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A cura di Alessandra Apicella

 

 

 

 

Capri, regina delle rocce […]

La veste di zaffiro
custodiva ai suoi piedi,
e nuda sorgeva in vapori
di cattedrale marina.
Una bellezza di pietra. In ogni
scheggia della sua pelle rinverdiva
la primavera pura
che celava un tesoro tra le crepe. [1]

 

 

Attraverso queste parole il poeta cileno Pablo Neruda decise di omaggiare l’isola di Capri nel golfo di Napoli, quando, costretto all’esilio per il suo attivismo politico, giunse in Italia. Con la sua natura rocciosa ed imponente in un’acqua cristallina, l’isola di Capri ha sempre affascinato il mondo e attratto personalità che nella sua quiete e nelle sue bellezze ricercavano qualcosa di perduto. Sarà per la magnificenza dei Faraglioni, per la bellezza della grotta azzurra, per la natura inesplorata del Monte Solaro ad Anacapri in contrasto con la vita frenetica di Capri e della sua indimenticabile piazzetta ma quest’isola ha sempre lasciato un’impronta indelebile in chiunque vi abbia sostato. Molti, infatti, sono stati gli artisti, i poeti e le personalità politiche importanti che hanno scelto nel corso del tempo quest’isola come rifugio intimo e sede per i propri pensieri. Si tratta di una storia antichissima, che comincia con l’imperatore Tiberio e la creazione della villa Jovis, il magnate tedesco Friederich Alfred Krupp, che vi costruì una strada, lo scrittore Axel Martin Fredrick Munthe, che vi costruì una villa, Villa San Michele ad Anacapri (attualmente casa museo), il suo intimo amico Curzio Malaparte, che, innamoratosi dell’isola, vi costruì una casa a picco sul mare, lo stesso Pablo Neruda, e  personalità internazionali come Maksim Gor’kij, scrittore e drammaturgo russo, che nel suo soggiorno a Capri ospitò lo stesso Lenin in due visite, rispettivamente nel 1908 e nel 1910. Tra tutte le figure che ritrovarono in quest’isola e nella sua storia un posto dove rifugiarsi, emerge la figura del barone Fersen insieme al gioiello architettonico che lui stesso volle erigere, Villa Lysis.

 

Dopo una lunga passeggiata in salita tra le stradine di Capri, sorge poco distante dalle rovine di Villa Jovis, quasi forse a voler rivaleggiare con la maestosità romana, Villa Lysis, una costruzione dallo stile eclettico, risalente agli inizi del Novecento, circondata da un immenso giardino. La storia di questa villa è intimamente intrecciata al suo fondatore, il barone Jacques d’Adelswärd-Fersen, che decise di giungere nell’isola azzurra nel 1903.

 

Nato a Parigi nel 1880, di nobili origini, discendeva da parte di padre da Hans Axel von Fersen, conte svedese, che era stato amante della regina Maria Antonietta. A soli ventidue anni Jacques divenne l’erede dell’industria dell’acciaio di Longwy-Briey. Nonostante gli ottimi natali, era conosciuto di più per il suo temperamento controverso ed i suoi gusti particolari: molto popolari erano infatti i suoi festini di dubbia natura con giovani ragazzini. Nel 1903 venne accusato di aver inscenato una “messa nera” dove ad essere messi in scena erano tableaux vivants allegorici, con dei giovani che impersonavano i vizi. Condannato solo a sei mesi di reclusione e alla sospensione dei diritti civili, protetto da altre personalità eminenti della società parigina di allora che frequentavano questi eventi, decise ugualmente di abbandonare la capitale francese per un luogo più ameno ed isolato. La sua scelta ricadde sull’isola di Capri, dove fu accolto con grandi onori e dove diede inizio, intorno al 1904, alla costruzione di quello che sarebbe stato il suo rifugio, dove poter vivere la sua storia d’amore omosessuale con il giovane romano Nino Cesarini. Ben presto nell’isola si diffuse la notizia del vero rapporto che univa i giovani, fatto passare inizialmente come un rapporto di carattere lavorativo. Lo stesso Nino venne, infatti, presentato in qualità di segretario di Fersen; questo comportò un progressivo isolamento del barone dalla bella società caprese. Dopo alcuni insuccessi letterari e sempre più dipendente dall’oppio, decise di festeggiare i vent’anni di Nino con una festa pagana nella grotta di Matermania, dove si diceva che l’amante fosse stato addirittura divinizzato. Interrotta la celebrazione per l’arrivo della polizia, Jacques fu costretto a lasciare l’isola. Ritornato soltanto nel 1913, raffreddatosi l’amore per Nino e giunto ormai ad uno stadio di totale dipendenza dall’oppio, la sera del 5 novembre del 1923, Fersen si ritirò, come di consueto, nella camera cinese, dove morì per un’overdose di cocaina, forse volontaria. Nino, designato come unico erede, fu accusato dalla sorella di Jacques, Germaine, della morte del barone, per cui l’ex amante, per evitare ulteriori complicazioni, decise di cedere la villa e tornò nella capitale.

 

La villa sorge arroccata su uno sperone a picco sul mare che affaccia sulla baia di Marina Grande. La prima cosa che colpisce lo sguardo è l’enorme scalinata che culmina in un pronao classico con quattro colonne ioniche istoriate con tessere musive dorate, ad imitazione di un tempio classico. Al di sopra delle colonne si scorge una scritta “Amori et Dolori Sacrum” (luogo sacro all’amore e al dolore), citazione di Maurice Barres e summa perfetta dell’anima di Fersen, che dell’amore e del dolore conobbe le più intime declinazioni. Inizialmente chiamata “La Gloriette”, fu poi rinominata “Villa Lysis” in onore di Liside, discepolo di Socrate, menzionato nei dialoghi di Platone, dove viene messo in luce il concetto platonico dell’amicizia e, forse, dell’amore omosessuale.

 

La villa racchiude al suo interno stili fra di loro differenti di epoche altrettanto diverse, questo in linea, d’altronde, con l’animo eclettico del suo proprietario. La grande bellezza di questa villa sta proprio nella fusione di stili così diversi che coesistono magnificamente in un’armonica decorazione. In particolare, è allo stile magniloquente e teatrale di Luigi XVI di Francia a cui si fa riferimento. Partendo dall’imponenza neoclassica dell’ingresso, si lascia spazio, all’interno, al dinamismo e alla sinuosità dell’Art Nouveau, con gli inserti dorati tipici della Secessione viennese e con contaminazioni orientali.

La costruzione si deve all’architetto francese Edouard Chimat che progettò un edificio a tre piani, il seminterrato, il piano terra ed il primo piano. Al piano terra, al grande atrio si affianca una sinuosa scalinata in ferro battuto, tipica dell’Art Nouveau più eccelsa. La villa aveva anche una biblioteca, una veranda lastricata con piastrelle azzurre e bianche ed un salone, con tre finestre che danno su una terrazza. Ciò che colpisce è proprio una simile proliferazione di finestre in entrambi i piani, quasi fossero occhi sul paesaggio mozzafiato del golfo napoletano, con il Vesuvio e Punta Campanella. Al piano superiore, invece, vi erano le stanze da letto, una camera per gli ospiti, chiamata la Camera Rosa, e la sala da pranzo. Alla stanza che doveva essere appartenuta a Nino, si affianca una terrazza interamente piastrellata con motivi geometrici e floreali. Infine, nel seminterrato, oltre alle stanze del personale, vi era la stanza più intima e importante per Fersen, la fumeria d’oppio, chiamata anche camera cinese. Quest’ultima, di grandi dimensioni e con un soffitto basso, è decorata con delle rocce in un angolo e colonne con liane, reggenti un architrave con figure simboliche. Sulle pareti si possono scorgere iscrizioni cinesi e lettere d’oro, che diventano punti di luce. Ma l’elemento più interessante di questo quadro decorativo è la svastica centrale che decora la pavimentazione, simbolo di rinascita e nuova vita, quella che Fersen aveva provato a fare propria nell’isola azzurra.

La costruzione della villa termina nei primi anni del Novecento, un tempo in cui in Italia si andava diffondendo lo stile Liberty, ravvisabile nelle molteplici decorazioni floreali e forme geometriche che adornano le pareti e le pavimentazioni delle stanze e delle terrazze a picco sul mare.

 

La villa è immersa in un grande giardino, che presentava all’epoca statue e putti; tra le statue attualmente conservate, sicuramente da ricordare è quella del Pescatoriello di Annibale de Lotto, scultore veneto della fine dell’Ottocento. Dopo aver superato la statua e proseguendo verso il giardino si scorge il “Belvedere del raggio Verde”, che fa riferimento alla leggenda per cui, attraverso un fenomeno ottico, il sole, nei tramonti estivi, attimi prima di tramontare, creerebbe una scia luminosa verde. Proseguendo nel cammino si scorge un tempietto circolare neoclassico di ordine ionico. La piantagione, ricca e florida, richiamava apertamente alcune divinità pagane: si possono trovare piante di rose e mirto per Venere, alloro per Apollo, pioppi bianchi per Ercole, melograni per Era, edera per Dioniso ed infine cipressi per Ade.

 

Divenuta ritrovo per artisti e poeti nel periodo successivo, molte furono le personalità culturalmente rilevanti che vi soggiornarono, come Norman Douglas, Ada Negri e la marchesa Luisa Casati Stampa. Tutti ne hanno esaltato le bellezze e la storia, contribuendo a creare e a far rivivere di volta in volta, in una storia senza tempo e senza fine, il mito del barone Fersen e del luogo fuori dal mondo a cui aveva dato vita.

In seguito ai primi cenni di cedimenti e crolli, fu restaurata agli inizi degli anni Ottanta con i fondi dell’Associazione Lysis e, successivamente, negli anni Novanta per mano dell’architetto toscano Marcello Quiriconi. Dal Duemilaundici è proprietà del Comune di Capri che ha permesso un suo riutilizzo grazie a due importanti associazioni dell’isola, Capri è anche mia, che si è essenzialmente occupata della riqualificazione dell’enorme giardino, e Apeiron, che si occupa dell’accoglienza e della promozione della casa museo. Attualmente la villa viene utilizzata come teatro per eventi culturali, artistici e musicali; in particolare, in occasione di eventi speciali è possibile visitare il luogo anche di notte, ed entrare a far parte di un’atmosfera misteriosa e romantica.

 

 

 

 

 

Note

[1] Pablo Neruda, La chioma di Capri in L’uva e il vento, 1954

 

 

 

 

 

BIBIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

Maria Franchini e Valerio Ceva Grimaldi, Campania insolita e segreta, edizioni Jonglez, 2018

 

Sitografia

http://www.capritourism.com/it/article?article1_id=3519

Il Barone Fersen e i misteri di Villa Lysis

La mia Capri – Angoli d’amore nell’Isola Blu: Villa Fersen, l’Acropoli della bellezza

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