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A cura di Alice Savini

 

 

La storia dell’arte è notoriamente maschile e pochi sono i nomi di donne pittrici che hanno superato l’anonimato, riemergendo da secoli di dimenticanza: tra queste, vi è la pittrice milanese Margherita Caffi. 

Nata come Margherita Volò, faceva parte di un’importante famiglia di pittori, quella dei Vincenzini, che fondarono la prima bottega specializzata in nature morte di Milano, condizionando con il loro linguaggio espressivo i collezionisti milanesi di questo genere pittorico della metà del XVII secolo fino al primo quarto del XVIII secolo, coinvolgendo tre generazioni di pittori e pittrici.

Fu il padre Vincenzo Volò a dare il via alla bottega in cui lavorarono molti dei suoi figli avuti con Veronica Masoli, sposata nel 1647.  Questi, originario della Franca Contea, regione della Borgogna, si trasferì a Milano dopo il 1635. Pittore di nature morte, fu particolarmente abile nel creare composizioni floreali tantoché gli fu attribuito l’epiteto di “Vincenzino dei fiori”. Questo epiteto divenne una sorta di marchio commerciale a dimostrazione del grande successo raggiunto dalla bottega: gli stessi figli di Vincenzo si facevano chiamare con orgoglio come “Vincenzino” e “Vincenzina”, come fece la stessa Margherita Caffi che si appropriò di tale denominazione a partire dal 1682. In pochi anni Vincenzo riuscì ad allargare le proprie frequentazioni e ad ottenere l’appoggio e l’apprezzamento di una clientela altolocata. Morto il padre nel 1672, furono i figli, Giuseppe (1662- post 1700), Francesca Vincenzina (1657- 1700) e Giovanna (1655-1680), a portare la bottega famigliare ai massimi livelli durante gli ultimi decenni del XVII secolo. (Alcune opere di Vincenzo Volò sono conservate oggi alla Pinacoteca Castello Sforzesco e nel Museo Ala Ponzone di Cremona).

 

Margherita Volò, poi Caffi, era la primogenita di Vincenzo Volò, nata nel 1648, di cui il padre curò la formazione pittorica presso la propria bottega e da cui lei ereditò l’amore per le raffigurazioni floreali: Margherita rimase infatti per tutta la vita una fiorante, seguendo una naturale inclinazione e sviluppando uno stile unico che, diversamente dai fratelli e sorelle, si discostava da quello paterno. Di lei si scrisse: ‹‹rara di lei abilità in dipingere fiori sopra qualsivoglia stoffa di seta, e sopra tele, e carte: e segnatamente sulle pergamene, le quali assai ricercate le erano, e a caro prezzo pagate›› (Lancetti).

 

Tappa fondamentale per la sua vita privata e lavorativa fu il matrimonio, avvenuto il 15 ottobre del 1667 con il pittore cremonese Ludovico Caffi, di cui assunse il cognome. Margherita lasciò Milano per trasferirsi a Cremona dove vi rimase solo per tre anni finché fu costretta a fuggire in seguito all’accusa di omicidio pendente sulla testa del marito; si spostò quindi a Piacenza (1670), poi a Bologna (1672) e infine di nuovo a Piacenza. Di questo periodo di lei si scrisse: ‹‹Si portò poi Ludovico con la sua dilettissima consorte a Bologna, ed applicatosi da dovero col pennello acquistossi assai credito nel figurare quadri sopra de quali la gloriosa pittrice v’intrecciava fiori così bene accordati che misto più nobile non si poteva desiderare›› . In questo periodo lavorò con il marito, realizzando quadri a quattro mani che ebbero grande fortuna commerciale. Questi spostamenti contribuirono alla nascita di un linguaggio pittorico autonomo, a una crescita professionale che la portò lontano dagli espedienti delle sorelle e fratelli rimasti sempre a Milano, tantoché la sua fama si diffuse oltre i confini del ducato milanese, conquistando i mercati dell’Emilia e del Veneto (grazie all’appoggio del cognato Francesco Caffi che riuscì a diffondere il nome di Margherita anche a Venezia), conquistando molti collezionisti e committenti del calibro dei Medici a Firenze, dei Borromeo a Milano, gli Este a Modena e i Gonzaga a Mantova. Ad esempio, per Francesco II d’Este, Margerita realizzò ben 29 tele destinate al casino delle Quattro Torri e alcune per Cesare Ignazio d’Este, cugino del duca.

 

Ritornò a Milano stabilmente solo dopo il 1682, con il marito e i numerosi figli. Qui incominciò ad aiutare la bottega famigliare che nel frattempo aveva accusato la perdita di Giovanna (1680), e collaborò in molti lavori e commissioni con la sorella Francesca Vincenzina, come conferma un quadro di Collezione privata (rintracciato da Ferdinando Arisi) in cui sono riconoscibili distintamente le mani delle due sorelle. 

Il 1697 fu un anno di estrema importanza per Margherita e la sorella Francesca Vincenzina: entrambe furono ammesse alla prestigiosa Accademia di San Luca di Milano, insieme ad una sconosciuta Lucrezia Ferraria. L’onore a loro concesso fu un evento straordinario che non si ripeté più per molti anni a seguire, infatti, l’Accademia era rigidamente maschile e solo nel 1696 fu concessa l’ammissione di donne pittrici, sia come accademiche che come aggregate. Le due sorelle furono scelte sia per il loro valore di frescanti e per la celebrità raggiunta ma anche grazie al benvolere di Federico Maccagni, ex cognato in quanto marito di Giovanna e consigliere della stessa Accademia.

Nel 1691 Margherita rimase vedova e andò a vivere vicino alla madre che viveva con Giuseppe e le altre sorelle. Sembra che Margherita, insieme al fratello, contribuisse al sostentamento famigliare attingendo da quanto ereditato dal marito e ricavando redditi dalla sua professione. Il nuovo secolo vide ridursi, in seguito alla morte di Francesca Vincenzina, ai soli Margherita e Giuseppe lo sparuto gruppo superstite dei Volò pittori di nature morte. Da questo momento in poi, le notizie sulla Caffi si fanno più scarse, sembra che la fama che l’aveva avvolta fino a quel momento sia scemata e la sua produzione divenne limitata. Morì il 20 settembre 1710 nella parrocchia di Santo Stefano Maggiore a Porta Orientale. 

 

È lo stile unico, mai monotono e in piena evoluzione di Margherita che ne decreta la fama raggiunta. Le espressioni floreali, delicate e vaporose sembrano uscire dall’oscurità dello sfondo, in uno stile definito dai critici “piumoso” per il vibrare continuo di luci, forme e colori. I fiori da lei dipinti sono leggiadri, vivaci e sbrigliati realizzati con pennellate lunghe e strisciate, quasi un preludio della pittura di tocco e di macchia. La particolare cura con cui realizza gli effetti di trasparenza dei petali e i riflessi cangianti e metallici dei vasi istoriati riescono a conseguire una ‹‹luminosa polverizzazione della materia››, anche grazie alla sua predilezione per l’utilizzo di toni caldi e colori rossi.

Lodata da storici e critici già nel Settecento, solo recentemente la sua opera è stata in parte rintracciata e comincia a essere rivalutata, ma un profilo artistico è ancora da farsi. I suoi quadri si trovano sia in collezioni private (a Cremona e a Reggio-Emilia), che in musei pubblici, quali il Museo Civico Ala Ponzone di Cremona (Fiori, opera firmata e datata “Marg.ta Caffi fecit 1684”), all’Accademia Carrara di Bergamo e presso la Collezione dei Principi Borromeo di Milano.

 

Le altre donne della bottega: Francesca Vincenzina e Giovanna

Alla morte di Vincenzo Volò furono soprattutto le due figlie rimaste a Milano a prendere in mano le redini della bottega. Francesca e Giovanna, indicate negli inventari del tempo come “le Vincenzine”, adottarono un linguaggio pittorico legato a quello del padre, realizzando nature morte miste con frutti e ortaggi. Le Vincenzine continuarono ad ampliare i rapporti di conoscenza e legami professionali con artisti noti del tempo quali Federico Maccagni (nel 1679 sposo di Giovanna), Giovanni Saglier (notizie dal 1671 al 1733), Luigi Pellegrini detto lo Scaramuccia o il Perugino (1616-1680), padre Andrea Pozzo (1642-1709), Giorgio Bonola (1657-1700). Il loro impegno comune fu essenziale per tutti gli anni Settanta, durante i quali lavorarono per l’aristocrazia cittadina, ma soprattutto per Vitaliano VI Borromeo: la partecipazione di Giovanna e Francesca Vincenzina all’arredo del palazzo dell’Isola Bella attesta l’importanza raggiunta dalle due pittrici. Il grande mecenate, ideatore e costruttore del giardino e del palazzo dell’Isola Bella, nel corso degli anni Settanta aveva commissionato decine di piccoli quadri a fiori alle due “Vicenzine”. Con la morte di Giovanna, a causa di un parto difficile, nel 1680 Francesca Vincenzina divenne il perno intorno al quale ruotò l’attività di bottega nel senso autentico del termine: dopo averne retto le sorti negli anni Settanta insieme alla sorella, in una comunione di lavoro pressoché totale, ella la condusse nel decennio successivo, mantenendone in parte le caratteristiche, lavorando fianco a fianco con il più giovane Giuseppe.

Come già ricordato sopra Francesca Vincenzina fu una, insieme alla sorella, tra le tre donne entrate nell’Accademia di San Luca nel 1697; sposata nel gennaio del 1689 con Nicolao Smiller, morì nel 1700 in una località sconosciuta fuori da Milano.

 

 

Bibliografia

V. Zani, in ‘Natura morta lombarda’, catalogo della mostra a cura di A. Veca, Milano 1999, 160 ‘ 165, nn. 42-45

Gianluca Bocchi, Il Soggiorno bolognese di Ludovico e Margherita Caffi, in “Strenna Piacentina 2013”, 2013

Gianluca Bocchi, Ricerche genealogiche e indagini storico-artistiche intorno a una famiglia di pittori milanesi del XVII secolo: i Vicentini, Arte Lombarda, n. 175, 2015, pp. 47-69

Gianluca Bocchi, Vincenzo Volò pittore di nature morte di origini borgognone e alcuni aspetti della sua attività milanese, Arte Lombarda, 170-171, 2014

Gianluca Bocchi, Ulisse Bocchi, Naturaliter: nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e il XVIII secolo, Galleria d’Orlane, 1998

 

Sitografia

CAFFI, Margherita in “Dizionario Biografico” (treccani.it)

https://mercanteinfiera.com/antiquariato/dipinti-antichi/dipinti-700/natura-morta-it-10/margherita-caffi-1647-ca.-1710-attr.-nature-morte-con-fiori/ 

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