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A cura di Andrea Bardi

 

Storia della Stanza “della Segnatura”

La Stanza detta “della Segnatura” [Fig. 1] afferisce all’insieme di ambienti che, in corrispondenza dell’ala settentrionale del secondo piano del complesso dei Palazzi Apostolici Vaticani, formano l’appartamento che papa Giulio II della Rovere [Fig. 2], salito al soglio pontificio il 31 ottobre 1503, volle, ad un certo punto, predisporre ad uso privato. Circa il motivo del trasferimento in questi ambienti, risolutive appaiono le parole del cerimoniere pontificio Paride de’ Grassis il quale, nel suo diario personale, così scriveva:

“Hodie papa incepit in superioribus mansionibus palatii habitare, quia non volebat videre omni hora, ut mihi dixit, figuram alexandri praedecessoris sui, inimici sui, quem marranum et iudaeum appellabat, et circoncisum”[i]

 

 

Fu un movente di carattere politico, dunque – l’acrimonia, l’odio accumulato negli anni nei confronti di papa Alessandro VI Borgia – a spingere della Rovere a trasferirsi dall’appartamento del rivale (da pochi anni frescato dal Pinturicchio) altrove. Le notazioni di De’ Grassis risultano utili, tuttavia, anche per comprendere la datazione dell’insediamento di Giulio in quelle che sarebbero divenute poi famose come le Stanze. Il brano, risalente al 26 novembre 1507, riporta l’indicazione “hodie” (oggi) ed è perciò immediatamente comprensibile che fu quello il giorno esatto in cui il pontefice stabilì in quegli ambienti la sua residenza.

Da quel momento in poi, Giulio II intraprese una campagna decorativa che vide, in un primo momento – come recita del resto l’Opusculum de mirabilibus Novae & Veteris Urbis Romae, scritto nel 1509 da Francesco Albertini – un gruppo di pictores concertantes, che comprendeva nomi di assoluto rilievo come Luca Signorelli, Bramatino, Sodoma, Peruzzi e Lorenzo Lotto. Proprio a quest’ultimo risultano due pagamenti (7 marzo e 9 marzo 1509) per delle pitture “in camera bibliothece” e “in cameris superioribus papae prope librariam”[ii].

L’arrivo di Raffaello, nel 1508, venne, secondo la testimonianza di Giorgio Vasari, favorito in certa misura dall’architetto e compaesano Donato Bramante, all’epoca al lavoro nel cantiere di rinnovamento di San Pietro. Scrive Vasari:

“Bramante da Urbino, essendo a’ servigi di Giulio II, per un poco di parentela, ch’aveva con Raffaello & per essere di un paese medesimo, gli scrisse che haveva operato col papa, il quale haveva fatto fare certe stanze, ch’egli potrebbe in quelle, mostrare il valor suo, piacque il partito a Raffaello”[iii]

Una volta giunto a Roma, Raffaello colpì il pontefice a tal punto che egli decise di distruggere tutti gli interventi pittorici della campagna decorativa in corso e di affidare all’urbinate un nuovo ciclo da realizzare ex novo. Il primo pagamento a Raffaello risale al 13 gennaio 1509, mentre il 4 ottobre dello stesso anno il pittore, nominato da Giulio scriptor brevium apostolicorum, divenne il solo maestro all’opera nella stanza (precedentemente risultava ancora affiancato dal Sodoma). Gli interventi artistici di Raffaello, discussi in successivi approfondimenti, verranno completati nel 1511. Un’iscrizione che corre sullo sguincio della finestra a dividere, nella parete delle Virtù e della Legge, le due scene con Triboniano che consegna le Pandette a Giustiniano [Fig. 3] e Gregorio IX che approva le Decretali [Fig. 4] recita infatti:

 JVLIVS II. LIGVR. PONT. MAX. ANN. CHRIST. MDXI. PONTIFICAT. SVI. VIII

Essendo stato eletto nel 1503 (31 ottobre), l’ottavo anno di pontificato (“ANN. […] PONTIFICAT. SVI. VIII”) è dunque il 1511.

 

 

La funzione. Le ipotesi degli studiosi.

Il problema relativo a quella che era la funzione originaria della sala rimane, allo stato attuale della ricerca, l’interrogativo più stimolante. L’appellativo “della Segnatura”, che viene impiegato, sempre da De’ Grassis, già nel 1513, deve la sua fortuna ad una erronea considerazione di Giorgio Vasari[iv], per il quale l’ambiente fungeva da sede del Tribunale pontificio della Segnatura Gratiae et Iustitiae. Tali mansioni, tuttavia, venivano portate avanti nella stanza ancora oggi conosciuta come Stanza dell’Incendio, e proprio a partire da tali considerazioni la critica si è, a partire dalla fine dell’Ottocento, interrogata sulle ipotetiche funzioni della sala in questione. La posizione più accreditata, al giorno d’oggi, vorrebbe la sala una biblioteca privata del pontefice. Il primo storico ad avanzare tale ipotesi fu l’austriaco Franz Wickhoff nel 1893 (Die Bibliothek Julius II). A suffragare tale ipotesi, la suddivisione tematica degli scaffali – già vista nella biblioteca di Niccolò V – e soprattutto un costante riferimento all’oggetto libro lungo tutte le pareti dipinte. L’idea di Wickhoff incontrò però, sin da subito, il parere contrario di altri storici: Paul Fabre, già nel 1895, oppose all’ipotesi dell’austriaco una seconda suggestione ancora a partire dall’Opusculum. In queste righe, la “pensilis Julia” – così era chiamata la biblioteca privata di Giulio II – era decorata con “signa […] planetarum et coelorum” (simboli dei pianeti e delle stelle). L’altra fonte messa in campo da Fabre fu una lettera scritta il 20 gennaio 1513 da Pietro Bembo il quale, elogiando l’operato del pontefice – ormai sul punto di morte – descriveva ambienti che evidentemente non potevano coincidere con la Stanza della Segnatura per la presenza – non attestata in tale ambiente – di marmi. Anche l’aggettivo pensilis venne ritenuto da Ernst Steinmann (Die Sixtinische kapelle, 1905) risolutivo: la biblioteca privata di Giulio si trovava, per lui, in una posizione sopraelevata rispetto alle Stanze.

 

Godefridus Hoogeweerf, attorno alla metà del secolo scorso, connesse un certo “Magister Johannes Ruisch”, pagato (14 ottore 1508) per delle pitture “in cameris superioribus S.D.N. papae”, a un collaboratore di Giovanni da Udine, un certo “Giovanni” fiammingo citato da Vasari proprio nella vita del maestro friulano. I tentativi di identificazione delle parti spettanti, nella Stanza della Segnatura attuali, all’olandese sembrano però destinati al fallimento, e questo per una ragione fondamentale. Più che un pittore nel senso tradizionale del termine, Johannes Ruysch era un eminente cartografo, e a partire da tali considerazioni, unite alla consapevolezza del fatto che all’arrivo di Raffaello le decorazioni della sala vennero totalmente sostituite dall’intervento dell’urbinate, Stefano Pierguidi ha avanzato l’ipotesi che la Segnatura fosse, analogamente alla futura Guardaroba Nuova di Cosimo I a Palazzo Vecchio, “un microcosmo in cui, attraverso le scienze della cosmografia e della cartografia, fosse rispecchiato l’ordinamento del macrososmo”[v]. In tal senso, lo studioso ridiscute l’interpretazione data da una parte di critica contraria alla tesi di Wickhoff – confermata da John Shearman – circa un passo tratto dalla vita vasariana di Baldassarre Peruzzi (edizione del 1550) in cui un ciclo di “tutti i Mesi di chiaro scuro, et in questi tutti gli esercizi che si fanno mese per mese per tutto l’anno” veniva erroneamente fatto coincidere con il ciclo cosmologico dei “signisque planetarum et coelorum” di cui parlava Albertini. Egli recupera, inoltre, la testimonianza di Isabella d’Este che in una lettera del 1507, e per il tramite di Fioramonte Brognolo[vi], chiedeva repliche del “mapamondo et signi celesti, che sono depinti in due spere solide in la libaria del papa”. Non pitture, dunque, bensì mappamondi decoravano la biblioteca privata del pontefice.

Ludwig von Pastor – e in tempi più recenti Vincenzo Farinella – non hanno escluso, d’altra parte, che, piuttosto che trattarsi della biblioteca privata del papa, la Stanza della Segnatura potesse essere stata impiegata come studiolo da parte di Giulio, e questo in virtù di un programma iconografico perfettamente compatibile con tale tipologia di ambiente.

 

 

 

Note

[i] Casadei, Farinella 2017, p. 59. Le annotazioni del diario di De’ Grassis vengono originariamente riportate in Redig de Campos 1965, p. 6, nota 2, e in Shearman 1971, p. 188.

[ii] Agosti 2017, p. 527.

[iii] Vasari 1568, p. 69.

[iv] Unger 2012, p. 278.

[v] Pierguidi 2010, p. 157.

[vi] Ivi, p. 152. La lettera di Isabella d’Este venne connessa all’Opusculum di Albertini da Ludwig von Pastor (1912).

 

 

Bibliografia

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Sitografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/raffaello-santi_%28Dizionario-Biografico%29/

“Il principe delle arti nella Roma dei Papi”, video YouTube, 1:07:48, pubblicato da “Scuderie del Quirinale”, https://www.youtube.com/watch?v=HXT0v9zUQ0Y&list=PLD_FcoDiSjEq4wX-P17vCQBbEIV9gT2VR&index=4

“Raffaello, la “Stanza della Segnatura’ spiegata da Antonio Paolucci”, video YouTube, 30:07, pubblicato da “Arte&pittura”, https://www.youtube.com/watch?v=A-JKRq1fXU0&t=81s

Cathleen Hoeniger, The Art Requisitions by the French under Napoléon and the Detachmente of Frescoes in Rome, with an Emphasis on Raphael, in CeROArt. Conservation, exposition, restauration d’objets d’art, HS, 11 aprile 2012, DOI:10.4000/ceroart.2367 (consultato il 26 ottobre 2020).

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