IL RINASCIMENTO ROMAGNOLO

Il Rinascimento romagnolo

Con l’articolo di oggi si conclude il ciclo di uscite che tratta il Rinascimento romagnolo nelle Signorie emiliano-romagnole tra il XV e XVI secolo.

Oggi tratterò l’arte rinascimentale nella Signoria dei Malatesta, signori di Rimini e Cesena e quella della città di Forlì che sebbene fu governata da diverse personalità diede vita ad un’importante scuola pittorica. Nel 1500 finì la reggenza dei Malatesta con la presa dei territori di Romagna da parte di Cesare Borgia, per poi passare sotto lo stato pontificio con la morte di Alessandro VI e la fine del dominio borgiano.

Cesena

La città conobbe sotto i Malatesta una fioritura in molti campi tra i quali quello architettonico e urbanistico, in particolare sotto Domenico Malatesta Novello, che dal 1447 portó un rinnovamento urbano con l’allargamento della cinta muraria, il rafforzamento della Rocca Malatestiana e in particolare di gran rilievo la fondazione della Biblioteca Malatestiana1 progettata dall’architetto Matteo Nuti, costruita nel 1447 e ultimata nel 1454.

Dal 1500 Cesena passò sotto Cesare Borgia, facendo diventare la città capitale del Ducato di Romagna.

Opera

Fig. 1 - Biblioteca Malatestiana (sala del Nuti), 1447-1454, Cesena.

Rimini

La città fu il centro del potere dinastico Malatestiano fino al 1500. Il Rinascimento riminese concise con la durata della reggenza di Sigismondo Pandolfo Malatesta che regnò dal 1432 al 1468. Il signore di Rimini attirò alla sua corte pittori come Piero della Francesca e architetti come Ercole de Roberti. Sebbene Rimini diventò un importante centro artistico non si riuscì a formare nessuna scuola pittorica.

Tra le opere architettoniche erette durate la signoria di Sigismondo vi è Castel Sismondo2 ideata e progettata dallo stesso signore nel 1437, supervisionata poi da Filippo Brunelleschi che nel 1438 fu a Rimini per  un paio di mesi. Altra 0pera molto importante e simbolo della città è il Tempio Malatestiano3. I lavori iniziarono nel 1450 quando venne deciso di trasformare l’antica chiesa romano-gotica di San Francesco in un monumento in linea con la nuova cultura rinascimentale. L’esterno dell’opera venne affidata a Leon Battista Alberti, ma per mancanza di fondi non riuscì a completare la costruzione lasciandola priva della copertura, che nel progetto dell’architetto era una cupola. All’interno del Tempio vi è l’affresco di Piero della Francesca che ritrae Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo4.

Con la fine della signoria di Sigismondo Malatesta non ci furono ulteriori sviluppi artistici.

 

Opere

Fig. 2 - Castel Sismondo, 1437-1446, Rimini.
Fig. 3 - Tempio Malatestiano, 1447 (rifacimento)-1503, Rimini.
Fig. 4 - Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo, 1451, Tempio Malatestiano, Rimini.

Forlì      

Come detto nell'introduzione Forlì subì la reggenza di molteplici personalità. I primi furono gli Ordelaffi che entrarono in guerra contro la chiesa ma nonostante ciò riuscirono a governare la città per quasi due secoli. Con la morte di Sinibaldo degli Ordelaffi nel 1480, Papa Sisto IV diede il governo della città a suo nipote Girolamo Riario e Caterina Sforza che durò fino al 1500, quando la vedova di Riario venne sconfitta da Cesare Borgia nell’assedio di Forlì. Diventato Duca di Romagna il Valentino controllò i territori di Rimini, Cesena e Forlì fino al 1503, quando dopo la morte del padre Papa Alessandro VI, venne messo agli arresti da Papa Giulio II facendo ripristinare per un breve periodo gli Ordelaffi (1503-04). Con la fine della famiglia forlivese i territori di Romagna passarono definitivamente sotto il controllo dello Stato Pontificio.

Nonostante questi cambiamenti di governo a Forlì nacque la scuola forlivese, importante scuola pittorica rinascimentale. Tra i più importanti artisti di questa scuola vi erano Melozzo da Forlì e il suo discepolo Marco Palmezzano.

Il Rinascimento romagnolo: Melozzo da Forlì

Nome d’arte di Melozzo di Giuliano degli Ambrosi nacque a Forlì nel 1438.

Avendo poca documentazione riguardo al pittore forlivese si suppone che la formazione artistica di Melozzo dovesse porsi tra Mantegna e Piero della Francesca. Fece molti viaggi tra Roma e le Marche, ma è nella città pontificia che mise in risalto maggiormente le sue doti di pittore, nominato nel 1475 da Sisto IV Pictor papalis, ovvero pittore ufficiale del Papa. A Forlì sappiamo che verso gli ultimi anni della sua vita iniziò nel 1493 con il suo allievo Marco Palmezzano le decorazioni5 della Cappella Feo nella chiesa di San Biagio a Forlì (distrutte dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale), poi ultimate dall’allievo a causa della morte del Melozzo l’anno seguente.

 

Opere Melozzo da Forlì

Fig. 5a - San Giacomo Maggiore e il miracolo degli uccelli selvatici, 1493-1494, Cappella Feo, Chiesa di San Biagio, Forlì (Lunetta e Cupola).
Fig. 5b - San Giacomo Maggiore e il miracolo degli uccelli selvatici, 1493-1494, Cappella Feo, Chiesa di San Biagio, Forlì (Lunetta e Cupola).

Marco Palmezzano

L’artista nasce a Forlì tra il 1456-59, allievo di Melozzo da Forlì con il quale costituisce il nucleo della scuola forlivese. La sua formazione artistica deriva da quella del maestro infatti nelle sue prime opere si firma come Marchus de Melotius cioè Marco di Melozzo. Il Palmezzano seguì il maestro a Loreto e a Roma per poi tornare a Forlì dove realizzò Madonna con Bambino in trono con San Giovanni Battista, San Pietro, San Domenico e Santa Maria Maddalena6 (1493) e ultimò i lavori della Cappella Feo. Nel 1495 il Melozzo aprì bottega a Venezia per un breve periodo e tornato in Romagna realizzò l’Annunciazione7 per la chiesa del Carmine affermandosi nel territorio per il suo modello di Pala prospettica e per la pittura compatta e lucente. Negli ultimi anni della sua vita realizzò molte opere nella sua città natale.Per l’Abbazia di San Mercuriale a Forlì realizzòImmacolata con il padre eterno in gloria e i Santi Anselmo, Agostino e Stefano8 (1500) e San Giovanni Gualberto in adorazione del crocifisso in presenza di Santa Maria Maddalena9(1502); per il Duomo di Forlì la Comunione degli Apostoli10(1506) e per la chiesa di San Marco a San Varano tra il 1506-1513 viene realizzata la Madonna con Bambino11. Il pittore morì a Forlì nel 1539.

 

Opere Marco Palmezzano

Fig. 6 -Madonna con Bambino in trono con San Giovanni Battista, San Pietro, San Domenico e Santa Maria Maddalena, 1493, Pinacoteca di Brera, Milano.
Fig. 7 - Annunciazione, 1497, Musei Domenicani, Forlì.
Fig. 8 - Immacolata con il padre eterno in gloria e i Santi Anselmo, Agostino e Stefano, 1500, Cappella Ferri, Abbazia San Mercuriale, Forlì.
Fig. 9 - San Giovanni Gualberto in adorazione del crocifisso in presenza di Santa Maria Maddalena, Abbazia San Mercuriale, Forlì.
Fig. 10 - Comunione degli Apostoli, 1506, Duomo, Forlì.
Fig. 11 - Madonna con Bambino, 1506-1513, chiesa di San Marco, San Varano, Forlì.

 

Sitografia

https://www.rimini.com/storia/i-malatesti

https://www.riminiturismo.it/visitatori/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/castelli-e-torri/castel-sismondo

https://www.riminiturismo.it/visitatori/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/chiese/tempio-malatestiano

http://www.roth37.it/COINS/Malatesta/storia.html

http://www.comune.cesena.fc.it/malatestiana/storia


IL SANTUARIO DEL SACRO SPECO DI SUBIACO

IL "NIDO DI RONDINI"

Incastonato nella roccia del Monte Taleo e a strapiombo sulla valle, nel comune di Subiaco, si trova il Santuario del Sacro Speco, luogo di culto della spiritualità benedettina. In questo luogo San Benedetto trascorse un periodo della sua vita, precisamente in una grotta. Il santuario è composto da due chiese sovrapposte, da cappelle, da volte, tutte incastonate nelle pareti irregolari della roccia.

LA CHIESA SUPERIORE

La Chiesa Superiore è stata costruita per ultima, ed è formata da campate irregolari: la prima che si incontra è più alta della seconda e sono separate l'una dall'altra da un arco, al di sopra del quale vi è l'affresco della "Crocifissione". Opera imponente, quest'ultima, il corpo del Cristo è delineato con grande accuratezza e accompagnato da dettagli, il volto di Gesù appare sereno e lo spettatore ne resta coinvolto.

Vi sono altri elementi che raccontano altri episodi: il gruppo delle Pie Donne, i ladroni, la Maddalena. La parete di destra è divisa in tre registri: nel primo sono rappresentati "Il tradimento di Giuda", la "Fuga degli Apostoli" e "La Flagellazione". Nel secondo registro sono rappresentati "Il giudizio di Pilato" e il "Viaggio al Calvario". Sono affreschi ricchi di dettagli, ad esempio ne "Il Giudizio" vediamo rappresentata una città trecentesca con mura merlate alla guelfa, terrazze e loggette. Nel terzo registro è raccontata "La Pentecoste". Allo stesso modo la parete di sinistra è divisa in tre zone, nella parte inferiore è raffigurata "L'entrata in Gerusalemme di Gesù" e le "Marie al Sepolcro", nel secondo registro si trovano "L'incontro di Cristo con la Maddalena" e "L'incredulità di Tommaso". Infine nell'ultimo spazio vi è rappresentata "L'Ascensione, tra Angeli in festa, Maria, i Discepoli e le Pie Donne".

La seconda campata è, probabilmente, il nucleo originario della costruzione, qui gli affreschi avvolgono completamente lo spettatore e sono attribuiti ai pittori della Scuola Umbro-Marchigiana. Nella parete di fondo troviamo un affresco, ormai deteriorato, che rappresenta "San Benedetto in cattedra". Nella parete a sinistra, tre affreschi: “San Benedetto tentato dal diavolo”, “San Benedetto che rotola fra le spine” e “San Benedetto che prega nella grotta”. Nella lunetta, vicino all'ingresso, si vede, a destra, “Il miracolo del veleno” e a sinistra “La guarigione del monaco indemoniato”. Attraverso dei gradini, dalla seconda campata, si accede al transetto, e quindi all'abside, che è interamente scavata nella roccia.

LA CHIESA INFERIORE

L’accesso alla Chiesa Inferiore avviene oggi dal transetto della Chiesa Superiore tramite una scala, a sinistra della quale si trova un affresco di origine bizantina, che raffigura il testo della bolla del 4 Luglio 1202, con cui il papa Innocenzo III concedeva speciali favori ai monaci residenti nello Speco. La prima campata della Chiesa Inferiore è situata vicino alla Scala Santa, posta sulla sinistra di chi si mette di fronte alla Chiesa. Nella parete di fondo sono rappresentati gli episodi de “L’offerta del pane”, “Il pane avvelenato sottratto dal corvo” e “Cristo benedicente tra angeli, con San Benedetto e Santa Scolastica”. Il primo è ambientato in una grotta, dove San Benedetto, seduto, riceve il pane avvelenato, dono del prete Fiorenzo, con grande sconcerto di Mauro e di Placido. Nella lunetta della parete dove si apre la porta del Coro è raccontato il “Miracolo del salvataggio di San Placido”. Viene descritto San Mauro, che inconsapevolmente corre sull'acqua del lago, appena San Benedetto gli fa cenno di salvare San Placido. Ne “Il Miracolo del falcetto” il lago è rappresentato come una bianca macchia rettangolare, dai bordi ondulati: a sinistra vi è il Goto che porge al santo il bastone senza falcetto, a destra San Benedetto immerge nell'acqua il bastone, al quale il falcetto miracolosamente si unisce. La seconda campata della Chiesa Inferiore si trova allo stesso livello della prima campata, all'interno di essa si trova l'accesso alla Grotta della Preghiera. Nella terza campata della Chiesa Inferiore, a sinistra, si trova una grotta nella quale è allestito permanentemente un presepio. Nella parete a destra sono dipinte le storie di San Benedetto: “Il miracolo del vaglio”, “Il viaggio verso la chiesa di Affile” “La vestizione”, “Il ritiro in orazione dentro la grotta”. Nell'ultimo episodio San Benedetto è descritto in preghiera, dentro la grotta immersa in un paesaggio realisticamente rappresentato, del quale sono con accuratezza descritti gli alberi e la campagna circostante.

LA GROTTA DELLA PREGHIERA

La Grotta di San Benedetto, chiamata anche “Grotta della Preghiera”, è il principale  punto di riferimento di tutto il sacro complesso. E’ un anfratto del monte Taleo, dove, come dice san Gregorio Magno nel II libro dei “Dialoghi”, San Benedetto si ritirò a vita eremitica per tre anni, ignoto a tutti, fuorché a Dio e al monaco Romano, che dall'orlo della roccia sovrastante, mediante una lunga corda, mandava al Santo il cibo essenziale per la sopravvivenza. In seguito al tentativo di avvelenamento da parte di Fiorenzo, parroco della chiesa di San Lorenzo, situata sulla riva sinistra dell’Aniene, San Benedetto abbandonò la grotta ed essa rimase per circa seicento anni solo luogo di preghiera. Dopo il 1193 al Sacro Speco si insediò una comunità di dodici monaci, con una propria amministrazione, guidati da un priore dipendente dall'abate di Santa Scolastica, e la roccia in cui la grotta è inserita subì adattamenti e modifiche strutturali, per agevolarne l’accesso e consentire il normale svolgimento della vita monastica. Il papa che, in quel periodo, maggiormente ebbe a cuore l’esperienza benedettina, fino a riformarla, fu Innocenzo III, che andò spesso a Subiaco e valorizzò lo Speco.

LA CAPPELLA DI SAN GREGORIO

La Cappella di San Gregorio è un piccolo ambiente absidato costolonato, e vi si accede dalla Chiesa Inferiore attraverso una scala a chiocciola. A destra della finestra si trova, in un pannello rettangolare, l’affresco che rappresenta San Francesco d’Assisi, che ha in mano una carta, nella quale si legge: PAX HUIC DOMUI. Ai suoi piedi è raffigurato un piccolo monaco, con tonaca rosso cupo, che è, forse, il committente dell’opera. L’opera è anteriore al 1224, anno in cui San Francesco ebbe le stimmate, che qua non appaiono, come non figura l’aureola, ad indicare che il santo, in quel tempo, era ancora vivo.  Un altro affresco,che è posto a sinistra della finestra, rappresenta il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, divenuto poi papa col nome di Gregorio IX, dipinto nell'atto di consacrare la cappella a San Gregorio Magno. Molti riconoscono nella figura che si trova accanto ad Ugolino lo stesso San Francesco, che avrebbe assistito a tale consacrazione. Ugolino è dipinto secondo una formula compositiva, cara al Maestro di frate Francesco, desunta da una matrice culturale bizantina: la curvatura della figura nel rispetto della cornice d’arco.

Il monastero merita di essere visitato,è un gioiello dell'architettura, uno scrigno di tesori artistici ed un luogo suggestivo.

Papa Pio II lo definì il "nido di rondini".

 

sitografia:

https://benedettini-subiaco.org/index.php/monastero-san-benedetto[/vc_column_text][/vc_column]

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IL CONVENTO DOMENICANO DI SORIANO CALABRO

La nascita di un paese: Soriano Calabro e il suo convento

Soriano Calabro è un piccolo paese montano del vibonese che deve la sua fondazione prevalentemente alla realizzazione del Convento domenicano nel 1510. Il Santuario raggiunse il suo massimo splendore tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del secolo XVII, soprattutto grazie alla miracolosa apparizione del Quadro di San Domenico, ritenuta un’opera di origine divina consegnata dalla Madonna ad un frate il 14 settembre 1530. Uno dei maggiori centri di culto domenicano, non solo nel Meridione ma a livello europeo, rimase distrutto nel 1659 durante uno dei terremoti che nei secoli hanno segnato la Calabria. Sui resti dell’antico santuario ne fu edificato un nuovo per volere del Re di Spagna Filippo IV. Lo studio fu affidato al certosino e architetto Padre Bonaventura Presti che basò il progetto sul modello dell’Escorial di Madrid.

Il convento domenicano di Soriano Calabro: descrizione

L’imponente convento si estendeva per una superficie di oltre ventimila metri quadrati, distribuiti in quattro edifici claustrali. La basilica, immensa, culminava in una cupola ottagonale che si innalzava sul transetto raggiungendo un’altezza di oltre cento metri. La navata centrale era a croce latina e ai sui suoi lati si sviluppavano quattro cappelle a destra e quattro a sinistra, comunicanti, ed intervallate da pilastri cruciformi con basi in granito dalla chiusura ad archi e, infine, un'ampia abside. Al presbiterio si accedeva attraverso dei gradini, qui si trovava l’altare maggiore e subito dopo la cappella del santo Gusmano dove era stato collocato il Quadro di San Domenico.

L’interno e la facciata rispecchiavano la maestosità della complessa struttura; le pareti erano finemente decorate da stucchi e rivestite con marmi pregiati sormontate da capitelli, medaglioni con Santi e Beati dell’Ordine, bassorilievi, puttini, statue, pale d’altare,cherubini e da motivi ornamentali tipici del Seicento barocco. Nel 1783 un altro terremoto rase al suolo l’edificio riducendolo al rudere che è oggi.

Una parte è stata recuperata per riedificare la chiesa che custodisce il quadro del santo, inoltre ivi si trova il MuMar, un museo in cui sono custoditi i marmi provenienti dagli scavi effettuati nel rudere, tra cui è presente una testina femminile attribuita al Bernini.

    

 

Bibliografia

https://turismosorianocalabro.org/2014/06/16/i-ruderi-dellantico-convento-di-san-domenico-in-soriano-calabro-tra-storia-e-innovazione/

DOPPIA CORSIA n. 25 (lug-ago 2013) TESTO DI Giovanna Tenuta[/vc_column_text][/vc_column]

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IL CIMITERO MONUMENTALE DI STAGLIENO

I linguaggi stilistici del cimitero monumentale di Staglieno

Tra i cimiteri più importanti d’Europa figura il Cimitero Monumentale di Staglieno per estensione ed opere d’arte, che ne fanno un museo a cielo aperto. Il camposanto, luogo di addio e di incontri, nel caso di Genova, diviene anche manifestazione dello stato sociale e di esaltazione delle virtù delle famiglie borghesi; in un ambiente spesso boschivo, dove prendono corpo figure allegoriche e simboli che richiamano alla vita. L’esigenza di realizzare un cimitero pubblico nasce, come per altre città, tra Sette-Ottocento, con l’esigenza di ovviare alle gravi conseguenze igieniche che comportava la sepoltura nelle chiese e nei luoghi non adeguatamente regolamentati. Sotto la spinta illuminista si cerca di eguagliare tutti di fronte alla morte.

Nel Cimitero Monumentale di Genova, sono molti i monumenti che ricordano personaggi importanti o rappresentativi come Giuseppe Mazzini, Aldo Gastaldi, Fabrizio de Andrè, Mary C. Wilde e recentemente è diventato un laboratorio didattico permanente. In collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design dell’Università di Genova, si è dato avvio ad un progetto che prevede che gli studenti delle scuole di diagnosi, conservazione e restauro di opere lapidee-bronzee possano svolgere corsi teorici e pratici sulle opere presenti nel cimitero monumentale.

Aperto ufficialmente al pubblico il primo gennaio del 1851, il progetto di realizzazione segue in parte il progetto di Carlo Barabino, architetto che da il volto Neoclassico alla Genova ottocentesca e Giovanni Battista Resasco. Considerato un museo a cielo aperto, pur mantenendo un impianto Neoclassico, vede il susseguirsi di stili artistici che coprono due secoli, dal Neoclassicismo al Realismo, fino al Simbolismo, Liberty e Decò. Ciò che caratterizza il complesso monumentale è senza dubbio la scultura che fa da protagonista e diventa testimone delle trasformazioni artistiche.

Di seguito una breve selezione delle sculture-simbolo che caratterizzano alcuni dei linguaggi artistici presenti nel Cimitero Monumentale.

Realismo Borghese

Negli anni 70-80 dell’Ottocento si afferma nel cantiere di Staglieno uno stile realista poi rinominato Realismo Borghese che si esprime con una tecnica che riporta i più minimi dettagli in uno spazio concreto dove con cura e minuzia vengono rappresentati abiti, acconciature ed espressioni di dolore.

Tomba Caterina Campodonico, 1881, dello scultore Lorenzo Orengo

Ancora adesso, un monumento dove sono sempre presenti fiori, esemplifica il tema della morte che eguaglia tutti gli uomini di ogni ceto sociale. Caterina, venditrice ambulante di noccioline, come ricorda l’epigrafe di G.B.Vigo, posta sulla base della scultura, impiegò tutto il denaro guadagnato per farsi erigere ancora in vita il proprio  monumento funebre dallo scultore più richiesto dalla borghesia: Lorenzo Orengo. Descritti minuziosamente, senza alcuna idealizzazione, i merletti e frange della veste, le rughe e lo sguardo duro e fiero di una donna che mostra con orgoglio la propria merce: noccioline e ciambelle.

Simbolismo

Negli anni 80-90 dell’Ottocento lentamente il Realismo e la sicurezza positivista lasciano il posto ad una scultura che raccoglie in se tutte le insicurezze e le incertezze di fine secolo in clima simbolista.

Tomba Oneto, 1882, dello scultore Giulio Monteverde

Giulio Monteverde, in anticipo sui tempi, nel 1882, realizza la tomba Oneto. La fortuna iconografica del suo angelo si diffonde non solo in Europa ma giunge addirittura in America. Quello che rappresenta lo scultore è un angelo androgino, dove traspare nello sguardo e nella compostezza scultorea tutto il dramma del crollo della visione positivista della morte. Non c’è nell’angelo nessun aspetto consolatorio nella visione dell’aldilà, ma solo dubbi e incertezze verso il mistero di quello che ci attende. Un’immagine che perde la connotazione cristiana di guida verso il paradiso per una visione decadente della morte.

Liberty

Tomba Bauer, 1904, scultore Leonardo Bistolfi

Tra gli artisti presenti nel panorama Liberty, sicuramente merita di essere menzionato lo scultore Leonardo Bistolfi, famoso per un linguaggio morbido ed elegante, si dedicò prevalentemente alla scultura funeraria creando opere di netto gusto floreale. La scultura, di cui gli fa sfondo il verde naturale, rappresenta figure femminili pervase di malinconia e sensualità. Prevale il ritmo pacato dei gesti e le linee ondulate dei corpi e delle vesti tipiche del linguaggio liberty. Una scultura che è stata definita come l’immagine della Bella Morte, in cui si intrecciano sensualismo e mistero. L’opera che fu presentata da Bistolfi alla Biennale di Venezia nel 1905, fu accolta con molto favore tanto da dare allo scultore il soprannome di poeta della morte.

 

Nel 2013 molte opere del Cimitero Monumentale sono state restaurate  grazie al contributo dello scultore americano Walter Arnold e alla sua associazione American Friends of Italian Monumental Sculpture (AFIMS) organizzazione no profit. Tale organizzazione, in collaborazione con il Comune di Genova e la Soprintendenza Ligure, ha permesso di portare all’antico splendore 15 monumenti. Tra le opere restaurate ci sono anche quella di Lorenzo Orengo e Leonardo Bistolfi sopra citate.

 

 

 

 

Franco Cambi, Formarsi nel luoghi dell’anima. Itinerari e riflessioni in studi sulla formazione, Firenze, 2016, pag. 155-169

Il Cimitero Monumentale di Staglieno, a cura del Comune di Genova, Servizi Civici Assessorato Valorizzazione e Promozione del Patrimonio Storico Artistico Culturale del Cimitero Monumentale di Staglieno, Barcelona, Electa, 2003

Percorsi d’arte a Staglieno, a cura del Comune di Genova, Servizi Civici Assessorato Valorizzazione e Promozione del Patrimonio Storico Artistico Culturale del Cimitero Monumentale di Staglieno, Genova, Sagep, 2004

 

www.staglieno.comune.genova.it

www.staglieno.com[/vc_column_text][/vc_column]

Tomba Caterina Campodonico, 1881, dello scultore Lorenzo Orengo

 

Tomba Oneto, 1882, dello scultore Giulio Monteverde

Tomba Bauer, 1904, scultore Leonardo Bistolfi

Prima e dopo il restauro sulla Tomba Bauer

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LA CHIESA DI SANTA MARIA VETERANA A TRIGGIANO

“Nel cuore della vecchia Triggiano, nei vasti meandri tufacei del sottosuolo, ove oggi ergesi la bella mole architettonica della chiesa dedicata a Santa Maria Veterana, disimpegnossi nel più fosco Medioevo, il culto cattolico”.

La Chiesa di Santa Maria Veterana, grazie alla sua evoluzione artistica, nel corso dei secoli ha segnato la storia di Triggiano, paese a pochi chilometri da Bari, che a cavallo tra il 1600 e il 1700 divenne un centro artistico molto attivo e molto apprezzato, anche per il nutrito numero di artisti locali che vi operavano (i due fratelli De Filippis, discenti della scuola napoletana, il fiammino Hovic e un non meglio identificato “pittore di Triggiano”).

L’attuale costruzione è stata innalzata nel 1580 su una chiesa medievale preesistente: questa, fondata probabilmente intorno al 1080, per volere di un sacerdote barese, abbracciava il castrum Triviani e presentava la facciata rivolta verso Ovest – esattamente opposta a quella moderna -.

La chiesa infatti, nei vari secoli, ha subìto trasformazioni e ampliamenti conseguenti all’incremento demografico e urbanistico che il paese man mano attraversava, e che la rendevano incapiente alle esigenze liturgiche dettate all’indomani del Concilio di Trento; tra queste trasformazioni possiamo ricordare quella avvenuta tra il 1908 e il 1913 durante la quale, per l’appunto, venne rimossa la facciata dal lato Ovest e trasportata sul lato Est. Qui fu dotata di maggiore decoro artistico, del tutto differente da quello iniziale. Un’altra trasformazione è quella del 1982, grazie alla quale venne recuperato l’ipogeo della chiesa medievale sottostante ed originaria, i suoi affreschi, le tombe e i sepolcreti.

Santa Maria Veterana a Triggiano: descrizione

La descrizione architettonica ed estetica della fabbrica comincia dalla facciata, che si innalza maestosa e tripartita – esattamente come le navate interne – in pietra bianca, chiusa, secondo una lettura verticale, da due paraste ioniche che scaricano il loro peso su due piedistalli.

La parte centrale, ospitante il portale maggiore e corrispondente internamente alla navata centrale, presenta due colonne corinzie che sorreggono un ampio arco a tutto sesto, nel quale trova spazio anche una piccola finestra ogivale ornata a losanghe e poggiata – lieve – sulla cornice dell’architrave del portale. Le due porzioni laterali della facciata ospitano due portali più piccoli; sormontate da ogive dentellate  di piccole dimensioni, presentano due rosoni di dimensioni inferiori rispetto al principale.

Se si volesse seguire una lettura orizzontale della facciata, si noterebbe come essa sia divisa su due livelli: quello inferiore, più quadrato e compatto, in cui sono presenti gli elementi appena descritti, e quello superiore, cuspidato, che accoglie il prezioso rosone ricamato nella pietra con motivi curvilinei.

Risalente nel 1500, con un diametro di ben 3.80 mt, ha “seguito” lo spostamento della facciata. Inscritto in uno spazio quadrato è sormontato, a sua volta, da uno spiovente a timpano riccamente decorato con festoni di alloro che scandiscono perfettamente lo spazio della cornice. Ai lati del corpo quadrato troviamo due lunette a forma di conchiglia che poggiano su una fuga di archetti, tutti a sesto acuto, stretti da pinnacoli che chiudono l’intera struttura.

E’ interessante soffermare l’attenzione e notare come la forma a conchiglia di queste due lunette rimanda, visivamente, alle decorazioni presenti ai lati della finestrella ogivale, di cui prima. Possiamo tracciare, quindi, delle linee diagonali che regolano lo spazio, organizzandolo in maniera geometrica: il rosone centrale è collegato da rette, immaginarie, ai due piccoli laterali, formando insieme un triangolo volto verso l’alto. Di conseguenza le due lunette a conchiglia del registro superiore legano con quelle della finestrella, formando un triangolo volto verso il basso.

Attraversando il portale centrale, l’interno si apre e si mostra con un tipico impianto basilicale, a tre navate e catino absidale sopraelevato.

I pilastri presenti nella navata centrale intervallano le quattro campate e presentano scanalature frontali terminanti con ricchi capitelli che, a coppie simmetriche, rappresentano (dall’ingresso verso il fondo): due allegorie musicali – ad delimitare l’organo e il coro -, la cacciata dal Paradiso e l’Arcangelo a guardia, la vita e la morte, le quattro stagioni e il cielo  e la terra – ai lati dell’arco absidale -. Questi pilastri sorreggono archi a tutto sesto risalenti al 1500.

L’altare maggiore, monumentale, dell’inizio del XX secolo, consacrato al culto della Vergine, è in marmi pregiati in stile bizantino-pugliese, disegnato da Corradini.

Dominato dalla tela raffigurante l’ “Esaltazione della Vergine” di Vitantonio De Filippis (XVII secolo), risente nel modulo compositivo della Controriforma.E’ ripartita in due piani: in alto domina la figura della Vergine, sorretta da un coro di putti e totalmente immersa nella luce, mentre in basso presenziano alla scena (da sinistra a destra) San Sabino, San Vito, San Nicola (in abito episcopale), Sant’Antonio da Padova e San Filippo Neri.

Lungo tutto l’asse longitudinale dell’altare, corrono, una serie di bassorilievi in bronzo simboleggianti la vita della Vergine, dalla nascita all’Assunzione, per mano del Sabatelli.

Lungo le navate laterali, più piccole, si aprono una serie di cappelle volute sul finire del 1500 da associazioni di fedeli per l’esercizio di opere di carità e di pietà. Particolarmente degno di nota è il cosiddetto Cappellone dedicato a Maria SS di Costantinopoli (seconda cappella nella navata di sinistra): articolata su un piano terra e un piano superiore, a cui si accede tramite due scalinate laterali.

Al piano terra, l’altare di inizio 1900 è devoto al Santissimo Sacramento, è in marmo bianco con due angeli ai lati, anch’essi in marmo. Il piano superiore presenta un secondo altare, del 1832 per mano di Pollenza di Napoli, sovrastato da un affresco del 1500 raffigurante la Madonna Odegitria di Costantinopoli ridipinto, purtroppo, per rispondere ai diversi gusti delle epoche attraversate: la Vergine in trono con abito rosso e mantello blu, ha il capo inclinato e sostiene con entrambe le mani il Bambino che, avvolto in un drappo, porta tra le mani un uccellino (probabilmente un cardellino, simbolo della Passione, futuro destino del fanciullo).

In qualsiasi direzione il nostro occhio si posi, l’interno è ricco di tele databili tra il XVI e il XIX secolo, anche se ha perso molto della sua atmosfera rinascimentale, per via delle sovrapposizioni con decori liberty, portate dal restauro del 1908-1913. Come ad esempio quelle del soffitto.

Il soffitto è a tavolato con tele mistilinee, un tempo raccordate tra loro da decorazioni a racemi rocaille, rimosse e perdute durante i restauri. Le tele raffigurano il ciclo pittorico della vita della Vergine Maria: la Presentazione al tempio, Natività, Incoronazione, Sposalizio e I Santi Evangelisti.

La prima tela Presentazione al tempio, Maria in ginocchio sulla gradinata viene ritratta nel momento in cui viene presentata al Sommo Sacerdote da parte dei genitori Sant’Anna e san Gioacchino, mentre all’estrema destra due donne sembrano commentare quello che sta avvenendo. Il tutto inserito in una composizione di angeli e putti.

La Natività invece è una tela tripartita in registri orizzontali e paralleli: dal basso c’è il momento della nascita, al centro San Gioacchino e Sant’Anna, distesa su dei cuscini assistita da ancelle, in alto gli angeli festeggiano l’avvenimento.

Nell’Incoronazione, la tela più grande del ciclo pittorico la Vergine occupa la scena centrale in attesa dell’incoronazione da parte del Padre Eterno e del Figlio, poco al di sopra di lei.

La scena dello Sposalizio è occupata da Maria e San Giuseppe che, uniti in matrimonio, sono benedetti dal sacerdote alle loro spalle. Sul primo gradino si legge R.D Nicolò De Filippis P(inxit) A.D 1746.

I Santi Evangelisti sono racchiusi singolarmente e in maniera plastica, seppur immersi nella luce, in piccole tele triangolari e lobate, accompagnati dai loro simboli: aquila per San Giovanni, leone per San Marco, bue per San Luca, uomo per San Matteo.

L’ultimo apparato, separato dal perimetro chiesastico e collocato dietro l’abside, è la torre campanaria del 1580, che danneggiata dal nubifragio del 1681 è arrivata a noi senza la cuspide piramidale di cui era dotata.

Come detto all’inizio, l’attuale chiesa sorge sulla prima chiesa medievale, riportata alla luce nel 1982 durante i lavori di restauro sul pavimento attuale, dando una forte conferma a quello che sino ad allora si era solo ipotizzato; dedicata alla Madonna della Grazia, fu parzialmente abbattuta cinque secoli dopo la sua costruzione per fare spazio al nuovo tempio più ampio. L’ipotesi di datazione alla metà dell’XI secolo della chiesa è confermata anche da un’iscrizione lapidea ritrovata durante i lavori che ha permesso di risalire a colui che ne volle l’edificazione.

[ MAGISTER ] LEO DIALECTIEUS ATQUE SACERDOS

[ HANC] AD LAUDEM XPI GENETRICIS AMANDE

[D] EDI MAGNI PRECURSORIQUE IOHANNIS

[ BA] SII SACRI SIMUL ET CUM MATREQUE NATIS

[ S.S.] LEONUM CONFESSORUMQUE DUORUM

 

Dettata quindi da Leone, dialettico e sacerdote, molto probabilmente barese.

Oggi, scendendo al piano inferiore della Chiesa Madre, ci si trova immersi in un percorso sotterraneo i cui resti di epoche differenti si mescolano e convivono perfettamente: a sinistra le mura perimetrali cedono il passo alle fondamenta dell’edificio superiore sul lato destro. Dagli elementi architettonici presenti e rimasti fino a noi si capisce come, anche il corpo medievale, era concepito su tre navate, con l’abside posto in corrispondenza della centrale.

Dal sagrato medievale si giunge, attraverso il percorso creato per i visitatori, ad ammirare un pozzo ed una cisterna scavati nel sottosuolo fino ad uno spesso strato di argilla, che, da materiale impermeabile quale è, avrebbe protetto la costruzione da eventuali penetrazioni di acqua.

Il perimetro racchiude ben 19 tombe, alcune ancora integre ed altre solo parzialmente, distrutte in seguito alla costruzione dei pilastri di sostegno dell’attuale costruzione. Con pianta rettangolare e scavate nella roccia sono disposte lungo tutta la navata centrale sino a raggiungere l’abside. Dalle tombe a fossa, presenti al di sotto delle tombe normali, sono state ricavate le camere sepolcrali, costruite a fine 1500 durante la realizzazione della chiesa superiore ed utilizzate come sepolcreti fino al XVIII secolo, quando l’editto di Napoleone sancì il divieto di seppellire i defunti negli edifici sacri. Qui, infatti, fino a quel momento erano sepolti non solo gli appartenenti alle confraternite, ma anche i loro famigliari. Da un’analisi specifica le pareti e le volte dei sepolcreti appaiono molto deteriorati a causa del gas che i corpi in decomposizione hanno emanato nell’arco dei secoli.

Completamente affrescata – ipotesi molto probabile – come anche testimoniano i frammenti a tre strati arrivati sino a noi, nel vano absidale è stato ritrovato un frammento a massello raffigurante il volto, di tre quarti, del Bambino, con incarnato roseo ombreggiato da toni verdastri e capelli lisci, contornato da una forte linea nera.

Sulla parete destra è apprezzabile, seppur mutila, la raffigurazione di San Leonardo, con le sue catene pendenti dal braccio sinistro, accompagnato, sul secondo strato, dalla testa di un animale con fauci aperte (forse un cane o un leone). A questo, su un ulteriore strato sovrapposto, si riconosce la figura di San Vito, con un gonnellino da centurione, gambe calzate e due cani ai suoi piedi: palesemente posteriore all’affresco di San Leonardo, è databile nella seconda metà del XVI secolo. Caratteristica comune ad entrambe è il carattere votivo.

Questa fabbrica d’altronde ci consente di affermare come, in ogni tempo, sia possibile conservare e preservare l’antico e il moderno, il medievale e il rinascimentale, racchiudendo in maniera naturale le sue anime al servizio del culto cristiano.


SANTA MARIA NOVELLA A MARTI

Marti: il paese, la chiesa

La chiesa di Santa Maria Novella si trova a Marti, una frazione del comune di Montopoli, in provincia di Pisa. La storia di questo paese ricalca quella di molti centri abitati toscani, contesi dalle mire espansionistiche di Firenze, a cui anche Marti si arrese nel 1406: il perdurare della condotta filo-pisana da parte dei martigiani comportò lo smantellamento e la distruzione di questo castello, insieme al saccheggio della chiesa che era stata costruita nel 1332.

Dopo questo periodo bellicoso le fonti parlano di un primo restauro di Santa Maria Novella avvenuto nel 1470, per poi essere definitivamente rinnovata nel XVIII secolo, grazie a un programma decorativo che comportò la totale copertura pittorica dell’aula interna, e che rese la chiesa di Marti “uno dei luoghi più affascinanti e riccamente decorati della diocesi di San Miniato”. Esternamente Santa Maria Novella presenta un corpo di fabbrica in stile tardo romanico toscano, coperto da un paramento murario in mattoni: la facciata a capanna mostra una decorazione ad archetti pensili ed è ripartita da due lesene che spartiscono la zona superiore da quella inferiore, in cui si apre il portone centrale affiancato da due portali ciechi (fig.1).

Fig. 1: chiesa di Santa Maria Novella, Marti

Superata la soglia della chiesa ci troviamo immersi in uno spazio scenografico magnifico ed avvolgente (fig.2), catturati dalla sfarzosa decorazione ad affresco della tribuna: questo assetto settecentesco fu promosso dal pievano Giuseppe Panzani, che nel 1719 si rivolse a Antonio Domenico Bamberini (1666-1741) per l’esecuzione del ciclo pittorico nella zona presbiteriale. Allo stesso artista fu commissionata anche la Pala del Rosario (1722), pensata per un altare laterale, raffigurante due santi adoranti in abito religioso (San Domenico e Santa Maria Maddalena dei Pazzi?) e i quindici medaglioni, contenenti i misteri del culto mariano del Rosario (fig.3).

Il Bamberini fu un pittore-frescante molto attivo nel circondario della diocesi sanminiatese, specializzato nella decorazione quadraturista di gusto tardo barocco, un genere pittorico improntato sulla resa illusionistica e prospettica di fondali architettonici, che a Firenze fu ampliamente sviluppato dalla scuola di Jacopo Chiavistelli (1621-1698).  Anche il Bamberini di formazione fiorentina fu indirizzato verso il quadraturismo, facendo suo un repertorio decorativo molto vasto di elementi architettonici che ne accentuassero la resa trompe-l'œil: a Marti il fronte della tribuna imita un tempio nella rappresentazione delle due grandi colonne corinzie che sorreggono il timpano, arricchito da capitelli, cornici e mensole in monocromo, mentre i tre fornici, che ne caratterizzano l’impianto, ricordano la forma di un arco trionfale romano. Due figure muliebri (probabilmente le donne alludono alle virtù teologali della Fede e della Speranza), siedono sull'archivolto centrale a presenziare un cartiglio in cui si legge parte di un’iscrizione che allude alla chiesa come casa di Dio: “Domine, dilexi decorem domus tuae et locum habitationis gloriae tuae”, ovvero “Signore, amo la bellezza della tua casa, il luogo che hai scelto per abitazione della tua gloria”. La parte culminante del frontone termina con una cornice mistilinea in cui è rappresentato in monocromo il Miracolo di San Martino, a imitazione di un rilievo.

Nei tre ambienti voltati della tribuna continua la decorazione ad affresco: nella zona centrale dietro l’altare è rappresentata l’Assunzione della Vergine, mentre nei fornici laterali la pittura riproduce illusionisticamente degli ambienti classicheggianti voltati a lacunari, in cui sono rappresentati trionfanti San Giovanni Battista e Cristo Risorto, accompagnati nelle pareti laterali rispettivamente dagli episodi del Banchetto di Erode e la Cena di Emmaus. Nelle volte e nell'intradosso degli archi la decorazione pittorica riempie ogni spazio con l’imitazione di specchiature marmoree e stucchi, nelle forme di cornici, volute, cartigli e medaglioni (fig.4-5-6).

Fig. 4: Anton Domenico Bamberini, Decorazioni della tribuna, particolari, 1719, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

Nel 1805 il pittore Filippo Lenzi venne incaricato di affrescare i rimanenti spazi della chiesa con partiture architettoniche quali finestre e balaustre, determinando così un vero e proprio horror vacui.

Tra le tele seicentesche che si trovano sugli altari laterali di Santa Maria Novella ricordiamo la commissione della famiglia fiorentina dei Baldovinetti (tenutaria nel Valdarno di diversi possedimenti), raffigurante il Miracolo di San Pietro che risana l’infermo (fig.7), del pittore Matteo Rosselli (1578-1650): la lastra ovale sotto la mensa dell’altare riporta le iniziali dell’artista insieme all'anno di esecuzione (1622). Rispetto allo stile più comunemente adottato dal Rosselli, vicino ai modi del Cigoli, qui la critica ha ravvisato piuttosto l’influenza di Domenico Crespi, detto il Passignano (1559-1638), in linea per la sobrietà cromatica e l’impianto scenico (l’ipotesi è avvalorata dalla conoscenza dei due artisti, come attesta la notizia di un viaggio che Rosselli intraprese al seguito di Passignano). È invece assegnata a Taddeo Baldini (attivo 1642-1677) la Sacra conversazione di Santi adoranti (Santa Caterina d’Alessandria, Giuseppe, Lucia, un santo carmelitano e Sant’Antonio da Padova con le anime del purgatorio in adorazione dello Spirito Santo), vicino nelle forme all'appassionato sentimentalismo di Lorenzo Lippi (1606-1665).

Fig. 7: Matteo Rosselli, San Pietro risana l’infermo, 1622, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

Riveste un importante valore artistico oltre che devozionale il Crocifisso in cartapesta policroma attribuito a Ferdinando Tacca (1619-1686) e arrivato a Marti nel 1673 (fig.8).

Fig. 8: Ferdinando Tacca (?), Crocifisso, seconda metà XVII secolo, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

I committenti della croce sono da rintracciarsi nei componenti della sopracitata famiglia Baldovinetti, di cui Vincenzo di Giovanni in particolare, cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, fu protagonista di una leggenda marinaresca: il racconto tramandato nel borgo riguardava la cattura da parte di Vincenzo del pirata Ciriffo Moro, e il conseguente rinvenimento sulla sua imbarcazione del crocifisso, in seguito donato alla chiesa di Santa Maria Novella. La leggenda si era probabilmente affermata nell'ambito della stessa famiglia Baldovinetti, per incrementare il prestigio sociale della casata tramite il riconoscimento di gesta militari e atti di benevolenza, rimanendo per lungo tempo nella memoria collettiva della comunità.

L’attribuzione dell’opera a Ferdinando Tacca nasce dall'identificazione del modello originario realizzato dal padre, Pietro Tacca (1577-1640), per il crocifisso bronzeo donato al re di Spagna Filippo III nel 1616, oggi conservato nella Sacrestia della Santa Forma all'Escorial (fig.9), e da cui derivano numerose copie in materiali diversi (bronzo, cartapesta e stucco).

Fig. 9: Pietro Tacca, Crocifisso 1615 c., Madrid, Monastero di San Lorenzo de El Escorial, Sagrestia della Sagrada Forma.

Dopo la morte di Pietro Tacca, fedele collaboratore del Giambologna, la bottega fiorentina fu portata avanti dal figlio Ferdinando, a cui probabilmente spetta anche l’esecuzione del Crocifisso di Marti: a livello formale l’opera presenta, rispetto all'esemplare dell’Escorial, alcune caratteristiche più esasperate che la critica ha rintracciato come segni distintivi dello stile di Ferdinando. La scelta di realizzare la figura morente di Cristo in cartapesta rivela la committenza per un contesto devozionale, affinché fosse facilmente trasportabile durante le processioni, insieme ad una compartecipazione emotiva maggiormente intensa da parte dei fedeli, resa grazie a una malleabilità del materiale più consona a esprimere il dolore fisico: la carne lacerata dai chiodi nelle mani ed in particolare nei piedi contrasta  con la flessuosità con cui è plasmato il corpo esile e affusolato di Cristo, di una bellezza struggente. Il restauro avvenuto nel 2001 ha permesso il ripristino di alcuni raffinati quanto delicati particolari, come il fiocco del perizoma (realizzato ad applique-parti eseguite separatamente e aggiunte in seguito alla struttura) e il recupero della policromia originale: in particolare è stata rivalorizzata la presenza di alcune gocce di sangue lumeggiate sulle braccia e le gambe, oltre alla ferita sul costato, che versa rivoli di sangue e acqua. Questo dettaglio è una citazione puntuale di un passo del Vangelo in cui Giovanni rammenta che dopo la morte di Cristo “Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Giovanni 19,34). In una valenza simbolica tale avvenimento attesta tramite il sangue, il sacrificio e il sacramento dell’eucarestia, mentre l’acqua allude allo Spirito e alla rinascita nel battesimo. Anche la croce lignea, che si credeva non originale, ha restituito durante il restauro diverse tracce pittoriche raffiguranti sanguinamenti in concomitanza delle braccia e dei piedi.

Il dipinto che incornicia l’opera venne invece appositamente realizzato nel 1821 dal pittore originario della vicina Cascina, Giuseppe Bacchini (attivo 1806-1845), collocando il crocifisso al centro di quattro Dolenti, Maria, San Giovanni, Maria Maddalena e Maria di Cleofa, quest’ultima menzionata proprio nello stesso Vangelo di Giovanni durante la passione di Gesù (fig.10). La bidimensionalità della pittura d’impostazione neoclassica è qui evidenziata da una resa quasi sagomata delle figure, trattenute in un composto e imperturbabile dolore.

Fig. 10: Giuseppe Bacchini, I dolenti, 1821, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

 

Bibliografia

  1. Bitossi, Scheda n.74 (Matteo Rosselli, San Pietro risana l’infermo), Scheda n.75 (Taddeo Baldini, Pala d’altare con Santi), in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, pp. 170-173.
  2. Campigli, Scheda n.76 (Ferdinando Tacca, Crocifisso), in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, p. 175.
  3. Parri, Scheda n.83 (Giuseppe Bacchini, I dolenti), in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, p. 181.
  4. Boldrini, Il cavaliere, il pirata e il Crocifisso di Marti tra leggenda e devozione, in Restauri nella Pieve di Marti- Il Crocifisso di Ferdinando Tacca e tre ovali dipinti del Seicento fiorentino, a cura di B. Bitossi e M. Campigli, Firenze 2003, pp. 10-26.
  5. Campigli, Sul crocifisso di Marti, in Restauri nella Pieve di Marti- Il Crocifisso di Ferdinando Tacca e tre ovali dipinti del Seicento fiorentino, a cura di B. Bitossi e M. Campigli, Firenze 2003, pp. 27-43.
  6. Granchi, Il restauro del Crocifisso in cartapesta policroma di Marti attribuito a Ferdinando Tacca, in Restauri nella Pieve di Marti- Il Crocifisso di Ferdinando Tacca e tre ovali dipinti del Seicento fiorentino, a cura di B. Bitossi e M. Campigli, Firenze 2003, pp. 46-74.

 

*Le figure n.2-7-10 sono tratte dal volume Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, pp. 167,171,182.


IL RINASCIMENTO NEL DUCATO PARMENSE

Come si evince dal titolo, parlerò degli artisti che hanno giocato un ruolo chiave nel Rinascimento del ducato parmense prima del 1545 . Perché proprio questa data? Fino al 1513 i territori di Parma erano sotto il controllo del ducato di Milano, poi successivamente fu soggetta ad un’alternanza di governi Pontifici e Francesi. Questi ultimi vennero cacciati nel 1521 in seguito all'assedio di Parma da parte dell’esercito papale unito a quello spagnolo, portando la città e i territori limitrofi sotto il controllo della chiesa. Dal 1545 Alessandro Farnese, meglio noto come Papa Paolo III, creò il Ducato di Parma e Piacenza cedendolo al figlio Pier Luigi Farnese. Nel 1556 Ottavio Farnese restituì Piacenza al Ducato di Milano.

Il Rinascimento nel ducato parmense: Alessandro Araldi

Nasce nel 1460 a Parma. Non si sa nulla sulla sua formazione ma si può notare nelle prime opere giovanili l’influenza della scuola forlivese di Melozzo da Forlì, di quella veneta di Mantegna e di quella emiliana di Lorenzo Costa, come si nota nell'affresco del 1496 della Madonna con Bambino1. Dal 1500 l’Araldi lavorò maggiormente presso il monastero di San Paolo, portando a termine nel 1514 la Camera delle grottesche2 dove non mancano i riferimenti alla maniera di Pinturicchio e di Francesco Francia, mentre quella di Leonardo è individuabile nella Pala Centoni3 del 1516 e nello Sposalizio della Vergine4 del 1519 collocati nella Cattedrale di Santa Maria Assunta di Parma.Ricordiamo il Ritratto per Barbara Pallavicino5 del 1510 inizialmente attributo a Piero della Francesca.

Il pittore morì nel 1528 a Parma.

 

Opere Araldi

 

Fig. 1 - Madonna con Bambino, 1496, Duomo di Parma, Parma.
Fig. 2 - Camera delle grottesche, 1514, Monastero San Paolo, Parma.
Fig. 3 - Pala Centoni, 1516, Duomo di Parma, Parma.
Fig. 4 - Sposalizio della Vergine, 1519, Duomo di Parma, Parma.
Fig. 5 - Ritratto di Barbara Pallavicino, 1510, Palazzo degli Uffizi, Firenze.

 

Correggio

Nome d’arte di Antonio Allegri, nacque nell'omonimo paese di Correggio in provincia di Reggio Emilia nel 1489. Sappiamo poco della sua formazione artistica, ma ci è giunto che tra il 1503 e 1505 si trovasse a Modena presso Francesco Bianchi Ferrari da cui apprenderà il linguaggio figurativo di Lorenzo Costa e Francesco Francia, mentre nel 1506 sarà a Mantova dove ebbe modo di studiare gli spazi pittorici di Mantegna e dipingere nella cappella funeraria di Sant'Andrea dedicata al pittore da poco defunto (prima opera giovanile di Correggio). Tornato nella sua città natale nel 1514 realizzò per la chiesa di San Francesco la pala con Madonna e Santi6.

Il pittore emiliano, dopo un viaggio a Roma, ebbe modo di ammirare la maniera di Michelangelo e Raffaello, formulando in seguito un linguaggio che avrebbe influito sulla pittura del Seicento, barocca e classica. Un esempio di questo nuovo stile lo troviamo nel Ritratto di dama7 del 1518-19.

Iniziò così una nuova fase della vita di Correggio. Nel 1519 si trasferì a Parma dove nello stesso anno gli venne commissionata la decorazione della Camera della Badessa8 nel monastero di San Paolo. Questa decorazione portò al pittore un enorme successo, nonché numerose commissioni come la decorazione della Cupola di San Giovanni Evangelista tra il 1520-24 di cui oggi rimane solo la cupola con la Visione di San Giovanni9 e un frammento dell’Incoronazione della Vergine10 dell’abside, ora alla Galleria Nazionale di Parma. Sempre all'interno della chiesa ma nella cappella Del Bono, Correggio dipinse due pale: Martirio di quattro Santi11 e Compianto sul Cristo Morto12.

Dal 1526 al 1530 circa il Correggio passò alla realizzazione della cupola del Duomo di Parma dove venne rappresentata l’Assunzione della Vergine13. Verso la fine degli anni 30 del 500 il pittore portò a compimento due pale d’altare; la Madonna di San Girolamo14per la chiesa di Sant'Antonio e la Madonna della Scodella15 per la chiesa del Santo Sepolcro.

Prima della sua morte il pittore ebbe modo di lavorare nuovamente per Isabella d’Este a Mantova realizzando quattro opere dei cosiddetti Amori di Giove, morendo poi nel 1534 nella sua città natale e venendo sepolto nella chiesa di San Francesco.

 

Opere Correggio

 

Fig. 6 - Madonna di San Francesco, 1514, Gemäldegalerie, Dresda.
Fig. 7 - Ritratto di Donna, 1518-19, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.
Fig. 8a - Camera della Badessa, 1519, monastero di San Paolo, Parma.
Fig. 8b - Camera della Badessa [dettagli], 1519, monastero di San Paolo, Parma.
Fig. 9 - Visione di San Giovanni, 1520-24, chiesa di San Giovanni Evangelista, Parma.
Fig. 10 - Incoronazione della Vergine (frammento), 1520-24, Galleria Nazionale, Parma.
Fig. 11 - Martirio di quattro Santi, 1524, Galleria Nazionale, Parma.
Fig. 12 - Compianto sul Cristo morto, 1524, Galleria Nazionale, Parma.
Fig. 13 - Assunzione della Vergine, 1526-30, Duomo di Parma, Parma.
Fig. 14 - Madonna di San Girolamo, 1528, Galleria Nazionale, Parma.
Fig. 15 - Madonna della Scodella, 1528-30, Galleria Nazionale, Parma.

 

Parmigianino

Nome d’arte di Girolamo Francesco Maria Mazzola, nacque a Parma nel 1503. Soprannominato in tale modo per le origini e l’aspetto fisico minuto. Si formò nella bottega del padre e verrà influenzato da Correggio, Dosso Dossi e dai pittori attivi nel Duomo di Cremona. Ciò che diede il via alla carriera del pittore furono le opere per la chiesa di San Giovanni Evangelista.Nel 1519 dipinse il Battesimo di Cristo16 e affrescò la prima e la seconda cappella della navata sinistra nel 1523 con le raffigurazioni di Sant’Agata e il  Carnefice17, Santa Lucia e Apollonia18 (prima cappella), Santi Stefano e Lorenzo19, San Vitale a Cavallo20(seconda cappella). Altre commissioni avvennero a Fontanellato presso la corte dei Sanvitale nel 1524 e successivamente con la fine della peste partì con lo zio per Roma, dove lavorò per il cardinale Lorenzo Cybo. Nella città eterna avrà modo di legare con Rosso Fiorentino e studiare le opere di Michelangelo, Raffaello e Giulio Romano. Prima di tornare a Parma, il pittore passò quattro anni a Bologna. Col rientro nella città natale datato 1530, l’anno successivo gli venne commissionato l’affresco del presbiterio della Basilica di Santa Maria della Steccata, scegliendo il tema delle vergini sagge e vergini stolte21. Dal rientro a Parma, Parmigianino tronca i rapporti con i famigliari, non sappiamo se dovuto ad uno “scandalo” legato alla pratica dell’alchimia come riportato dal Vasari, oppure alla scoperta della sua omosessualità.

In questo ultimo decennio della sua vita ebbe problemi con la Confraternita della Steccata, subendo poi l’arresto e la carcerazione per due mesi a causa di una mancata restituzione di denaro. Venne poi scarcerato ritirandosi a Casalmaggiore nel 1539. Prima del ritiro portò a termine l’opera più importante del Manierismo italiano ovvero la Madonna dal collo lungo22.

Il pittore morì l’anno successivo, nel 1540 a Casalmaggiore, probabilmente colpito dalla malaria.

 

Opere Parmigianino

 

Fig. 16 - Battesimo di Cristo, 1519, Gemäldegalerie, Berlino.
Fig. 17 - Sant’Agata e il Carnefice, 1523, chiesa di San Giovanni Evangelista, Parma.
Fig. 18 - Santa Lucia e Apollonia, 1523, chiesa di San Giovanni Evangelista, Parma.
Fig. 19 - Santi Stefano e Lorenzo, 1523, chiesa di San Giovanni Evangelista, Parma.
Fig. 20 - San Vitale a Cavallo, 1523, chiesa di San Giovanni Evangelista, Parma.
Fig. 21 - Vergini sagge e vergini stolte, 1531-1539, Basilica di Santa Maria della Steccata, Parma.
Fig. 21a - Vergini sagge e vergini stolte [dettaglio], 1531-1539, Basilica di Santa Maria della Steccata, Parma.
Fig. 22 - Madonna dal collo lungo, 1534, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Bibliografia

Correggio, Elemond Arte, 1992.

Sitografia

http://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-araldi_%28Dizionario-Biografico%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/mazzola-francesco-detto-il-parmigianino_%28Dizionario-Biografico%29/


IL RINASCIMENTO BOLOGNESE DEL XVI SECOLO

A cura di Mirco Guarnieri

L’epoca dei Bentivoglio ormai è passata. Dopo la loro cacciata nel 1506, la famiglia provò a riappropriarsi della città altre volte: nel 1507, nel 1511 dove Annibale II Bentivoglio riuscì - solo per un anno - a riprenderla diventando signore sotto il protettorato dei francesi. Gli altri tentativi furono fatti nel 1513 dopo la morte di Papa Giulio II e l’ultimo nel 1522, entrambi senza successo, lasciando Bologna sotto il potere pontificio per quasi 3 secoli (fine 700). Nel XVI secolo a Bologna vi furono alcuni avvenimenti importanti come l’incoronazione di Carlo V Asburgo nella Basilica di San Petronio nel 1530 e la scelta di Bologna come sede del Concilio di Trento tra il 1547 e 1549 e la Controriforma. Questi ed altri avvenimenti avvenuti in questo secolo furono alla base della pittura dei Carracci, che fu la più importante del Rinascimento bolognese.

Il Rinascimento bolognese: la famiglia dei Carracci

Agostino Carracci

Artista di spicco del panorama del Rinascimento bolognese, nasce nel 1557 a Bologna formandosi nell'ambiente tardo-manieristico frequentando la bottega di Prospero Fontana, successivamente quella di Bartolomeo Passarotti e infine quella dell’architetto incisore Domenico Tebaldi. Negli anni 70 del 500 frequentò lo studio di Cornelis Cort dove avviò l’attività di incisore. Negli anni a seguire assieme al fratello Annibale e il cugino Ludovico diede vita all'Accademia degli Incamminati (1582) e verrà visto come l’intellettuale del gruppo. Compì viaggi di studio a Venezia due volte (1582 e tra il 1587-89) e Parma tra il 1586-87. Nella città lagunare entrò in rapporti con Paolo Veronese e Tintoretto, che apprezzò la grandissima abilità grafica del pittore bolognese (ammirazione nata dopo la visione dell’incisione della Crocifissione1 della Scuola Grande di San Rocco del 1589). Anche se furono poche le incisioni del Carracci (lavorerà per produzioni di traduzione, cioè su lavori altrui) egli diventerà uno dei migliori incisori italiani del suo tempo mettendo a punto una tecnica grafica che divenne un punto di riferimento di quest'arte.

Nel 1584 assieme al fratello Annibale e il cugino Ludovico realizzò gli affreschi delle Storie di Giasone e Medea2 per Palazzo Fava a Bologna, divenendo la prima commissione fatta da tutti e tre i Carracci. Sempre con il fratello e cugino tra il 1590-92 parteciperà ad un’altra commissione per la realizzazione degli affreschi della Storia della fondazione di Roma3 presso Palazzo Magnani, sempre a Bologna.Sempre nell'ultimo decennio del 500 il pittore porterà a termine altre due opere: l’Assunzione della Vergine4 del 1592-93, per la chiesa di San Salvatore e la Comunione di San Girolamo5 datata tra il 1592-97.

Nel 1598 Agostino raggiunse il fratello a Roma, dove lo aiutò alla decorazione della Galleria Farnese, ma vi rimase per soli due anni, sembrerebbe a causa di un litigio avuto con Annibale anche se le ragioni non sono del tutto note. Da Roma si trasferì a Parma dove lavorò per Ranuccio I Farnese alla decorazione della volta della Sala d’Amore di Palazzo del Giardino, dove però dovette abbandonare presto i lavori a causa del peggiorarsi delle sue condizioni di salute.

Agostino Carracci morì di lì a poco nel 1602, e fu sepolto nel duomo di Parma.

 

Opere Agostino Carracci

 

Annibale Carracci

Fratello minore di Agostino, nasce nel 1560 a Bologna. Della sua formazione non ci sono giunte notizie, ma pare che questa sia avvenuta lontana dalla cerchia familiare. Sarà un importantissimo pittore che darà vita ad un nuovo modo di dipingere, riunendo sia gli stilemi del Rinascimento bolognese sia i vari stili dei più illustri pittori del Rinascimento maturo, ponendo assieme a Caravaggio e Rubens le basi per la pittura barocca.

La prima opera del Carracci sarà la pala d’altare raffigurante la Crocifissione e santi6 datata 1583 per la chiesa di San Nicolò a Bologna, dove possiamo notare il rifiuto delle convenzioni tardo manieristiche e un primo tentativo di ritorno al vero. Altre sue opere molto importanti furono i dipinti di genere come la Grande Macelleria7 e il Mangiafagioli8 del 1585.

Annibale ebbe due soggiorni che lo segnarono nella sua evoluzione stilistica. Il primo a Parma dove conoscerà la pittura di Correggio, visibile nell'opera Battesimo di Cristo9 del 1585 per la chiesa di San Gregorio, il secondo a Venezia tra il 1587-88 dove avrà modo di studiare la pittura del Veronese. Come già citato, assieme al fratello e al cugino affrescherà Palazzo Fava e Palazzo Magnani a Bologna tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90 del 500, trasferendo nell'ultimo decennio lo stile di Annibale verso la pittura del Veronese. Ne sono testimoni la Pala di San Giorgio10 e la Resurrezione di Cristo11 del 1593, quest’ultima vista come l’opera di arrivo alla fase matura. Prima di lasciare Bologna Annibale produsse assieme al fratello e al cugino un’ultima decorazione collettiva per il Palazzo Sampieri di Bologna, dando vita all'opera Cristo e la Samaritana12 del 1593-94. L’insieme di questi capolavori conferì al Carracci grande notorietà e ciò lo condusse a Roma a lavorare per il cardinale Odoardo Farnese dandogli il compito di decorare assieme al fratello il piano nobile dell’omonimo palazzo; per il monsignor Tiberio Cerasi presso la cappella di famiglia, realizzò la tela dell’Assunzione della Vergine (1600-01) posta tra la Crocifissione di Pietro e la Conversione di San Paolo di Caravaggio ed infine, per la famiglia Aldobrandini per cui dipinse diverse opere e decorò la cappella privata di palazzo.

Annibale Carracci morirà a Roma nel 1609, venendo sepolto presso il Pantheon vicino alla tomba di Raffaello come da lui richiesto.

 

Opere Annibale Carracci

Ludovico Carracci

Fu il più anziano dei tre Carracci e il meno importante, dando comunque un contributo di ortodossia al Rinascimento bolognese. Nacque a Bologna nel 1555, formandosi come il cugino Agostino presso Prospero Fontana, proponendo una pittura religiosa. Anch'egli ebbe modo di viaggiare, in particolare a Firenze, Parma, Mantova e Venezia. Alcuni esempi di sue opere religiose sono l’Annunciazione13 del 1584, la Pala dei Bargellini14 del 1588, la Conversione di Saulo15 1587-88 e la Madonna degli Scalzi16 datata 1590 presso la cappella Bentivoglio nella chiesa di Santa Maria degli Scalzi a Bologna. Tra le sue realizzazioni da decoratore vi furono le già note Storie di Giasone e Medea a Palazzo Fava (1584) e la Storia della fondazione di Roma a Palazzo Magnani (1590-92) fatte assieme ai cugini Annibale e Agostino. Sempre nello stesso periodo della decorazione di Palazzo Magnani compì le opere della Predicazione del Battista17e il Martirio di Sant’Orsola18 (influenzato dallo stile di Tintoretto e Veronese). Con il nuovo secolo Ludovico fu all'opera presso il Duomo di Piacenza tra il 1607-08, Roma nel 1612 nella chiesa di Sant'Andrea della Valle e Ferrara presso la chiesa di Santa Francesca Romana, presentando una lodevole qualità espressiva e morale.

Morirà a Bologna nel 1619.

 

Opere Ludovico Carracci

 

Bibliografia

G.C.Argan, Storia dell'arte italiana, Sansoni, ristampa 1982.

 

Sitografia

http://www.treccani.it/enciclopedia/annibale-carracci_%28Dizionario-Biografico%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/agostino-carracci_%28Dizionario-Biografico%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/agostino-carracci_(Dizionario-Biografico)/


EDICOLE VOTIVE E DEVOZIONE MARIANA

A cura di Irene Scovero

Madonna regina di Genova

Il centro storico di Genova è disseminato di edicole votive chiamate Madonnette; il cuore antico della città vede manifesta la presenza del sacro attraverso queste forme artistiche di millenaria tradizione.

 

L’esistenza di queste testimonianze espressive portano a scoprire e guardare ammirati antichi tabernacoli contenenti immagini devozionali posti agli angoli dei palazzi. Le origini di questi piccoli capolavori in pietra è antica e risale  al XII secolo con l’affermarsi del culto della Madonna e  quando, in pieno Medioevo, ogni strada doveva avere la propria immagine sacra cui raccomandarsi, cui rivolgere protezione.

Le "Madonnette"

Le Madonnette dovevano proteggere la bottega artigiana, la corporazione o il quartiere. Dal punto di vista urbanistico, questi elementi figurativi hanno assunto una connotazione così forte da cambiare la denominazione della via o della piazza in quello dell’edicola. Ne è un esempio Vico del Rosario, per la presenza dell’edicola dedicata alla Madonna del Rosario o Piazza del Carmine per l’imponente edicola baroccheggiante del XVIII secolo. Vi sono molte tipologie architettoniche che caratterizzano le edicole votive. Si possono trovare delle strutture più classiche a tabernacolo e strutture più fantasiose con motivi fitomorfi con cornici  sapientemente lavorate con forme più articolate. Per il carattere marinaresco di Genova e della Liguria, le edicole erano spesso l’ultima immagine sacra a cui i marinari , prima di imbarcarsi, chiedevano protezione. Infatti, non è raro trovare, soprattutto nei paesi della Riviera, molte cornici delle edicole costellate di conchiglie e concrezioni marine che gli uomini, una volta tornati dai viaggi in mare, donavano all’immagine sacra del tabernacolo.  Il porto, fino all’Ottocento, ne era pieno e le edicole erano state fatte edificare spesso da pescatori, marittimi e camalli.

Purtroppo, essendo state esposte da secoli alle aggressioni degli agenti atmosferici e a fattori inquinanti, molte edicole del centro storico (cui moltissime sono rimaste vuote, perché le scultore all'interno con gli anni sono state rubate) sono state recentemente sottoposte a un sapiente restauro. In occasione del Giubileo dell’anno 2000, la Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia ha promosso il restauro e la salvaguardia di molti di questi beni. Sono state eseguite numerose copie e calchi della statue da mettere in loco al posto degli originali, mentre quest’ultimi sono ora esposti al Museo di San’Agostino.

La devozione in Liguria, da sempre molto sentita, vede in Maria la figura protettrice della città.  Già alla fine del XVI, con la fine della peste, Maria venne investita del ruolo di protettrice civica, una nuova Eva, vincitrice sul demonio e liberatrice dell’uomo dal peccato. La diffusione dell’iconografia mariana trova la sua massima espressione nel Sei-Settecento con la proclamazione di Maria Regina di Genova nel 1637. Il 25 marzo di quell’anno, nella cattedrale di San Lorenzo, il doge di Genova presentò alla statua della Madonna dell’altare maggiore le insegne regali: corona, scettro e chiavi della città. Maria con quell’atto venne designata come sovrana dello Stato. Fu uno stratagemma politico in modo che l’assetto della Repubblica non cambiasse, ma allo stesso tempo fosse alla pari delle altre monarchie europee del tempo. Dal punto di vista iconografico, l’evento fu un momento molto importante e portò all’elaborazione di nuove immagini devozionali e il ruolo di Maria come patrona della città fu riconosciuto attraverso voti, immagini, cerimonie ed iscrizioni. Anche la Zecca provvide a realizzare nuove monete con l’effige della Madonna Regina di Genova che andò a sostituire quella più antica del Castello. Anche per le edicole, i modelli iconografici di queste Madonne barocche vanno ricercati nelle opere pittoriche degli artisti genovesi del tempo come  Domenico Fiasella e Bernardo Strozzi e a botteghe di scultori come gli Orsolino e gli Schiaffino, successivamente saranno un punto di riferimento lo stile scultoreo di Filippo Parodi e Pierre Puget.

 

Moltissime, quindi, le  Madonne raffigurate in quegli anni nelle edicole votive, anche se non manca la presenza dei santi e i protettori della città - san Giovanni Battista, san Giorgio, santa Caterina da Genova. La vergine è rappresentata spesso come Mater Misericordiae, Madonna Immacolata, Madonna Assunta, Madonna del Cardellino, Madonna in gloria.  Il centro storico è testimone di moltissime edicole di epoca barocca che mostrano i cambiamenti iconografici della Vergine come Regina rappresentata con gli attributi del potere regale come lo scettro, la corona e le chiavi della città. Vediamone alcune:

 

Fig.5: Edicola di Palazzo Rosso, XVIII secolo

La Madonna, incoronata come regina, è rappresentata in trono con il bambino in braccio. La statua è contenuta in un tabernacolo marmoreo decorato con frutta e quadrifogli. Sulla cornice della base dell’edicola, sorretta da un cherubino alato è presente la scritta VIRGO VIRGINVM MATER DEI ORA PRO NOBIS.

 

La bellissima edicola che si trova tra Vico Casana e Via D. Chiossone è stata restaurata nel 2003. Evidenzia un ricco repertorio decorativo con elementi di ispirazione vegetale tipici del barocchetto genovese del XVIII secolo. La scultura al suo interno, ora sostituita da una copia, per motivi conservativi si trova all’interno del salone di rappresentanza della sede centrale dell’Istituto Bancario Carige. Spesso identificata come Madonna della città, studi stilistici hanno evidenziato  che tale scultura sia invece antecedente la proclamazione della Madonna Regina di Genova (1637). L’iscrizione scolpita nella base marmorea- SUB TUUM PRESIDIUM- evidenzia una sensibilità già molto diffusa nel sentire la Madonna patrona della propria città, ben prima della proclamazione ufficiale. Le corone che la Vergine e Gesù Bambino recano in capo sono state realizzate nel XIX secolo.

Fig. 8: Edicola Palazzo Millo, XVIII secolo

Quest’opera di notevole pregio si trova nell'area del Porto Antico sul lato mare della Palazzina Millo.  Prima del grande progetto di riconversione del Porto Antico affidato a Renzo Piano nel 1992, cui obiettivo è stato quello di riconnettere il mare con la città, questa zona dell’antico porto era adibita a carico e scarico merci provenienti dalle navi. Per questo motivo l’edicola è soprannominata Madonna dei Camalli (scaricatori del porto). Entro una semplice teca in legno, sorretta da una mensola in marmi policromi, un bassorilievo in marmo bianco rappresenta la Madonna della Città, con scettro in mano , simbolo del potere su Genova, con ai lati  San Giovanni Battista e Sant’Erasmo, protettore dei naviganti e dei pescatori.

Fig. 9: Edicola Palazzo San Giorgio, XVIII secolo

La Madonna dell’Assunta è posta all'interno di una spettacolare edicola marmorea con due angeli ai lati che porgono dei piatti ricolmi  di frutta alla Vergine. Sopra la nicchia che ospita la Madonna, la cui visione è compromessa dalla grata in ferro, due angeli sorreggono una corona dorata. Il monogramma di Maria, inserito in una corolla a raggiera, sovrasta il grande baldacchino dorato lavorato con elementi fitomorfi che chiudono la composizione.

Fig. 10: Edicola Via di Prè, nicchia sotto il muraglione di Palazzo Reale, XVII secolo. Attribuzione della bottega di Orsolino

In origine questa statua di notevoli dimensioni, attribuita alla bottega degli Orsolino, era  situata in porto, a dominare i traffici marittimi. Viene posta in questa nicchia in Via Prè nel 1840 per volere di Carlo Alberto. Sia la Madonna che il bambino erano incoronati e la Vergine impugnava lo scettro del potere. Attualmente la grata in ferro della porta e il vetro antisfondamento, già scheggiato, compromettono la visione della notevole scultura. Il basamento in marmo che sorregge la statua testimonia il trasferimento dell’opera avvenuta nel XIX secolo.

 

Bibliografia

Domenico Fiasella a cura di Piero Donati, Sagep, Genova, 1990

Edicole Votive un percorso nel cuore antico di Genova: progetto di restauro promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova, Microart’s, 2000

Guida d’Italia. Liguria, 7.ed.Milano, Touring Club Italiano, 2009

Il patrimonio artistico di Banca Carige. Sculture, ceramiche, stampe, arredi a cura di Giovanna Rotondi Terminiello, Milano, Silvana Editoriale, 2009

La scultura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova, Fratelli Pagano, 1987

Riccardo Navone, Viaggio nei caruggi: edicole votive, pietre e portali, Genova, F.lli Frilli, 2007[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]


L'ABBAZIA DI FOSSANOVA A PRIVERNO

A cura di Vanessa Viti

Introduzione

Percorrendo il viale acciottolato che precede l'Abbazia si ha l'impressione di essere finiti in un'altra dimensione temporale, infatti la chiesa e gli edifici attorno ad essa danno vita ad un piccolo borgo circondato da mura che sembra essere immune allo scorrere del tempo.  Il complesso abbaziale si trova a Priverno, in provincia di Latina; nel XII secolo i monaci cistercensi bonificarono la zona, crearono un canale (da qui il nome Fossanova) ed innalzarono la chiesa che venne consacrata da Papa Innocenzo III nel 1208. L'abbazia di Fossanova, insieme a quella di Casamari, rappresenta il più antico esempio d'arte gotico-cistercense.

Fig. 1:esterno abbazia di Fossanova

ABBAZIA DI FOSSANOVA: ESTERNO

La chiesa, dedicata alla Vergine Maria e al martire Santo Stefano, riflette perfettamente la severità della regola cistercense, la quale era fondata sul voto, sull'isolamento e sull’Opus Dei. La chiesa appare severa e maestosa, la facciata è semplice ma allo stesso tempo grandiosa, il portale è strombato e formato da un arco a sesto acuto nella cui lunetta si trova un motivo decorativo ripreso dal rosone, mentre nella parte inferiore un mosaico cosmatesco sostituisce un'iscrizione dedicata a Federico Barbarossa. Nella parte superiore della sobria e semplice facciata, al di sopra del portale, trova spazio un grande rosone, ventiquattro colonnine binate, sui cui capitelli si impostano archetti a sesto acuto, funzionano da armatura della vetrata intermessa.

INTERNO

La chiesa, costruita in travertino, ha una pianta a croce latina, è divisa in tre navate coperte da volte a crociera, le quali si incontrano perpendicolarmente con il transetto. La navata centrale è formata da sette campate rettangolari e trova conclusione nel presbiterio che forma un unico corpo insieme all'abside. Al centro del transetto si erge il tiburio sormontato dalla lanterna, mentre nei due bracci laterali vi sono quattro cappelle. Le arcate sono sorrette da massicci pilastri rettangolari ai quali sono addossate delle semi-colonne da cui partono gli archi che si sviluppano verso le navate laterali; delle semi-colonne pensili invece, sorreggono gli archi trasversi della navate centrale. A spezzare il verticalismo delle colonne trova spazio una cornice che corre lungo la navata centrale. L'interno risulta completamente spoglio, nessun tipo di decorazione, nulla distrae l'attenzione dal maestoso silenzio dell'abbazia, il tutto va ad esaltare lo stile gotico-cistercense.

Fig. 2: interno dell'abbazia

CHIOSTRO

Come la tradizione cistercense vuole, il fulcro di tutto l'impianto architettonico è il chiostro, attorno ad esso infatti vi sono tutti gli edifici. Nel chiostro ritroviamo la stessa semplicità di forme della chiesa, se si fa eccezione del lato meridionale che appartiene, indubbiamente ad  una costruzione più tarda. Le arcatelle a tutto sesto nascono da colonnine doppie lisce e le gallerie sono coperte da volte a botte. Ai tre lati di stile romanico si contrappone quello costruito a sud in stile gotico, vi sono infatti, arcate a sesto acuto, colonnine abbinate di forme differenti e particolarmente complesse che però non contrastano con le forme degli altri tre lati, nonostante essi risultino molto semplici.

SALA CAPITOLARE

La sala capitolare è chiaramente in stile gotico, divisa in due navate e coperta da volte a crociera costolonate, è sostenuta da due pilastri cosiddetti fascicolari, perché formati da un fascio di colonnine. Questo luogo riveste un ruolo importante all'interno della vita monastica, è proprio qui che i monaci si riunivano ogni mattina per leggere un capitolo della Regola di San Benedetto.

Fig. 6: sala capitolare

 

REFETTORIO

Il refettorio, dove i monaci si riunivano per il pasto, è l’ambiente più vasto dopo la chiesa, il tetto è sostenuto da cinque archi a sesto acuto; sulla parete destra si trova il pulpito, al quale si accede mediante una scalinata di pietra. In principio vi erano tredici finestre, ora cinque di esse sono murate, dovevano dare grande luminosità alla sala. A ridosso della porta d’ingresso si trova, sulla destra, dalla quale le vivande venivano passate direttamente dalla cucina al refettorio.

L'infermeria si trova in una posizione distaccata rispetto al resto degli ambienti, al secondo piano di essa vi è la cella di San Tommaso, trasformata in cappella, sull'altare trova spazio un bassorilievo che raffigura la morte del santo.

Fig. 7: altare maggiore

SAN TOMMASO

Appare evidente quanto l’Abbazia di Fossanova è legata alla vicenda della morte di San Tommaso d’Aquino, avvenuta il 7 marzo 1274, il Santo si stava recando in Francia per assistere al Concilio di Lione. Fu convocato nei primi mesi dello stesso anno da papa Gregorio X. Il suo viaggio iniziò da Napoli alcuni giorni prima sul dorso di una mula, si era fermato a Maenza per visitare la nipote Francesca, qui, però, aveva iniziato ad accusare una febbre che celermente era divenuta preoccupante. Fu così che San Tommaso, conscio della morte che stava per sopraggiungere, volle farsi portare alla vicina Fossanova per poter trascorrere le ultime sue ore in preghiera e raccoglimento. Secondo la tradizione, egli attese il trapasso come l’uso francescano vuole: disteso sul nudo pavimento. La leggenda, inoltre, narra che nel chiostro siano ancora visibili le impronte lasciate dalla mula che portava il Santo al momento dell'arrivo nell'abbazia.

 

 

Bibliografia:

Storia dell'arte italiana-Electa-Bruno Mondadori

Sitografia:

https://www.goticomania.it/gotico-italiano/abbazia-cistercense-fossanova.html