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A cura di Marco Bussoli

 

Nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Guglionesi, in provincia di Campobasso, è possibile visitare un ambiente in cui numerosi secoli di storia si sono sedimentati. La storia della Cripta di Sant’Adamo inizia infatti in tempi molto remoti, ma continua a lungo ad essere viva. Secondo alcuni storici la fondazione di questo luogo può addirittura farsi risalire al VII secolo[1], ma gli interventi più significativi vennero compiuti qualche secolo più tardi, durante la dominazione normanna, quando venne costruita la soprastante chiesa di Santa Maria Maggiore. 

 

La Cripta di Sant’Adamo 

La morfologia stessa di questo ambiente lascia intendere come esso sia stato più volte modificato, anche in funzione della chiesa superiore. Ciò che può, infatti, disorientare è l’orientamento rispetto ad essa. Dalla navata destra della chiesa si può accedere alla cripta, il cui lato lungo è parallelo alla navata, imponendo però al visitatore di girarsi verso destra una volta raggiunta la campata centrale. Alla particolarità di un orientamento così complesso si aggiunge quella delle ultime due campate, molto più alte delle precedenti, che definiscono così uno spazio più arioso all’interno della stessa cripta. L’ambiente è ordinato da campate quadrate chiuse da volte a vela sorrette, a loro volta, da colonne in pietra. 

La veste medievale di questo luogo, oltre che essere caratterizzata dalla sua spazialità, è definita dagli apparati scultorei delle colonne che reggono le volte. È da subito evidente, da un’analisi stilistica, come queste non siano appartenenti alla stessa fase di costruzione, e di come sia estremamente plausibile l’ipotesi del reimpiego: se si guarda solo all’elemento colonna è facile notare come quella a destra dell’altare e quella ad essa diametralmente opposta siano diverse dalle altre; queste infatti non hanno una base ed un doppio collarino, ma presentano una decorazione geometrizzante a triangoli nella parte bassa e a semicerchi; un simile esempio, seppur isolato in Molise, è molto comune in altre zone d’Italia nello stesso periodo.

 

L’altra particolarità della colonna a destra dell’altare è il suo capitello, che pur presentando rilievi con motivi vegetali, come gli altri, è più elaborato: alla presenza di foglie nervate sugli spigoli si aggiungono dei caulicoli che dal centro formano delle volute verso l’alto. Un altro pseudo-capitello si differenzia dagli altri ed è quello dell’ultima colonna della prima fila, che oltre agli elementi vegetali presenta al centro di ogni faccia una protome umana, simile a quelle presenti a Santa Maria di Canneto. Il riferimento a quest’ultima chiesa sembra essere particolarmente calzante date le assonanze stilistiche degli elementi decorati, pur essendo quelli di Canneto di qualità inferiore. Questo può far supporre che siano state le stesse maestranze ad eseguire queste opere, proprio quando, dopo il 1125 il monastero acquisì alcune proprietà a Guglionesi. L’ipotesi di datazione alla prima metà del XII secolo trova generalmente d’accordo gli altri studiosi che si sono avvicendati nello studio della Cripta[2], soprattutto dopo i confronti con le sculture di altri edifici come la Cattedrale di Termoli ed altri edifici della Capitanata (Puglia). In generale è ravvisabile nei capitelli una certa ricerca formale nei motivi e nella resa scultorea, cercando di rendere le foglie scolpite sempre diverse, mantenendo un’alta qualità.

 

Gli affreschi delle volte 

Durante il XVI sec., quando le spoglie di Sant’Adamo vennero traslate a Guglionesi, si decise probabilmente di dipingere le volte con dei motivi monocromi, emersi durante i restauri degli anni ’80, che vennero poi coperti da un ciclo di affreschi più articolato. Fu proprio durante i restauri di fine ‘900 che si prese realmente coscienza del ciclo di affreschi e di quanto questo fosse gravemente danneggiato e lacunoso a causa delle mancate attenzioni. Sono ancora leggibili solo due delle voltine a vela e l’affresco che copre lo spazio più ampio, rendendone comunque comprensibile l’iconografia. 

 

Il ciclo d’affreschi procede con molta probabilità in ordine cronologico presentando episodi della Genesi, nella prima parte all’interno di grottesche in un finto cassettonato decorato a nastri e con motivi vegetali. La figura di Dio padre nel più grande riquadro della volta alta apre il ciclo, riprendendo chiaramente la Separazione della terra dalle acque della Cappella Sistina, ponendo al centro il gruppo di dio con due putti nell’atto di volare, su uno sfondo grigio. Attorno a questa prima scena sono collocati quattro episodi della Genesi che hanno per soggetto i primi uomini sulla terra: viene raccontata in tre riquadri ovali la storia di Adamo ed Eva, partendo dalla Creazione di Eva, e nell’ultimo ovale viene presentato l’Olocausto di Caino e Abele. In tutti questi episodi i riferimenti al ‘500 romano sono molto marcati a partire dalle figure michelangiolesche, tutte riferite al ciclo della Cappella Sistina; altri riferimenti sono però ben evidenti, come riporta Nadia Raimo, come quelli ai lavori di Perin del Vaga nella Cappella del Crocifisso in San Marcello al Corso. 

 

La decorazione delle volte a vela è ordinata dalla divisione in due porzioni dello spazio, tramite cornici simili a quelle del vicino cassettonato ma più esili. Le prime due scene visibili sono entrambe riferite al diluvio universale e sono L’arca di Noè e la raccolta degli animali ed il Diluvio universale, nella seconda volta affrescata, invece, sono presenti gli episodi dell’Ebbrezza di Noè e la Torre di Babele. Anche in questo caso il richiamo ai temi ed ai modi della pittura romana è lampante e rende molto semplici i confronti con i possibili riferimenti. Da un lacerto rimasto in una delle volte è possibile vedere alla base della vela la pittura di una grande foglia d’acanto che sembra richiamare quelle del Catello di Gambatesa.

 

L’autore degli affreschi

Sull’autore di questi affreschi si è molto speculato proprio perché la vicinanza con Gambatesa e le assonanze stilistiche con gli affreschi del Castello rendono quasi immediati i collegamenti. In realtà la data, il 1587, affrescata su un peduccio della Cripta sposta di quasi quarant’anni in avanti l’esecuzione rispetto a quelli di Donato Decumbertino, del 1550. Vengono quindi avanzate ipotesi simili anche per la cripta, come quella su Gianserio Strafella, pittore salentino, sebbene le uniche certezze siano sulla formazione del pittore di Guglionesi. L’artista che qui ha operato si è con tutta probabilità formato prima in patria e poi a Roma, come avevano fatto anche Decumbertino e Strafella, riuscendo così ad avere un simile patrimonio iconografico alle spalle. Si può quindi ipotizzare che l’artista si sia formato nell’ambiente di Perin del Vaga e dei suoi colleghi e si sia poi spostato in luoghi periferici portando con sè questo bagaglio ed aggiornandolo con i modelli più vicini.

 

 

 

Note

[1] R. Leone, I. Benoffi, Ipotesi per una lettura storica del territorio di Guglionesi, in “Archivio Storico Molisano”, II, Campobasso, come riportato da B. Incollingo, La scultura romanica nel Molise, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1991, p. 33.

[2] Ada Trombetta, che ci torna in più occasioni, e Corrado Carano.

 

 

 

Tutte le foto sono state scattate dal redattore.

 

 

 

 

Bibliografia

Berardino Incollingo, La scultura romanica nel Molise, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1991;

Nadia Raimo, Gli affreschi della cripta di Sant’Adamo nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Guglionesi, in E. Carrara (a cura di), Gli affreschi di Donato Decumbertino nel Castello di Gambatesa, 1550, Roma, Carocci, 2020

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