell’ambiente seguirà la successione procedurale degli interventi, principiando dalla volta e terminando con gli affreschi parietali.
Volta
Il complesso di affreschi della volta a botte della sala, tematicamente centrata sulla leggendaria creazione del lago di Vico da parte di Ercole, ha il suo fulcro nella scena centrale (Ercole che nuota nel lago di Vico, Fig. 4).
In corrispondenza dei lati corti, invece, ciascuno dei due ovali – raffiguranti rispettivamente il fulmine (sul lato corto della Fontana) e Pegaso (sul lato opposto, di accesso alla Cappella) – separa due riquadri affrescati: i quattro episodi che narrano la creazione del lago partono dal lato adiacente alla Cappella – capolavoro pittorico di Federico – con Ercole che affonda la clava nelle profondità della Terra e, procedendo in senso antiorario, toccano nuovamente il lato opposto (I giovani tentano di tirare fuori la clava con le loro mani; Ercole tira fuori la clava facendo fuoriuscire le acque di un lago, fig. 5) per terminare con la scena dei Contadini che dedicano un Tempio a Ercole [Fig. 5]. I quadri che si oppongono sui due lati lunghi raffigurano, invece, quattro delle dodici fatiche di Ercole (Ercole uccide l’Idra di Lerna; Ercole cattura il Toro di Creta; Ercole combatte i Centauri; Ercole cattura Cerbero).
Pareti laterali della Sala di Ercole
La parete che i visitatori si lasciano alle spalle accedendo dal portico presenta, all’interno di arcate che riprendono, nel profilo a tutto sesto, le finestre del lato opposto, quattro brani paesaggistici, ciascuno di essi associato a una stagione: Paesaggio con cacciatori (Primavera); Paesaggio con città che brucia (Estate); Paesaggio marino (Autunno); Paesaggio invernale. In corrispondenza della porta d’accesso, tra la scena estiva e quella autunnale, un arco – comprensibilmente più piccolo – incornicia una veduta di Parma.
Il lato corto d’accesso alla Cappella, invece, a una veduta di Piacenza sulla sovrapporta affianca affreschi con quattro dei possedimenti farnesiani in terra di Tuscia: dall’alto e da sinistra, rispettivamente Capodimonte, Marta, Castro (Capitale dell’omonimo Ducato la cui fine verrà sancita da una guerra condotta da Innocenzo X Pamphilij attorno alla metà del Seicento). La lunetta con Belgione e suo fratello rubano il bestiame che Ercole errante aveva riportato dalle rive dell’Erytheia [Fig. 5] infine, completa la decorazione.
Sul lato opposto, la lunetta raffigura Giove che fa piovere pietre dal cielo per aiutare Ercole a sconfiggere i ladri nei campi di Lamonia. La composizione strutturale della decorazione è speculare in tutto e per tutto a quella del lato opposto, eccezion fatta per la sovrapporta, sostituita da una grande fontana rustica. Anche il secondo lato corto presenta, dunque, le vedute di altrettanti possedimenti farnesiani nel Lazio: Ronciglione, Caprarola, Fabrica, Isola. Singolare è altresì il personaggio [Fig. 6] ritratto sulla porta adiacente alla parete interna, anch’esso sul lato della fontana. Sulla sua identità non possediamo ancora certezze; tuttavia, l’ipotesi più accreditata al giorno d’oggi vede in quell’uomo Fulvio Orsini il quale, in virtù della sua grande dimestichezza con l’iconografia erculea, viene tradizionalmente accreditato come principale responsabile della stesura del programma.
Fontana
Collocata nel bel mezzo della parete di fondo, che occupa nella sua gran parte, la fontana rustica di Curzio Maccarone [Fig. 5] sviluppa in alzato due livelli ben definiti. Al centro, un riparo calcareo, una “grotta” rocciosa, separa lo spazio inferiore, contrassegnato dalla presenza di una vasca circolare e abitato da tre putti, due dei quali rispettivamente sul dorso di un unicorno e di un delfino. Al di sopra della concrezione rocciosa si apre invece un paesaggio cittadino dal gusto antichizzante[8], le cui reminiscenze archeologiche vengono introdotte da quinte arboree non perfettamente bilanciate. Il brano paesaggistico, decorato a mosaico – il terminus post quem è il 21 settembre 1572, data in cui il conte Tedeschi riferisce al Farnese l’arrivo delle tessere musive[9] – sfocia in un cielo affollato di nubi, queste ultime realizzate a tempera[10].
Simbologia della Sala di Ercole
Scrivendo sul più profondo, ma ancor prevedibile significato degli affreschi della Sala, Loren Partridge ha chiarito come, in accordo con il resto del palazzo, anche il campionario mitologico di matrice pagana dispiegato lungo le pareti e lungo la superficie della volta della Sala d’Ercole va letto alla luce delle recenti disposizioni dottrinali tridentine. A un primo livello “topografico”, con il quale Zuccari e Bertoja danno forma visiva alla leggenda[11], Partridge ne aggiunge un secondo, il cui fulcro va ricercato nella scena centrale della volta. In accordo a tale lettura il bagno di Ercole nelle acque del lago diviene prefigurazione del rito battesimale[12], sacramento fortemente ribadito nella sua efficacia dai lavori conciliari. Negato con vigore dall’eresia luterana, il battesimo diveniva il coronamento necessario alla salvezza, una salvezza che passava anche dalle buone azioni di una vita – altro passo, questo, di irriducibile frattura rispetto ai protestanti, che alle buone azioni opponevano i concetti di sola fide e di predestinazione. L’arringa antiluterana continua nella fontana e nella grotta soprastante: se per la prima risulta facile l’associazione al fonte battesimale, per la cavità calcarea che la ripara i dubbi si sciolgono solamente grazie alla lettura di un passo dal Cantico dei Cantici:
““Surge, amica mea, speciosa mea, et veni, columba mea in foraminibus petrae, in caverna maceriae”[13]
La Chiesa come luogo di riparo, dunque, come unica garanzia di salvezza, di trionfo sulla materia (i mostri sconfitti da Ercole sulla volta altro non sono che rappresentazioni simboliche dei quattro elementi) e sul tempo (i paesaggi stagionali sulle arcate del lato lungo). Il complesso pittorico è inoltre arricchito da specifici ammiccamenti alla contemporaneità: papa Giulio III e l’imperatore Carlo V vestono nella sala i panni dei due fratelli Albione e Belgione, colpevoli di aver sottratto il bestiame (Parma e Piacenza) al legittimo possessore (famiglia Farnese). L’utilizzo di un formulario spiccatamente pagano, che poteva destare ragionevoli sospetti – il papato di Pio V si mostrò intransigente a riguardo[14] – si risolse, tuttavia, in una sottomissione di tale patrimonio all’ortodossia cristiana, dimostratasi particolarmente adatta a vestire panni classici per comunicare il suo messaggio e per neutralizzare il potere seduttivo di una tradizione mai sconfitta del tutto.
Attribuzione
Nel primo giorno del settembre 1566, il marchigiano Taddeo Zuccari, responsabile del cantiere pittorico del palazzo morì, esattamente nel giorno del suo trentasettesimo compleanno. A rimpiazzarlo, il più giovane fratello Federico (1539 – 1609), offertosi al cardinale già il giorno successivo: “Messer Tadeo mio fratello questa notte è mancato che così è piaciuto al Signor Dio. Sendo stato tanto servitore di Vostra Signoria Illustrissima, et havendo più del favor di quella acquistato lode et gloria, che dalla stessa virtù sua, m’è parso convenirmisi di notificarglielo, et supplicarla che, sendo mancato lui, si voglia degnare d’accettar me per humilissimo suo servo, promettendole che, quantunca appresso mio fratello io non sia d’alcuna comparatione, m’ingegnerò di valer qualche cosa; et tutto che varrò, varrò sempre più che altro, per conservarmi qualche parte di quella grazia c’a mio fratello pareva di haversi acquistato dalla cortesia e bontà di Vostra Signoria Illustrissima”[15]. Federico, in una nota a margine di una sua copia delle Vite vasariane, attribuisce a sé e alla sua équipe l’intero apparato decorativo della “loggia di sopra”[16]. Con il saggio The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, pubblicato sull’ “Art Bulletin” a cavallo tra 1971 e 1972, Loren Partridge ha voluto proporre, alla luce di alcune considerazioni di carattere documentario e stilistico, che già al finire dei Sessanta Federico Zuccari poteva avvalersi della collaborazione del parmense Jacopo Zanguidi il Bertoja (1544-1574), pittore – anche lui scomparso prematuramente – la cui presenza a palazzo è testimoniata da una lettera, datata 17 luglio 1569, nella quale il cardinal Alessandro intimava al conte Ludovico Tedeschi di convocare quanto prima possibile lo Zanguidi a palazzo. Ancora dalla corrispondenza epistolare tra il Tedeschi e il Farnese non solo sappiamo che già al giorno successivo (18 luglio) il parmense stava muovendo per Caprarola[17], bensì veniamo anche a conoscenza che “il pittore Greco” (El Greco, pseudonimo di Dominikos Theotokopoulos, 1541 – 1614) stava in quel momento “lavorando alla decorazione della ‘Sala d’Ercole’”[18]. Al 22 agosto risale invece un’ulteriore missiva, con la quale il Tedeschi informava il cardinale di un ordine (un diagramma con la compartimentazione della volta) fatto arrivare da Federico Zuccari a Fulvio Orsini, al momento di stanza a Roma[19]. Circa le pitture parietali, i nomi proposti da Partridge sono quelli di Bartholomaeus Spranger (1546-1611), specialista fiammingo nella pittura di paesaggio[20] la cui mano sarebbe individuabile nella scena con Ercole che cattura Cerbero; di un “Francesco pittore”, menzionato in una lettera del 15 luglio 1572 (“Maestro Francesco pittore e partitto subitto”)[21] e attivo a Tivoli nelle sale di Noè e di Mosè; di Giovanni Antinori[22], responsabile delle grottesche sia con Taddeo che con Federico. Certi risultano, infine, gli interventi del fontaniere Curzio Maccarone (coadiuvato dallo scultore Giovan Battista di Bianchi[23]), la cui presenza – attestata anche in Vaticano (1551) e a Villa d’Este (1565-1568) – è testimoniata da una lettera del 18 luglio 1572, in cui il Maccarone comunica il suo imminente arrivo.
Note
[1] L. Partridge, The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte II, p. 50.
[2] Il punto in cui Ercole avrebbe piantato la clava corrisponderebbe al Pozzo del Diavolo, cavità vulcanica nella faggeta del Monte Venere (Fig. 2).
[3] Le arcate in origine non c’erano (L. Partridge, The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte I, p. 467)
[4] Informazioni desunte da Camillo Trasmondo Frangipani, Descrizione storico-artistica del r. palazzo di Caprarola, p. 34.
[5] Il ritrovamento del Libro delle misure presso la sezione Camerale dell’Archivio di Stato di Roma da Loren Partridge, è stato di fondamentale importanza per chiarire questioni specifiche relative alla cronologia.
[6] Ogni informazione sulle misure del palazzo sono state reperite dal saggio in due parti di Loren Partridge (The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola).
[7] L. Partridge, The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte I, p. 472.
[8] Paolo Portoghesi parla di “idillio boschereccio” (P. Portoghesi, Caprarola, p. 65).
[9] C. Robertson, Il Gran Cardinale. Alessandro Farnese patron of the arts, p. 127.
[10] P. Portoghesi, Caprarola, p. 66.
[11] Va altresì detto che il cardinal Farnese diede al Vignola il compito di regolare il livello delle acque del lago per guadagnare terreni coltivabili (L. Partridge, The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte II, p. 52).
[12] Nel Rinascimento Ercole era visto come prefiguratore di Cristo (Ibidem).
[13] Ibidem.
[14] Ivi, p. 55.
[15] La lettera di Federico è riportata anche in Paolo Portoghesi, Caprarola, p. 64.
[16] L. Partridge, The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte I, p. 467; cfr. P. Portoghesi, Caprarola, p. 65.
[17] Ivi, p. 472.
[18] Ivi, p. 480, nota 61; Portoghesi (Caprarola, p. 66) ritiene che il compito del Greco fosse quello di “preparare il disegno (e il supporto di stucco) per questo mezzo rilievo e, quindi, di apporvi le tesserine del mosaico”.
[19] Ivi, p. 472.
[20] Lo Spranger aveva assistito (1566) il Bertoja nella progettazione delle decorazioni in occasione dell’ingresso di Maria del Portogallo, moglie del principe Alessandro Farnese, a Parma (L. Partridge, Ivi, p. 475).
[21] Ivi, p. 480.
[22] I. Faldi, Il palazzo Farnese di Caprarola, p. 284.
[23] Quest’ultimo responsabile dei dodici busti imperiali del portico e del Mascherone al centro del cortile.
Bibliografia
Italo Faldi, Il palazzo Farnese di Caprarola, Torino, SEAT, 1981.
Loren Partridge, The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte I, in “The Art Bulletin”, vol. 53, no. 4, New York, College Art Association, 1971, pp. .467 – 486.
Id., The Sala d’Ercole in the Villa Farnese at Caprarola, parte II, in “The Art Bulletin”, vol. 54, no. 1, New York, College Art Association, 1971, pp. 50-62.
Paolo Portoghesi (a cura di), Caprarola, Roma, Manfredi, 1996.
Clare Robertson, Il Gran Cardinale. Alessandro Farnese patron of the arts, New Haven – Londra, Yale University Press, 1992.
Camillo Trasmondo Frangipani, Descrizione storico-artistica del r. palazzo di Caprarola, Roma, coi tipi della civiltà cattolica, 1869.
Sitografia
http://www.caprarola.com/arte-e-cultura/palazzo-farnese-caprarola/623-sala-di-ercole.html
https://www.canino.info/inserti/tuscia/luoghi/piazze/caprarola/index.htm
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