A cura di Letizia Cerrati
Tra il Cinquecento e il Settecento i castelli imponenti, gli eleganti palazzi baronali, le sontuose dimore cittadine e le ville extraurbane rappresentavano lo status symbol degli aristocratici.
Le architetture fastose costituivano infatti l’occasione per i nobili proprietari, marchesi, conti o baroni, di trasmettere al mondo esterno il rilievo del ruolo di primo piano da essi ricoperto nella società.
Nel Regno di Napoli, perciò anche nel Salento, durante il periodo barocco molte fortezze persero la loro finalità difensiva trasformandosi in confortevoli dimore attraverso mirati interventi di ristrutturazione che si concentravano perlopiù sulle facciate, sui balconi e sulle finestre, sull’involucro della costruzione per farla breve.
Gli ambienti esterni erano, naturalmente, i primi a catturare l’attenzione degli osservatori, diventando motivo di orgoglio e occasione di ostentazione di potere e ricchezza per i padroni.
Il Castello di Corigliano d’Otranto nella sua forma attuale costituisce un perfetto esempio della conversione da fortilizio a dimora nobiliare.
Nonostante l’incrostazione spiccatamente barocca, il Castello, a pianta quadrata e munito di fossati e torrioni circolari, conserva l’anima di una fortezza militare, memore della strenua vittoriosa resistenza contro l’assedio dei Turchi nel 1480.
Fu la famiglia di Francesco I de’ Monti, che spiccò durante la resistenza all’assalto turco, a ristrutturare ed ampliare la struttura a partire dal 1505, lavori che furono poi portati a termine dal marchese Giovan Battista nel 1534.
I torrioni, corredati di iscrizioni e sculture, sono da ascrivere a questa ristrutturazione: su ognuno di essi campeggia un bassorilievo di un santo e lo stemma dei de’ Monti con le Virtù Cardinali, rispettivamente sui torrioni posti a nord-ovest e a sud-est spiccano due santi eremiti, Sant’Antonio abate con la Temperanza e S. Giovanni Battista con la Giustizia, mentre due santi guerrieri sono sui torrioni a sud-ovest e a nord-est: San Giorgio con la Prudenza e San Michele Arcangelo con la Fortezza.
Nel Seicento poi, affreschi con le Virtù Cardinali riempiranno la volta dell’ambiente interno principale del Castello situato al piano nobile.
Lo spirito barocco che permea l’edificio si deve invece alla famiglia dei Trane ed alla straordinaria perizia tecnica dell’architetto Francesco Manuli, nativo di Corigliano, da molti ritenuto il responsabile della riprogettazione.
Luigi Trane acquistò il Caastello dall’ultimo discendente dei de’ Monti, che venne poi ereditato dal figlio Francesco nel 1658, che divenne duca nel 1664, la cui statua domina la facciata, in posizione centrale, racchiusa in una nicchia strombata, internamente decorata con piccole stelle e inquadrata da una trabeazione a greca; il committente è abbigliato come un cavaliere gerosolimitano, con posa sicura e sguardo altero è reso immortale nella pietra.
Il prospetto è datato 1662 come testimonia il cartiglio posto sotto la nicchia centrale, che fa riferimento a Francesco Trane “dominus status Coriolani” e rimanda al significato espresso dalle due statue nelle nicchie laterali adiacenti a quella del committente, sono Giustizia e Carità, attributi distintivi del duca, che lo scortano e sembrano fargli da guida, ispirando le sue gesta e impregnando il suo spirito.
“PONDERAT HEC CULPAS HEC HEXIBET EBERA NATIS / HIC ASTREA MICANS HINC PELICANUS AMANS” [Questa giudica i misfatti, l’altra porge le mammelle ai figlioletti; da un lato la splendente Astrea, dall’altro l’amorevole Pellicano].
Il corpo centrale della facciata, su di un piano avanzato rispetto alle ali laterali, è corredato di una balaustra fitta di decorazioni, in cui sono stipati piccoli putti, intricati fiori e piante pietrificati, animaletti e misteriose maschere espressive. In questa folla di personaggi campeggia l’arme della famiglia, rappresentato da un drago munito d’ali, che punta una stella a sei raggi e stringe tra gli artigli un toro afferrato dalle corna. Sotto di esso una singolare testa urlante con lunghi capelli riccioluti, emette un silenzioso ed agghiacciante grido; con fronte corrugata e atteggiata in una smorfia quasi inorridita sembra quasi chiedere aiuto ai passanti. La balaustra è sorretta da una serie di mensole figurate, anch’esse raffiguranti bizzarri soggetti mitici, tra cui colpisce un’inquietante figura femminile bicefala.
Un corteo di personaggi illustri e figure allegoriche accompagna il committente, popolando i due lati della facciata. Su ogni lato è un’alternanza di cinque nicchie e quattro finestre, queste ultime sovrastate da busti circondati da ghirlande di alloro. A destra protagonisti sono grandi conquistatori della storia: Tamerlano, tiranno spietato e sprezzante, Giorgio Castriota Scanderbergh, valoroso paladino dell’indipendenza albanese contro le invasioni ottomane, il celebre Cristoforo Colombo e Cangrande della Scala, grande condottiero ed esponente della dinastia scaligera e, per ultimo, un Suonatore di cetra.
Un memorialista del Settecento sosteneva che le epigrafi in latino al di sopra delle finestre si riferissero alle statue allegoriche, escludendo quindi il riferimento, da altri studiosi sostenuto, ai busti.
Le suddette iscrizioni molto probabilmente furono ideate dall’intellettuale autoctono Andrea Peschiulli, che alcuni studiosi ritengono essere anche l’artefice dell’intero programma iconografico del prospetto del Castello.
“SAEVUS HIC INSONTES TORTOR PROCUL ESTE SCELESTIS” [Qui è lo spietato torturatore degli innocenti, state lontani o scellerati] è attinente alla statua del Castigo, benché appaia lampante il riferimento a Tamerlano ed alle sue imprese; “NOSCITE VOS IPSOS VIVITE MISSE PARI” [Conoscete voi stessi, vivete di conseguenza] è collegata alla Misura del Tempo e dello Spazio.
“SIC IACIT UT QUOCUMQUE VELIT LEVIS ADVOLET ASTA” [La scagli in modo che ovunque voglia la lancia s’involi veloce] fa riferimento all’Ingegno; “SUSTULIT ALCIDES MUNDUM, NUNC AETHERA SCANDIT” [Ercole sostenne il Mondo, ora ascende ai cieli] rimanda invece alla figura della Tolleranza.
A sinistra campeggiano grandi condottieri, per la maggior parte vissuti tra il XV e il XVI secolo: Consalvo de Cordoba, prima un hidalgo e successivamente Gran Capitano, Jacopo Capece Galeota, il marchese di Pescara Ferdinando d’Avalos e Antonio de Leva, nobile capitano spagnolo.
Le fonti che ispirarono la scelta dei personaggi potrebbero essere per i busti gli Elogia virorum bellica virtute illustrium di Paolo Giovio, da cui sarebbe però assente la biografia di Jacopo Capece Galeota, mentre per quanto riguarda le statue allegoriche esse potrebbero derivare dalla popolare Iconologia di Cesare Ripa.
Le epigrafi sul lato sinistro iniziano con il riferimento all’ Ardire magnanimo e generoso: “FORTIA NON METUENS UT VILIA CONTERIT AUDAX” [La persona artita, non avendo paura, affronta le azioni eroiche al pari di quelle di poco valore], segue la Fortuna con “CUI DUX VIRTUS ERIT FUERIT COMES ISTA PERENNIS” [A chi sarà guidato dalla virtù costei gli sarà sempre compagna], alla Fierezza corrisponde l’iscrizione: “FIRMIUS EST ROBUR SI IUNCTA EST VIVIDA VIRTUS” [Più salda è la forza se è accompagnata dalla vivida virtù], infine, la Verità tuona: “TEMPORE FACTA PROMO DISCITE TERRIGENE” [Imparate uomini dalla terra, a tempo debito faccio mostra di imprese gloriose].
I motti e le iscrizioni che si susseguono sulle mura del Castello di Corigliano sono moniti, insegnamenti di sorprendente attualità, che possono nutrire gli animi degli astanti odierni e offrire loro saggi consigli a distanza di secoli dalla loro incisione sulla pietra.
Dopo vari cambi di destinazione d’uso, frantoio ipogeo, mulino a vapore e tabacchificio, attualmente il Castello è di proprietà del Comune ed è adibito a spazio e laboratorio creativo e culturale.
La pietra leccese anche in questa stupefacente architettura dimostra di essere il materiale più adatto a rendere vivo e parlante un edificio, a popolarlo di personaggi che sembrano respirare e muoversi grazie a dettagli oltremodo realistici, ad accogliere le diverse tonalità e temperature della luce, che su di essa cade sempre morbida e aggraziata, avvolgendola con un’atmosfera incantata.
Le foto all’interno dell’articolo sono state scattate dalla redattrice dell’articolo.
Bibliografia
Cazzato, Il barocco leccese, in Itinerari d’arte, a cura di M. Rossi e A. Rovetta, Bari-Roma, Laterza, 2003
Cazzato (a cura di), La “Galleria” di palazzo in Età Barocca dall’Europa al Regno di Napoli, Atti del Convegno internazionale di studi, Cavallino di Lecce nel 2015, Galatina, Mario Congedo Editore, 2018
Sitografia
Quanto ti è piaciuto l'articolo?
Fai clic su una stella per votarla!
Media dei voti: 5 / 5. Totale: 5
Nessun voto finora! Sii il primo a votare questo post.