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A cura di Mery Scalisi

 

Lungo le vie del centro storico catanese, sulla piazza San Francesco, nel quartiere omonimo, spicca il Santuario di San Francesco all’Immacolata, fra i primi conventi francescani sorti in Sicilia (fig. 1).

Secondo la tradizione, il Convento e la chiesa  furono fondati nel 1235 da frate Paolo da Venezia, discepolo diretto di San Francesco d’Assisi, che rimase in funzione fino alla soppressione degli ordini del 1866.
Ricostruito più volte a seguito di eventi calamitosi e colpito duramente dal terribile sisma del 1693, il convento del Santuario venne riedificato nel Settecento mentre la facciata venne portata a termine nell’Ottocento; del complesso originario, oggi rimane solamente la Chiesa, in quanto l’intero edificio conventuale, ormai in rovina e pericolante, venne demolito definitivamente nel 1964.

Una scarsa documentazione non ci fornisce notizie certe circa gli architetti della Chiesa, costruita nel 1329 per volere di Eleonora d’Angiò e d’Aragona, regina di Sicilia che decise di far costruire la chiesa e il convento sulle rovine del tempio di Minerva né tantomeno sulle personalità intervenute per la nuova edificazione dopo il terremoto del 1693.

Sicuramente, la riedificazione settecentesca del santuario ci consente, già ad occhio, di notare come nella ricostruzione i canoni seguiti siano stati quelli del barocco settecentesco catanese, sulle orme dell’architetto palermitano Giambattista Vaccarini, il quale contribuì a donare alla cittadina etnea quell’armonia ed equilibrio tipici del barocco del tempo.

All’edificio Sacro viene tradizionalmente attribuito anche l’appellativo “all’Immacolata” in virtù della profonda devozione dei catanesi nei confronti della Vergine.

L’incontro con l’edificio Sacro si ha sul corso Vittorio Emanuele, nei pressi della scenografica, suggestiva e storica via Crociferi.

L’edificio è accessibile, da piazza San Francesco, mediante un’armoniosa e imponente scalinata in pietra lavica che consente il successivo accesso al sagrato (fig. 2).

 

Sulla cornice aggettante della balaustra quattro grandi statue, realizzate da Carmelo di Stefano e rivolte verso la piazza (San Giuseppe da Copertino, Santa Chiara, Sant’Agata e San Bonaventura), alle cui spalle segue il prospetto bipartito caratterizzato da un importante gioco di luci e ombre e da un continuo alternarsi di pieni e vuoti (fig. 3).

 

I due prospetti. realizzati rispettivamente da Antonio Caruso (quello inferiore) e da Gaspare Nicotra Amico (superiore), seguono l’andamento tipico delle architetture sacre barocche; l’inferiore presenta fasci di semicolonne, che delimitano l’apertura della navata centrale e caratterizzano tutto il prospetto interrompendosi esattamente alle tre grandi porte in ferro delle tre navate, realizzate da Domenico Girbino, e alle due finestre simmetriche rettangolari.

Dal prospetto inferiore, superata una maestosa cornice, arriviamo alla parte superiore nella quale l’andatura del prospetto sottostante continua con una decisa accentuazione delle masse. L’intervento dell’autore, in questo caso, è decisamente più audace: il suo azzardo consiste nell’inserire al centro la Statua dell’Immacolata, anch’essa opera di Carmelo Di Stefano, in una larga cornice costituita dal frontone e dalle colonne corinzie. Il piano va a concludersi alle due estremità con le statue di San Francesco e di Sant’Antonio (fig. 4).

 

Dopo l’incontro col prospetto principale, l’ingresso al Santuario ci è consentito grazie ad un elegante bussola con vetri smerigliati.

L’edificio attuale presenta una pianta a tre navate; la nave centrale è la più ampia, coperta a botte e delimitata da sei imponenti pilastri che danno vita ad otto arcate (fig. 5).

 

In fondo, arrivando fino all’abside, sopra i 36 stalli della cantoria di noce, troviamo un importante affresco murale, di autore ignoto, raffigurante l’Indulgenza della Porziuncola, episodio che l’anonimo artista interpreta quasi come una visione. Il brano, visibilmente ricco di dettagli e particolari, si divide in due zone: in basso a sinistra San Francesco, vestito con abito nero e largo cappuccio, si raccoglie in preghiera, con atteggiamento supplicante; al centro, su degli sgabelli, due angioletti, recanti il primo una croce e la disciplina (in segno di penitenza), l’altro il teschio, ad indicare la labilità della vita, ed entrambi hanno un libro aperto; a destra, poi, verso il centro, un imponente angelo tiene in mano un canestro di rose, come simbolo della grazia.

Da non tralasciare, poi, la disposizione dei protagonisti: Cristo risorto e con la croce, circondato da cherubini, china il capo verso la Madre Immacolata, adagiata sulle nuvole con il cartiglio “INDULGENTIA PLENARIA” nella mano destra.

I quattro pennacchi della grande calotta che conclude il presbiterio vennero decorati nel 1766 da Francesco Sozzi, pittore palermitano figlio del celebre Olivio, con le tre Allegorie delle Virtù teologali (Fede, Speranza, Carità) alle quali si aggiunge la Fortezza (virtù cardinale), ciascuna di esse impersonata da una figura femminile dai colori armoniosi: la Speranza è una donna alata che incorona un putto alato; la Carità è una donna con sul capo una fiamma; la Fortezza indossa un elmo ed impugna una lancia; infine, la Fede è seduta con le braccia spalancate e con una corona d’alloro in mano.

Il soffitto dell’abside, circondato da una cornice in stucco, presenta l’Agnello dell’Apocalisse sul libro dei Sette Sigilli, firmato da Francesco Sozzi.

L’altare maggiore, rivestito di diaspri di Sicilia (in passato conosciuto anche col nome di libeccio di Custonaci, il diaspro tenero di Sicilia estratto nelle montagne di Custonaci, presenta una colorazione che va dal rosso cupo al giallo ocra, con rare intrusioni bianche) e da altri marmi pregiati, presenta al centro un importante tabernacolo, lavorato minuziosamente con stucchi di colore rosso e oro, concluso da una porticina in rame smaltato e alla quale venne aggiunta nella seconda metà del ‘900 una chiusura di sicurezza.

A seguito del Concilio Vaticano II, l’altare ha iniziato ad essere rivolto verso il popolo, e nel Santuario di San Francesco ne è stato realizzato uno in legno di tiglio dorato ed argentato.

La navata centrale si chiude con il pulpito addossato ad uno dei pilastri della stessa.

Le navate laterali presentano invece una serie di cappelle, coperte da piccole cupole ribassate e decorate sobriamente con putti alati che emergono dai pennacchi dorati, azzurri o a fresco.

Nella navata sinistra troviamo: la cappella del Sacro Cuore; la Cappella di San Francesco d’Assisi; la Cappella di San Giuseppe (fig. 6); la Cappella dello Spasimo, che prende il nome dallo Spasimo di Sicilia, opera realizzata nel 1515 da Raffaello Sanzio per il monastero di Santa Maria dello Spasimo a Palermo, del quale è visibile una copia di Jacopo Vigneri, allievo di Polidoro, eseguita nel 1541(fig.7); la cappella di Santa Chiara e della Regina Eleonora.

 

Nella navata destra: la custodia dell’Immacolata, con il dipinto del Miracolo della mula in ginocchio dinanzi all’Ostia consacrata; la cappella delle anime purganti (fig.8); cappella di San Giuseppe da Copertino; cappella di San Bonaventura (fig. 9); cappella dell’Immacolata.

 

Curiosità

Fino a qualche anno fa all’interno della Chiesa di San Francesco all’Immacolata vi era un chiaro richiamo alla Santa Patrona di Catania, la Vergine e Martire Agata: sei delle undici candelore – i grandi ceri votivi offerti dalle associazioni di commercianti alla santa (fig. 10).  – che sfilano lungo le vie della città durante i giorni della festa patronale portate a spalla, dai portatori, con un tipico passo danzante e che dona all’intera opera un movimento ondeggiante, venivano custodite nelle navate laterali del Santuario.

 

 

 

Bibliografia

Francesco Costa, San Francesco all’Immacolata di Catania. Guida storico-artistica, Palermo, officina di studi medievali, 2007.

Il porto di Catania. Storia e prospettive, a cura di Antonio Coco e Enrico Iachello, Siracusa, Lombardi, 2003.

Lucio Sciacca, La città, da Katana a Catania le lunghe radici, Catania, Cavallotto, 2018.

Collana Gli Stili: BAROCCO, Architettura, scultura e pittura, S. Di Fraia.

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