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A cura di Rossella Di Lascio

 

 

La chiesa del Santissimo Crocifisso di Salerno è ubicata all’inizio di Via Mercanti, tra la fine del moderno corso cittadino e l’inizio del centro storico.

Non si hanno notizie certe della chiesa fino a circa il XIII secolo, tuttavia, secondo la tradizione, sarebbe stata fondata in epoca longobarda da un nipote dell’Imperatore Costantino. La sua denominazione originaria era chiesa di Santa Maria della Pietà Portanova”, in quanto annessa al monastero femminile “delle Clarisse di Santa Maria de Pietate” e per la sua vicinanza all’originaria porta della città, chiamata, appunto, Portanova. Successivamente associata al monastero di San Benedetto, fu ridedicata al SS. Crocifisso nel 1879, quando ospitò per un periodo un crocifisso ligneo del XIII sec. legato alla leggenda del mago e alchimista salernitano Pietro Barliario, oggi custodito nel Museo Diocesano cittadino.

 

La leggenda del crocifisso miracoloso

Secondo la leggenda, Pietro Barliario sin dalla gioventù nutrì una grande passione per le arti magiche e la medicina. Grazie a un patto con il diavolo divenne un potente stregone, capace di compiere opere straordinarie, come la costruzione, in una sola notte di tempesta e con l’aiuto dei demoni, dell’acquedotto medioevale della città, tuttora esistente. Un giorno i suoi due amati nipoti, Fortunato e Secondino, rimasti soli nel suo laboratorio, mentre giocavano rimasero uccisi da sostanze velenose o per lo spavento legato alle immagini o alle formule di un libro di magia. Barliario, sopraffatto dal rimorso e dalla disperazione, chiese perdono al crocifisso presente sull’altare della chiesa di San Benedetto, il quale, dopo tre giorni e tre notti di preghiera, chinò miracolosamente il capo in segno di perdono verso il mago. Da questo episodio, che attirò in città tantissimi pellegrini e curiosi, nacque la cosiddetta Fiera del Crocifisso”, che ancora oggi si svolge durante i quattro venerdì di Quaresima.

Il crocifisso, nonostante sia stato visibilmente danneggiato da un incendio nell’Ottocento, presenta ancora un viso fortemente espressivo e severo e due grandi occhi, profondi e penetranti, che sembrano fissare lo spettatore.

 

 

Gli spazi esterni della chiesa

 

La chiesa si affaccia su una piazzetta ricavata dalla demolizione di caseggiati fatiscenti alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, periodo a cui risale anche la facciata in stile barocco, poi rifatta dopo la terribile alluvione del 1956. Oggi è presente una semplice e moderna facciata, con tetto a spiovente, scandita ritmicamente in alto da sette monofore e da un oculo centrale, e con tre portali d’ingresso che corrispondono alla suddivisione interna in tre navate. Sulla destra svetta il campanile quadrangolare percorso verticalmente da strette finestre e alleggerito in alto da dieci monofore in corrispondenza della cella campanaria. All’esterno, la parete lungo via Mercanti mostra ancora alcune tracce dell’edificio originario, quali un portale in pietra, che costituiva un antico accesso laterale alla chiesa, e una bifora in stucco, oggi entrambi murati. La bifora è divisa in due scomparti da un architrave: la parte superiore risente di una chiara influenza arabeggiante, sia per la forma ogivale che per il motivo decorativo finemente traforato, caratterizzato da un’alternanza di croci e stelle a otto punte. Nell’ordine inferiore, invece, la bifora è divisa in due da una colonnina centrale, mentre altre due colonnine laterali sorreggono l’ogiva, delimitata da una fascia su cui sono parzialmente visibili sette scudi, stemmi di famiglie nobiliari. Attualmente si distingue solo l’insegna a sinistra, a bande orizzontali bianche e rosse, appartenente alla famiglia Carafa.

 

Gli spazi interni della chiesa

La chiesa presenta internamente una pianta basilicale, con tre navate e tre absidi semicircolari. Le navate sono divise da due file di arcate a tutto sesto sorrette da sei colonne e capitelli di spoglio, provenienti da edifici di epoca romana, come la prima colonna a sinistra che presenta una decorazione in rilievo a spirale. La navata centrale, più alta, è illuminata da monofore e coperta da capriate lignee, mentre quelle laterali sono coperte da volte a crociera.

 

 

L’abside centrale è decorata con un mosaico moderno risalente al 1961, opera di maestranze ravennati, che riproduce l’affresco originario della Crocifissione situato nella cripta.

Nell’abside destra, al di sotto dell’altare, sono presenti affreschi tardomanieristi del XVI-XVII secolo, raffiguranti i Santi martiri Paolina Vergine, Clemente e Cassiano che recano con sé la palma, simbolo di martirio, e che circondano la teca che custodisce le loro reliquie.

 

La cripta

Dalla navata destra, tramite una piccola scala, si accede alla cripta, riferibile a una chiesa anteriore all’anno Mille e su cui sono state innalzate le fondamenta dell’attuale. Scoperta solo in epoca recente, negli anni ’50 del ‘900, ha una planimetria, anche se di dimensione ridotte, che ricalca quella della chiesa superiore, con tre navate separate da due archi con volte a crociera sorretti da pilastri che inglobano colonne romane di spoglio, chiuse da absidi semicircolari.

Nell’abside centrale è collocato un altare in travertino che riproduce quello originale ma giunto a noi frammentario.

 

Gli affreschi

Sulla parete occidentale, di fronte all’abside centrale, si staglia il grande affresco raffigurante la Crocifissione, databile tra il XIII e XIV secolo, che costituisce un interessante esempio Cristo Patiens, contrariamente al Cristo Triumphans del Barliario. In epoca romanica si afferma l’uso delle tavole dipinte aventi per soggetto principale il tema della Crocifissione, con la figura centrale di Cristo nell’atto del supremo sacrificio, alle cui estremità, orizzontali o verticali, sono raffigurati alcuni personaggi, come la madre Maria e l’apostolo ed evangelista Giovanni, o storie della vita di Gesù. Una prima tipologia di croce dipinta che si afferma è quella del Christus triumphans, secondo l’iconografia bizantina giunta in Occidente attraverso gli avori carolingi. Cristo è rappresentato trionfante, vincitore sulla morte, con il corpo eretto, privo dei segni della passione, e con gli occhi aperti, una figura solenne e maestosa che ne evidenzia la natura divina. Tra la fine del XII secolo e gli inizi successivo, si afferma, invece, la tipologia del Christus patiens. L’affresco della cripta è delimitato in alto da una grande cornice dipinta, in basso da un panneggio stilizzato a grosse fasce oblique. Il fulcro della composizione è costituita dall’immagine centrale di Cristo che divide simmetricamente la scena in due parti. Egli è rappresentato con la testa reclinata, gli occhi chiusi, il corpo abbandonato nella sofferenza e nella morte, una figura profondamente umanizzata e più vicina alla sensibilità e al coinvolgimento emotivo dei fedeli e che meglio permette di comprendere il Suo amore e il Suo sacrificio estremo per l’umanità. Sulla sinistra è presente il gruppo delle pie donne, dai volti addolorati, che sorreggono la Vergine accasciata e con le braccia protese verso il Figlio, mentre sulla destra, l’immagine deteriorata di S. Giovanni è affiancata da due figure maschili, probabilmente Giovanni d’Arimatea e Nicodemo, secondo i Vangeli. È presente un tentativo di resa prospettica della composizione attraverso le dimensioni minori di alcuni personaggi dipinti, a voler indicare la sovrapposizione di piani diversi su cui si articola la scena. Ai lati della croce sono ritratti i soldati, come Longino che trafigge il costato di Cristo, mentre nella parte superiore sono presenti quattro angeli, due in adorazione e due che raccolgono nelle coppe il sangue di Cristo che fuoriesce dalle mani e dal costato.

 

Nell’abside di destra un altro affresco raffigura un trittico di Santi inquadrati in archi a tutto sesto e separati da eleganti colonnine tortili: San Sisto Papa al centro, riconoscibile per l’abito e i paramenti liturgici, San Lorenzo a sinistra e un altro Santo pellegrino a destra. In entrambi gli affreschi sono purtroppo eventi le tracce di umidità e dominano le tonalità dei colori rossi, bianchi, gialli, bruni, che risaltano sui fondali scuri.

 

 

Bibliografia

Adorno P. e Mastrangelo A., Arte correnti e artisti, Casa editrice G. D’Anna 1998

 

Sitografia

La leggenda di Pietro Barlario, mago salernitano in www.irno24.it

www.lifeinsalerno.com

www.livesalerno.com

Mago Barliario a Salerno e la sua incredibile storia in www.salernodavedere.it

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