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A cura di Silvia Faranna

Un percorso tra storia sacra e storia fiorentina. Le Storie della Vergine

Parete sinistra: le storie della Vergine 

Esattamente difronte le storie di Giovanni Battista, nella parete sinistra della Cappella Maggiore in Santa Maria Novella, furono affrescate le storie della Vergine. Se per il ciclo precedente la fonte principale fu il Vangelo di Luca, per queste scene Ghirlandaio trasse le sue informazioni dai cosiddetti “vangeli apocrifi”. Spopolati nel Medioevo, i vangeli apocrifi sono stati scritti tra il II e III secolo con lo scopo di colmare alcune lacune riscontrate nei vangeli canonici, o per trasmettere una rivelazione segreta (come suggerisce lo stesso nome, “apocrifo” vuol dire chiuso, segreto). Le fonti a cui si affidò il Ghirlandaio possono essere riconosciute nei Protovangelo di Giacomo e Vangelo dello Pseudo-Matteo. Essendo il ciclo dedicato alle storie di Maria, molte delle informazioni riguardanti la sua famiglia – i genitori (di cui vengono svelati i nomi), la sua presentazione al tempio o la sua assunzione, ad esempio – sono state riportate all’interno di questi testi. 

Differentemente dai sette affreschi dedicati al Battista, per queste scene Giovanni Tornabuoni non volle contaminare eccessivamente il racconto sacro con personaggi della propria famiglia, ma dispose una rispettosa narrazione della vita di Maria, concedendo una maggiore attenzione alla sua giovinezza e alla famiglia.  

Le storie della Vergine incominciano con un evento di cui fu protagonista il padre: la Cacciata di Gioacchino dal tempio. La scena fu impostata dal Ghirlandaio in un’ambientazione che rimanda, nella fisionomia del tempio, alla triplice ripartizione di Santa Maria Novella, dove si svolge la scena centrale; sullo sfondo, invece, si trova il portico, dal colore rosaceo, dell’Ospedale di San Paolo a Firenze (fig. 1).

 

Ghirlandaio rappresentò l’evento con forte dinamicità ed energia; per farlo dispose per gruppi e su più livelli i personaggi della scena. Se in secondo piano è rappresentato al centro il sacerdote che riceve i sacrifici, in primo piano Gioacchino, che tiene in braccio un capretto, viene cacciato dal tempio, mentre ai lati due gruppi di personaggi assistono all’evento. Il loro ruolo non è secondario, in primis perché con i loro sguardi rivolti allo spettatore ne attirano l’attenzione; secondariamente, perché ognuno di loro può essere ben identificato. Le quattro figure a sinistra corrispondono a Lorenzo Tornabuoni, Cosimo di Leonardo Bartolini Salimbeni e Alessandro di Francesco di Lutozzo; a destra, secondo il Vasari, David Ghirlandaio, Alessio Baldovinetti, Domenico Ghirlandaio e Sebastiano Mainardi (fig. 2).

 

Ritratti estremamente dettagliati e realistici, come lo stesso Vasari ricordava: ‹‹sempre al disegno attendendo, venne sì pronto e presto e facile che…ritraendo ogni persona che da bottega passava, il faceva subito somigliare: come ne fanno fede ancora nell’opere sue infiniti ritratti, che sono di similitudini vivissime››[1].

La nascita di Maria è forse una delle scene più celebri dell’intero ciclo di affreschi. Sebbene l’evento principale rappresentato sia la nascita della madre di Cristo, in realtà Ghirlandaio unì due episodi diversi: alla sinistra, sulla rampa di scale del vestibolo si riconoscono Gioacchino ed Anna che si abbracciano (Incontro di Gioacchino e Anna) che, secondo il Protovangelo di Giacomo si rincontrarono all’uscio della loro abitazione; per separare questo evento da quello seguente, il Ghirlandaio distribuì in due ambienti lo spazio grazie a dei pilastri riccamente decorati (fig. 3).

 

Dall’altra parte, infatti, Anna è nuovamente raffigurata sul letto, dopo aver dato alla luce Maria, che nel frattempo viene affidata alle cure delle balie, tra le quali spicca l’ancella che versa l’acqua da una brocca, figura ipnotica grazie al movimento della morbida veste spinta dal vento, che colpì anche il Vasari (fig. 4).

 

A dimostrazione dei molti studi e disegni dedicati all’antico, il Ghirlandaio rappresentò il cornicione superiore con una sfilza di putti danzanti e musicanti, tra i quali ben riconoscibile è il modello del piccolo Ercole che uccide i due serpenti. Protagonista della scena è certamente la luce che, proveniente da una finestra sulla parete laterale, inonda gli ambienti creando un gioco di chiarori e di ombre a cui partecipano i putti sul fregio e i personaggi che vivono la scena. Naturalmente, in uno degli eventi più importanti della cristianità non possono mancare, su richiesta di Giovanni Tornabuoni, i componenti della propria famiglia. Di superba bellezza è la figura di Ludovica Tornabuoni, unica figlia del committente venuta a mancare a soli 15 anni per complicanze dovute al parto, commemorata eternamente nell’affresco per desiderio del padre: indossa un abito broccato aranciato, con i capelli fulvi che ricadono lungo la schiena; le mani congiunte si poggiano sul grembo, mentre guarda la nuova creatura, accompagnata da un corteo di dame (fig. 5, 6).

 

 

La Presentazione di Maria al tempio si svolge all’interno di un’imponente architettura dalle fattezze anticheggianti ed una perfetta costruzione prospettica che si conclude con una piazza fiorentina sullo sfondo (fig. 7).

 

Il punto di fuga del reticolato prospettico corrisponde alla figura della giovane Maria che sta salendo le scale, senza remore, salutando affettuosamente i genitori e portandosi avanti verso i sacerdoti, pronti a riceverla insieme alle vergini che dal tempio accorrono felici ad accoglierla. L’idea di gioia e sicurezza trasmessa da Maria viene contrapposta all’insolito atteggiamento meditativo dell’uomo seminudo, poveramente vestito, accovacciato sui gradini sulla destra (fig. 8).

 

Per lo Sposalizio della Vergine Ghirlandaio costruì la scena all’interno di un grandioso tempio, dove un ruolo imponente possiedono gli ornamenti sui pilastri ed i mosaici, che lo rendono ancora più sontuoso (fig. 9).

 

Al centro i due sposi sono raffigurati nel momento preciso della loro unione, posti al di sotto dell’arco centrale per darne maggiore evidenza. Contrari agli sposi sono i pretendenti rifiutati da Maria, che ridono di Giuseppe alle sue spalle e che con atteggiamento malevolo manifestano il disappunto per il matrimonio: addirittura c’è chi spezza con il piede un ramoscello (fig. 10).

 

Quello successivo è purtroppo l’affresco più rovinato del ciclo. L’Adorazione dei Magi è un tema che, come per altri artisti quattrocenteschi quali Benozzo Gozzoli (nella Cappella dei Magi, 1459) e Gentile da Fabriano (nella Pala Strozzi, 1423), fungeva da espediente per esercitarsi nella rappresentazione di volti, costumi, ornamenti orientali ed animali esotici (fig. 11).

 

La ricchezza e l’eleganza pullula, nonostante le condizioni dell’affresco malridotte, dai tre re rappresentanti di una terra lontana e quasi fantastica ‹‹con gran numero di uomini, cavalli e dromedarii et altre cose varie››[2].

La penultima scena del ciclo dedicato alla Vergine fu definita dal Vasari come il miglior affresco realizzato dal Ghirlandaio per Santa Maria Novella ‹‹condotta con giudizio, con ingegno et arte grande››[3]. Risulta interessante vedere come il pittore abbia reso attraverso la composizione di colori e posizioni un’idea di movimento: ‹‹dove si vede una baruffa bellissima di femmine e di soldati e cavalli, che le percuotono et urtano››[4] (fig. 12).

 

L’episodio tragico della Strage degli innocenti non può che colpire il visitatore. Per la scena raffigurata in seguito alla scelta di Erode di uccidere tutti i bambini di Betlemme da due anni in giù, secondo il Vasari, Ghirlandaio riuscì a esprimere tre differenti sentimenti: ‹‹uno è la morte del putto, che si vede crepare; l’altro, l’impietà del soldato che, per sentirsi tirare sì stranamente, mostra l’affetto di vendicarsi in esso putto; il terzo è che la madre, nel veder la morte del figliuolo, con furia e dolore e sdegno cerca che quel traditore non parta senza pena››[5].

Le parole scritte dal Vasari si dispiegano scenograficamente sul primo piano dell’affresco: a sinistra una madre cerca di scappare dal soldato mentre tiene il braccio il proprio pargolo, ormai colpito a morte dall’arma fatale; a destra, una madre dalla veste porpora tira i capelli a un soldato, pronto già con il bambino in braccio per togliergli la vita. La drammaticità della scena è sottolineata dalla furia dei personaggi, nei volti dei soldati accecati dal comando di Erode, e dalle vesti che enfatizzano il senso di movimento e di fuga a cui tutte le madri volevano abbandonarsi pur di salvare i propri figli. Inoltre, l’affresco lascia nuovamente intendere quanto il Ghirlandaio avesse studiato i modelli delle architetture antiche raccolte durante il suo soggiorno romano: fa da sfondo un imponente arco di trionfo, simile al noto arco di Costantino. 

L’ultima scena che conclude le storie della Vergine si dispiega lungo tutta la lunetta superiore, all’interno della quale Ghirlandaio ha in realtà raffigurato due momenti distinti, ma correlati tra loro: la Dormizione di Maria e la sua Assunzione.

 

Per distinguere le due fasi, il pittore, che probabilmente non ha eseguito personalmente la scena, ma per cui ha fornito il cartone, ha diviso l’affresco in due parti. Nella parte inferiore si svolge la dormitio Virginis, in cui la Vergine giace “addormentata” sulla bara, circondata dagli apostoli e plurimi personaggi, forse i Giudei che avrebbero tentato di rovinare il corpo di Maria. La scena, come si legge nelle scritture, si volge all’aperto, nella Valle di Giosafat, ma sembra che il Ghirlandaio abbia interpretato più liberamente l’aspetto paesaggistico. Alzando gli occhi, infine, si riconosce l’assumptio corporis della Vergine che si erge su una nuvola leggera, accompagnata da un corteo di angeli che la trasportano in alto per ricongiungersi col figlio, pronto ad accoglierla a braccia aperte.

 

 

 

Note

[1] G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze 1568, Grandi Tascabili Economici Newton7, collana “I mammut”, 47, Newton Compton Editori, 1997, p. 945.

[2] G. VASARI, Le Vite…cit., p. 954.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p. 955.

 

 

 

Bibliografia

C. DANTI, G. RUFFA, Note sugli affreschi di Domenico Ghirlandaio nella chiesa di Santa Maria Novella in Firenze, in “OPD restauro”, 2, 1990, pp. 29-28, 87-89. 

R. G. KECKS, Ghirlandaio: catalogo completo, Firenze 1995. 

Domenico Ghirlandaio (1449-1494), atti del convegno internazionale a cura di W. Prinz, M. Seidel, (Firenze, 16-18 ottobre 1994), Firenze 1996. 

G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze 1568, Grandi Tascabili Economici Newton7, collana “I mammut”, 47, Newton Compton Editori, 1997. 

A. SALUCCI, Il Ghirlandaio a Santa Maria Novella. La Cappella Tornabuoni: un percorso tra storia e teologia, Firenze 2012. 

 

Sitografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/ghirlandaio_%28Enciclopedia-Italiana%29/

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