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A cura di Valentina Fantoni

 

 

Pieve di Cento, piccolo borgo di origine medievale in provincia di Bologna, deve il suo nome alla presenza del fonte battesimale, chiamato anticamente pieve, nella propria chiesa di Santa Maria Maggiore, ergendosi così a luogo di riferimento per l’intera comunità cattolica del territorio circostante, che si estendeva nella vasta zona del comune di Cento e terre limitrofe.

Da sempre luogo di passaggio per i pellegrini che si recavano a Roma, attirati dalla presenza della statua lignea del Santissimo Crocifisso, Pieve visse un fermento religioso e culturale non indifferente. La sua posizione di confine fra le province di Bologna e Ferrara le permise di essere una realtà contaminata e contaminante: dal Trecento e per i secoli successivi Pieve sottostò per la maggior parte del tempo al potere politico dello Stato della Chiesa, mentre in alcune occasioni vide subentrare il potere del comune di Bologna, e per un brevissimo tempo, sul finire del Cinquecento, fu governata dalla famiglia ducale ferrarese degli Este. Nonostante sia stato motivo di dissidi, difficoltà e dispute, l’alternanza del potere politico non impedì lo sviluppo e la diffusione della cultura artistica del tempo, anzi favorì la contaminazione di differenti culture, come erano in quell’epoca quella bolognese e quella ferrarese. È grazie questo clima culturale, caratterizzato dalla necessità, da parte della Chiesa, di affermare la propria dottrina in difesa alla diffusione del culto protestante, che il numero di confraternite e ordini religiosi vide un momento di grande proliferazione. Il rinnovamento di alcuni spazi religiosi, come chiese o cappelle, creò l’occasione per l’affidamento di alcune importanti committenze artistiche. L’arte giocò infatti un ruolo fondamentale nel culto rinnovato della Controriforma, dal momento che le immagini, e quindi in particolar modo la pittura, erano lo strumento principale attraverso cui veicolare il messaggio religioso anche ai meno colti, a chi non sapeva o non aveva mai letto le Sacre Scritture. Fu proprio grazie a questo clima culturale e al fermento religioso e laicale che a Pieve approdarono alcune opere di grandi artisti, come Guido Reni, Scarsellino, Guercino e Lavinia Fontana.

L’opera principale che compare sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, chiamata anche Collegiata, è la tela raffigurante l’Assunzione della Vergine eseguita da Guido Reni (Bologna, 1575-1642) nel 1600. La presenza artistica dell’opera del giovane e promettente artista bolognese nella chiesa principale di Pieve di Cento assunse un significato di grande rilievo per la storia e l’orgoglio pievese. Possedere un’opera come questa rappresentava per il paese un prestigio non solo culturale ma anche politico, dal momento che il valore del Reni era già riconosciuto nell’ambiente di Bologna, e non solo, e per la vicinanza politica tra la città bolognese e quella pievese. Inoltre, la commissione dell’opera per la Collegiata di Santa Maria Maggiore costituì un segno di riconoscimento verso il luogo stesso, mentre per l’artista rappresentò un’importante occasione per far conoscere i suoi più autentici valori agli inizi di quella che sarebbe stata una promettete carriera. La commissione dell’opera fu dovuta all’esecuzione del lascito testamentario del canonico Giuseppe Crescimbeni che, con testamento in data 21 settembre 1597, due giorni prima della morte, lasciò come erede dei suoi averi la Compagnia di Santa Maria, della quale era membro e cappellano, disponendo l’esecuzione di un nuovo altare maggiore per la Collegiata, commissionando anche l’esecuzione della relativa pala, che avrebbe dovuto avere come soggetto l’Assunzione della Vergine (fig.1). A commissionare l’opera al Reni fu un personaggio noto di Pieve di Cento, membro di una delle famiglie più conosciute ed importanti del paese, nonché membro illustre della Compagnia di Santa Maria: Giuseppe Mastellari. L’opera venne affidata al giovane artista bolognese verso la fine del 1599 e, secondo gli studi di Stephen Pepper, terminata e consegnata nell’agosto del 1600, proprio nel giorno della festività dell’Assunzione, il 15 agosto 1600. In tale occasione, l’opera veniva mostrata all’intera comunità pievese con grande orgoglio e fierezza e collocata sull’altare maggiore in tutto il suo splendore. L’opera, inoltre, può essere considerata come l’ultima opera importante che il Reni eseguì prima della sua partenza per Roma, nella primavera del 1601. La tela attraverso la rappresentazione del miracolo dell’Assunzione si connota come quelle immagini che venivano definite biblia pauperum, ovvero strumento di conoscenza per i meno colti, per coloro che non sapevano leggere le scritture o che non le conoscevano. Per comunicare lo sgomento e lo stupore che gli apostoli avevano vissuto in prima persona nel trovare il sarcofago vuoto, Guido Reni rappresentò le loro reazioni e la salita in cielo, in anima e corpo, della Vergine. In questo modo l’artista cercò di coinvolgere lo spettatore nell’azione, di commuoverlo e convincerlo della verità di fede attraverso il tramite dell’immagine. Inoltre, per rendere più immediata la lettura dell’opera, Reni suddivise la tela in due parti: quella superiore dedicata alla rappresentazione della salita in cielo della Vergine, e quindi simboleggiante il mondo celeste, mentre quella inferiore rilegata alla rappresentazione delle emozioni degli apostoli, e quindi simbolo della dimensione terrena vissuta da ogni cristiano. L’opera, commissionata per l’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Pieve di Cento, dove è tuttora ammirabile, subì anche un tentativo di asportazione e alienazione per mano delle truppe napoleoniche, ma grazie all’amore e alla fermezza che dimostrò la comunità pievese nei confronti di quest’opera non fu possibile ai francesi trasferirla in patria.

 

Altro nome che compare a Pieve di Cento è quello di Scarsellino, all’anagrafe Ippolito Scarsella (Ferrara, seconda metà del Cinquecento – 1620), uno dei maggiori esponenti della pittura ferrarese tardo manierista e abile artista nel saper mediare la cultura pittorica ferrarese e veneta con quella emergente emiliana, tanto da aver influenzato anche il giovane Guercino. Fu uno degli artisti a cui si affidò e a cui fece riferimento il duca Cesare d’Este, per l’abbellimento di alcuni appartamenti e cappelle private, o per la riproduzione di importanti opere che rischiavano di essere perse in seguito alla devoluzione di Ferrara da parte dello Stato della Chiesa, avvenuta nel 1598.

Diverse sue opere approdarono a Pieve di Cento grazie alla committenza di alcuni membri della famiglia Mastellari, famiglia benestante e impegnata nel sociale in paese. La sua prima opera fu commissionata nel 1605 per mano di Alessandro Mastellari, che volle contribuire all’abbellimento della chiesa di Santa Maria al Voltone, edificio che si trovava di fronte alla chiesa parrocchiale (la Collegiata di Santa Maria Maggiore). L’opera venne commissionata per l’altare maggiore e doveva rappresentare, all’interno dell’episodio della Nascita della Vergine (fig.2), le vie devozionali e caritatevoli perseguite dalla Compagnia della Devozione di cui il Mastellari faceva parte, compagnia che presidiava la chiesa e l’Ospedale attiguo. Scarsellino fu molto abile e diede prova della sua bravura nell’impiegare le figure delle fanciulle e delle ancelle che assistettero la Vergine nel momento del parto per rappresentare le vie devozionali della compagnia: l’operosità verso il culto, preghiera e contemplazione. L’operosità verso il culto, intesa anche tra i doveri associativi nella Compagnia e verso l’assistenza al prossimo nell’ospedale e attraverso le opere caritative, nel dipinto viene rappresentata attraverso le figure operose ed attente dei diversi gruppi della composizione. La preghiera affettuosa, come si addice alla Madonna a cui è rivolta e come indica il nome della Compagnia, è simboleggiata dalle donne che assistono amorevolmente Maria, mentre la contemplazione, il più alto grado devozionale, che permette di instaurare un rapporto speciale e diretto con la Vergine, nel dipinto è rappresentato dai genitori di Maria, entrambi in atteggiamento contemplativo. La figura di Maria apparentemente sembra essere messa in secondo piano, ma la sua posizione all’interno della composizione è giustificata dal fatto che a lei si addice la venerazione, ma non l’adorazione, riservata e rivolta a Dio. Il dipinto e la disposizione delle figure all’interno di esso riproducono attentamente l’atmosfera che si poteva respirare negli ambienti della confraternita. Costruendo la scena pittorica in questo modo, Scarsellino soddisfò le richieste del committente, rendendo immediato il messaggio e il valore che la Compagnia volevano trasmettere a chi avrebbe osservato il dipinto sull’altare della chiesa. L’opera venne poi trasferita poco dopo la sua realizzazione e fu collocata nell’oratorio dell’Ospedale, per poi essere successivamente trasferita in Collegiata a seguito delle soppressioni napoleoniche. L’opera è tutt’ora visibile in Collegiata presso l’altare della Natività.

 

L’artista ferrarese venne contattato nuovamente nel 1615 per realizzare un’opera voluta dallo stesso Alessandro Mastellari, al momento della sua morte, per l’istituzione di una cappella dedicata ai Santi Michele Arcangelo e Giacomo presso l’altare del Santissimo Sacramento nella chiesa Collegiata. Scarsellino compose la scena dell’opera di San Michele Arcangelo abbatte il demonio accanto a San Giacomo ed Alessandro Mastellari (fig.3) collocando al centro l’Arcangelo in volo nell’atto di scagliare una lancia contro Satana, disteso a terra, rappresentando così la vittoria del bene sul Demonio. San Giacomo, invece, viene raffigurato in piedi, sulla sinistra, mentre regge trionfante il bastone del pellegrino. Sulla destra del dipinto Scarsellino posizionò e raffigurò, secondo la tradizione degli astanti votivi, vestito di nero, inginocchiato e a mani giunte, Alessandro Mastellari. L’artista ferrarese in quest’opera eseguì un vero e proprio ritratto del committente: mostrato di profilo, con il volto segnato da un naso pronunciato e da una folta barba, viene mostrato come un uomo modesto e umile, nel vigore degli anni, esaudendo probabilmente il volere dello stesso Mastellari di lasciare un’immagine austera di sé, nonostante fosse un uomo potente, ai massimi vertici delle istituzioni pubbliche e religiose di Pieve di Cento. L’opera raffigurante San Michele fu trasferita in un primo momento nella chiesa Collegiata, per la quale era stata voluta ed eseguita, ma passò in seguito nell’oratorio della chiesa di Santa Chiara, tra i beni della congregazione di Carità, per essere poi consegnata in deposito presso la Pinacoteca civica nel 1941, dove si trova tuttora.

 

Altro nome di spicco che compare a Pieve di Cento è quello di Guercino (Cento, 1501-Bologna, 1666), artista natio della vicina Cento. Le ragioni della presenza dell’opera del Guercino a Pieve di Cento possono essere individuate in una serie di fattori, strettamente legati al territorio e al particolare momento storico e artistico del tempo. Prime fra tutti, la presenza a Pieve della famiglia Mastellari, fautrice di numerose committenze artistiche (Guido Reni e Scarsellino), e la venuta a Pieve di Cento dell’ordine religioso dei padri Scolopi, destinatari dell’opera dell’artista centese. La presenza dei padri Scolopi si deve alla realizzazione della volontà di Giuseppe Mastellari di erigere un collegio per l’istruzione dei giovani pievesi, accanto al quale venne eretta una chiesa, intitolata alla Santissima Annunziata, per la quale venne commissionata l’opera al Guercino. La scelta iconografica particolare e ideata dall’artista stesso rappresenta l’attimo prima dell’annuncio, motivo per cui potrebbe essere più corretto riferirsi al dipinto con il titolo di Annunzianda (fig.4). La rappresentazione dell’annuncio viene quindi realizzata nel momento subito precedente all’incontro tra l’arcangelo Gabriele e Maria, ovvero quando il messaggero divino riceve le istruzioni da parte del Padre Eterno, episodio visibile nella parte superiore della tela. Maria viene rappresentata nella parte inferiore della tela, immersa in un’atmosfera tranquilla e austera, nell’atto della lettura, e non comunemente in quello della preghiera. Probabilmente la scelta di rappresentare la Vergine assorta nella lettura derivò da alcuni suggerimenti dei padri Scolopi, che volevano rendere chiaro e immediato, a chi avrebbe osservato il dipinto, che la loro missione era quella di istruire i giovani pievesi attraverso la lettura di testi, sacri e contemporanei. La composizione dell’opera, quindi, è semplice ed intuitiva, e di forte impatto dal momento che mostra l’imperturbabilità della Vergine difronte alla grandezza del volere divino. L’opera al tempo delle soppressioni napoleoniche, nel 1798, corse uno dei maggiori rischi di alienazione, ma come nel caso dell’opera del Reni, grazie all’opposizione della cittadinanza non fu possibile rimuovere il dipinto. La collocazione in Collegiata della pala del Guercino è relativamente recente. Infatti, nel 1924 dopo la sconsacrazione della chiesa dell’Annunziata era stata prima sistemata in sede comunale, presso la sala del Consiglio, in municipio, e solamente nel 1940, all’inizio della Seconda guerra mondiale trasferita con altre opere in Santa Maria Maggiore, e qui collocata sul primo altare a sinistra, l’altare dell’Annunciazione.

 

Altro nome importante presente a Pieve di Cento è quello di Lavinia Fontana (Bologna, 1552-Roma, 1614), una delle più note artiste di tutta la storia dell’arte. L’opera autografa che risiede nell’altare del Santissimo Sacramento in Collegiata, datata 1593, deve la sua presenza in terra pievese a un trasferimento, per obblighi testamentari, dall’altare della cappella privata della famiglia Paleotti in San Pietro a Bologna. L’opera raffigurante l’Assunzione (fig.5) approdò in Collegiata nel 1798 ed è uno dei massimi esempi di pittura di tema sacro dell’artista bolognese. Infatti, Lavinia fu tra le prime donne artiste a cimentarsi nella realizzazione di pale d’altare nel mondo cristiano cattolico, e questo fu possibile grazie alla sua bravura, ma anche alla stima che raccolse da parte dei colleghi e contemporanei fin dagli inizi della sua carriera. L’opera si distingue da quella omonima del Reni per il modo in cui la Vergine viene rappresentata durante l’evento miracoloso dell’assunzione. Qui Maria è accompagnata da uno gruppo di angioletti festanti e da un turbine di nuvole, mentre nella parte inferiore della tela si scorge il profilo della città di Bologna, luogo per cui era stata originariamente commissionata l’opera. La sua maestosità porta l’osservatore a prendere coscienza dell’evento miracoloso e della sua sacralità, aderendo così al mistero della fede della resurrezione in anima e corpo della Vergine. L’opera sebbene fosse in origine destinata alla cattedrale bolognese si trova ben inserita e in armonia con i capolavori presenti nella Collegiata di Santa Maria Maggiore, tutti dedicati a episodi della vita di Maria.

 

Nella piccola realtà paesana di Pieve di Cento è quindi possibile respirare un’atmosfera antica e piena di cultura grazie alla presenza di opere realizzate da grandi artisti quali furono Lavinia Fontana. Guercino, Scarsellino e Guido Reni.

 

 

 

Bibliografia

Giovanni Francesco Barbieri, Il Guercino, 1591-1666, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Archeologico; Cento, Pinacoteca Civica e Chiesa del Rosario; 6 settembre – 10 novembre 1991; [Il Guercino, dipinti e disegni, Il Guercino e la bottega; Francoforte, Schirn Kunsthalle, Washington, National Gallery of Art]), a cura di sir Denis Mahon, introduzione di Andrea Emiliani, Bologna, Nuova Alfa editoriale, 1991

Guido Reni, 1575-1642, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale e Accademia di Belle Arti, Museo Civico Archeologico; 5 settembre – 10 novembre 1988; [Los Angeles, County Museum of Art, Forth Worth, Kimbell Art Museum]), a cura di Stephen Pepper, introduzione di sir Denis Mahon, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1988

Guido Reni. Opera completa, Phaidon Press Ltd, London 1984, ed. cons. Istituto Geografico De Agostini, Novara 1988

La Collegiata di Santa Maria Maggiore di Pieve di Cento, a cura di Campanini, Samaritani, Costa Editore, Bologna 1999

La Pinacoteca civica di Pieve di Cento. Catalogo delle opere dal XII al XIX, a cura di Elena Rossoni, Minerva Edizioni, Bologna 2004

La Pinacoteca civica di Pieve di Cento. Catalogo generale, a cura di Rosalba D’Amico, Fausto Gozzi, Nuova Alfa Editoria, Bologna 1985

Lavinia Fontana 1552-1614, a cura di Vera Fortunati, Electa, Milano 1994

Lavinia Fontana bolognese, pittora singolare 1552-1614, a cura di Maria Teresa Cantaro, Jandi Sapi Editori, Roma 1989

Lavinia Fontana of Bologna (1552-1614), exhib. cat. (Washington, NMWA), edited by Vera Fortunati, Milano 1998

Lo Scarsellino, a cura di Maria Angela Novelli, Cassa di Risparmio di Ferrara 1964

Scarsellino, a cura di Maria Angela Novelli, Fondazione Carife, Cassa di Risparmio di Ferrara 2008

 

Sitografia

Dizionario biografico degli italiani Treccani – Guercino

https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-francesco-detto-il-guercino-barbieri_(Dizionario-Biografico)

Dizionario biografico degli italiani Treccani – Guido Reni

https://www.treccani.it/enciclopedia/guido-reni_(Dizionario-Biografico)

Dizionario biografico degli italiani Treccani – Ippolito Scarsella

https://www.treccani.it/enciclopedia/scarsella-ippolito-detto-lo-scarsellino_(Dizionario-Biografico)

Dizionario biografico degli italiani Treccani – Lavinia Fontana

https://www.treccani.it/enciclopedia/lavinia-fontana_(Dizionario-Biografico)

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