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A cura di Valentina Cimini

 

 

Atri e la sua storia

Atri, comune di 10 119 abitanti in provincia di Teramo, costituisce un’importante città artistica del medio Adriatico, collocandosi tra le più antiche città d’Abruzzo. Situata su tre colli e affacciata sul mare Adriatico, grazie alla sua favorevole posizione ebbe sin dall’epoca romana un’accesa attività di scambio e commercio con gli Etruschi, i cui monili rinvenuti negli scavi qui compiuti sono ora conservati al British Museum di Londra (Fig.1).

 

La sua storia in epoca imperiale non si arresta, seppur risultando minore a causa della perdita dell’autonomia nel 289 a.C. divenendo colonia romana. Ciò nonostante ebbe l’onore di avere sul trono romano un suo cittadino, l’imperatore Elio Adriano. Egli di fatti si considerava tale poiché proprio in questo luogo esercitò la carica censuaria di quinquennale, motivo per cui ancora oggi il corso principale della città è a lui intitolato. I reperti dell’antica città romana “Hatria-Picena” sono numerosissimi e provengono dagli scavi di Piazza Duomo e delle Necropoli Colle della Giustizia e Pretara del VI-V sec. a.C.

Dopo un periodo di crisi durante le invasioni barbariche, Atri si costituì in libero comune nel 1251 per opera di Innocenzo IV e da quel momento in poi la città cominciò ad acquisire quel senso estetico che tuttora in parte conserva. Della seconda metà del Duecento, di fatti, è la Basilica Cattedrale, chiesa maggiore della città e al contempo importante testimonianza del Medioevo e del Rinascimento abruzzese coi magnifici affreschi di Andrea De Litio.

 

La storia della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Atri

La Cattedrale di Santa Maria Assunta si erge su una delle zone più importanti del nucleo storico di Atri, piazza Duomo, lungo l’asse viario principale del paese, dove un tempo sorgevano le terme di Hatria Picena (Fig.2). La chiesa originaria, di fatti, fu eretta sui resti di una conserva d’acqua d’età romana adibita a cripta nel Medioevo, facendo sì che le possenti mura della piscina limaria servissero da fondazione per l’edificazione della nuova struttura sacra.

 

Una prima testimonianza effettiva della presenza ad Atri di una chiesa dedicata all’Assunzione della Vergine, a cui è tuttora intitolata la Cattedrale, risale al XII secolo e si tratta del contenuto di una bolla pontificia in cui Innocenzo II menziona proprio una “ecclesia Sancte Marie de Atria”.

L’odierna struttura è opera di Raimondo di Poggio e Rainaldo d’Atri che la iniziarono intorno al 1260, dando atto ad un progetto ambizioso che trasformò quasi del tutto la precedente chiesa romanica a cinque navate, eretta nella seconda metà del XII secolo, per adeguarsi alla dignità episcopale acquisita nel 1251. I lavori si protrassero fino agli inizi del Trecento con la decorazione del fianco destro e della facciata, mentre l’ottagono superiore del campanile, la cui edificazione iniziò nel 1268, venne apposto da Antonio da Lodi nel 1502.

La storia della Cattedrale, inoltre, è supportata e confermata dalle epigrafi che datano e firmano l’esecuzione dei portali, sul lato meridionale e della facciata, da parte di due artisti abruzzesi. Le iscrizioni, scolpite in caratteri gotici, attribuiscono la prima parte dell’edificio, dal coro fino al campanile, a Raimondo de Podio (1288), mentre la seconda, dal campanile alla facciata, a Rainaldo d’Atri (1305).

L’esecuzione della Cattedrale si concludeva, almeno nella sua parte esterna, nel primo decennio del Trecento con l’inserimento del portale sulla facciata antistante Piazza Duomo, mentre negli anni seguenti furono compiute opere di ornamento che sono testimoniate da due diverse Bolle pontificie risalenti al 1292 e 1294. Successivamente nella prima metà del XIV secolo proseguirono i lavori del chiostro annesso alla chiesa ed ebbe inizio la vasta decorazione pittorica dell’interno, che culminò con gli affreschi del coro realizzati da Andrea De Litio a partire dal 1450. Ai primi del Cinquecento risalgono invece il battistero e l’altare votivo realizzati dal maestro comacino Paolo de Garvis, testimonianza della penetrazione in Abruzzo dello stile rinascimentale lombardo, e il tamburo ottagonale cuspidato posto a coronamento del campanile medievale a pianta quadrata, che si apre in bifore e finestre circolari ornate di maioliche, opera di Antonio da Lodi secondo un modello che avrà particolare seguito nell’area teramana (Fig.3).

 

L’edificio successivamente non subì notevoli cambiamenti nel corso dei secoli e venne dichiarato monumento nazionale nel 1899, ma a seguito di gravi lesioni subite nel terremoto del 1915 fu oggetto di numerosi interventi di restauro da parte della Soprintendenza, causandone la chiusura al culto per lunghi periodi. La Cattedrale, infine, venne elevata a Basilica Minore nel 1964 da papa Paolo VI e riaperta definitivamente alle funzioni religiose.

 

La facciata

La Cattedrale di Atri rappresenta una delle espressioni più rilevanti dell’architettura abruzzese dei secoli XIII e XIV con la sua maestosa facciata, dal volume chiaro ed unitario, a terminazione rettilinea in conci di pietra d’Istria. Di fatti, questa singolare tipologia di facciata, a coronamento orizzontale, ebbe una larga diffusione in Abruzzo nei suddetti secoli, tanto da qualificare la produzione architettonica della regione con numerosi esempi a L’Aquila, Lanciano, Sulmona fino a Celano. Tale scuola, così consolidata, permane nel corso del XV secolo giungendo, in forme rinnovate, fino al Rinascimento ed oltre.

Nella struttura presa in esame, la facciata presenta una terminazione rettilinea con cornice ad archetti pensili trilobati e risulta tripartita da lesene, mentre nella parte centrale il portale, sormontato da sottili incorniciature cuspidate, e il rosone a ruota risultano inseriti in un’unica incorniciatura a timpano tagliata orizzontalmente da una fascia a foglie geminate. La tradizione che vorrebbe la terminazione originaria di Santa Maria Assunta cuspidata, di netto stile gotico, costituirebbe, in realtà, solamente un malinteso derivante da un’interpretazione soggettiva del Necrologio della Cattedrale. Di fatti quel documento, risalente al terremoto che vi fu nel 1563, riferisce[1] che il violento sisma lesionò gravemente la facciata provocando la caduta di alcune pietre collocate sulla sommità, senza però citare in alcun modo quale fosse il tipo della terminazione dell’edificio. Per questo motivo non sussiste la possibilità che il restauro cinquecentesco abbia modificato il disegno originario del prospetto. In questa struttura semplice e lineare, caratterizzata da una forte prevalenza dei pieni sui vuoti, si vanno ad inserire gli elementi scultorei del portale maggiore e del rosone, sopra al quale troviamo un’edicola trilobata che ospita la statua della Vergine con il bambino in braccio, seduta su un trono finemente lavorato.

 

I portali

I portali della Cattedrale, importanti esempi del Gotico in Abruzzo, costituiscono un ulteriore elemento caratterizzante non solo per la loro testimonianza dell’evoluzione costruttiva dell’edificio con le loro epigrafi riportanti date e nomi dei loro artefici, ma anche per la loro significativa funzione decorativa (Fig.4).

 

Partendo dal prospetto meridionale il portale più antico, posto in posizione mediana, è quello attribuito a Raimondo de Podio e datato 1288. Collocato tra due lesene che ne diventano parte integrante, presenta una decorazione molto sobria con un elemento nastriforme che ne delimita la parte superiore costituita da un frontone a timpano. Al di sotto invece, l’arco, ornato al suo interno da figure floreali a punta di diamante, è disegnato da una cornice sottile. In posizione centrale, sopra l’arco, è posto l’agnello crucifero contornato agli angoli da quattro cigli di Francia, simbolo della famiglia d’Angiò al tempo regnate.

Il secondo portale, sulla destra rispetto al precedente, è attribuito per sua stessa epigrafe al medesimo artista che, seppur seguendo un disegno analogo, mostra qui la sua piena maturità artistica[2] che si concretizza in un linguaggio molto originale caratterizzato da ricchi ornamenti negli archivolti. Vi è infatti un ampio uso della foglia di palma che viene lavorata radialmente attorno alla curvatura dell’archivolto, in modo tanto singolare da essere definita “palmetta atriana”. Ogni spazio, quindi, presenta una ricca decorazione dimostrando non solo l’attitudine creativa del suo autore, ma anche l’eccellente maestria marmoraria acquisita.

Sempre sul fianco, il terzo ed ultimo portale anche per cronologia, essendo la sua costruzione datata nel 1305, è stato realizzato da Rainaldo d’Atri, il quale viene considerato dall’iscrizione sulla lapide collocata sulla lesena di sinistra anche come il progettista dell’intera opera del Duomo. Lo schema è nuovamente a timpano ottenuto con decorazione a fiori a punta di diamante, mentre negli ornamenti concentrici dell’archivolto domina la palmetta atriana.

Infine il portale maggiore (Fig.5), contemporaneo all’ultimo del fianco, pur presentando i medesimi stilemi dei precedenti, li rielabora in dimensioni grandiose. È qui presente il repertorio scultoreo dei portali minori, ulteriormente arricchito, in un succedersi di motivi mai interrotti: le colonnine con diversi motivi a spirale, sormontate da sei capitelli, fungono da base ad altrettanti archi concentrici a tutto sesto che degradano fino all’affresco centrale dell’Assunzione della Vergine.

 

L’interno

Proseguendo verso l’interno della Cattedrale, ci troviamo di fronte ad una pianta a tre navate che presenta un discreto slancio verticale ed un ritmo regolare grazie alla divisione dello spazio operata da archi diaframma su pilastri quadrilobati, che creano una commistione tra la severa semplicità dell’architettura precedente e il contenuto slancio gotico degli archi a sesto acuto impostati su semplici capitelli in pietra (Fig.6). L’ampio spazio viene poi interrotto da una serie di pilastri polistili, alcuni dei quali risultano fasciati da un rivestimento ottagonale di rinforzo per esigenze statiche già nel Trecento.

 

Inoltre, è proprio al suo interno che la Cattedrale di Atri racchiude un’altra delle sue meraviglie: il ciclo pittorico che corre lungo le superfici dello spazio interno, dalle pareti ai rinforzi ottagoni delle colonne. Gli affreschi furono iniziati alla fine del Duecento e conclusi circa due secoli dopo con la decorazione del coro. Ma oggi delle pitture più antiche rimane solo una parte, dato che la maggior parte di esse fu irreparabilmente danneggiata dagli intonaci sovrapposti nel XVII secolo, nonostante ciò gli interventi di restauro del 1895 riuscirono a restituirne un numero discreto.

Uno dei dipinti più antichi, risalente al 1270 circa, è situato sulla navata sinistra ed è denominato Incontro dei vivi e dei morti (Fig.7), esso ritrae tre scheletri apparsi inaspettatamente a tre nobili signori vestiti con ricchi abiti e accompagnati da cavalli. Questo affresco, che presenta una struttura molto semplice con un modellato privo di profondità che lo fa collocare proprio tra le prime sperimentazioni del periodo gotico, risulta ancor più interessante per il tema della raffigurazione; il quale ci riporta direttamente alla tradizione dei poemi francesi del XII secolo in cui ricorre tale singolare incontro che vede tre giovani cavalieri al cospetto di altri e tanti cadaveri che li ammoniscono con un memento mori. Infatti, anche nell’opera presa in esame è ancora visibile la prima parte dell’ammonizione, situata al di sopra dei cavalieri e scritta in caratteri gotici: “Nox quae liquescit gloria sublimis mundi […]”[3] che potrebbe costituire un riferimento alla vittoria della morte sulla vita.

 

Un carattere notevolmente diverso si ritrova invece nelle immagini del coro, la cui raffinatezza mette in luce un’importante attenzione per la spazialità e la prospettiva che sottolineano fin da subito una collocazione temporale successiva della mano di Andrea De Litio, artista nato nell’aquilano e formatosi a Firenze nel XV secolo (Fig.8).

 

Tali affreschi, che costituiscono una delle opere più importanti del Quattrocento in Abruzzo, si sviluppano sulle tre pareti dell’ultima campata, nella parte centrale dell’abside, e nella volta, dove in alto, sulle quattro vele della crociera costolonata, troviamo su uno sfondo azzurro disseminato di stelle le ampie figure degli Evangelisti e Dottori della Chiesa (Fig.9), disposti nella stessa modalità di Giotto ad Assisi nella chiesa di San Francesco. Nelle pareti del coro, invece, si possono ammirare le scene tratte dal Nuovo Testamento composte in riquadri e delimitate da archi e colonne finemente decorati. Queste vicende, seppur divise architettonicamente, sono tra loro comunicanti e narrano le storie dell’infanzia della Vergine, le leggende e momenti della vita di Cristo e la vita della Vergine dopo la morte di Gesù Cristo, per un totale di 101 pannelli, che lo rendono uno dei cicli di affreschi più grandi d’Abruzzo.

 

È da notare, inoltre, l’importante elemento di collegamento con la cultura e la tradizione regionale che si stabilisce all’interno delle raffigurazioni del maestro De Litio, evidenti in particolar modo nelle scene della Vita di Maria e di Gioacchino, dove non mancano riferimenti alla società e cultura atriana del tempo, ad esempio con la raffigurazione di donne e fanciulle nelle loro acconciature e costumi tipici, e paesaggi che riportano sia a quelli della Marsica che a quelli atriani con i tipici calanchi.

Quanto detto non può che farci guardare alla città di Atri e al suo duomo (Fig.10) come un prestigioso scrigno della storia e della cultura abruzzese, che non può non essere scoperto e visitato.

 

 

 

Note

[1] “[…] frontispitium huius Ecclesiae sub portam magnam vi diruptum est, et lapides cacuminis dicti parietis ceciderunt…”.

[2] Ci troviamo qui nel 1302.

[3] “E la notte svanisce: la gloria del mondo…”.

 

 

 

Bibliografia

Trubiani Bruno, Atri: città d’arte, Edizioni Menabo, Ortona, 1996.

Palestini Caterina, Cattedrale di Santa Maria Assunta: Atri, BetaGamma, Viterbo, 1996.

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