A cura di Francesca Strada
Introduzione
“Ma è rarissimo in alcune cose, fra gl’altri di Romagna, Marco da Faenza (che così, e non altrimenti è chiamato) per ciò che è pratico oltre modo nelle cose a fresco, fiero, risoluto e terribile, e massimamente nella pratica e maniera di far grottesche, non avendo in ciò oggi pari né chi alla sua perfezzione aggiunga.” È così che Il Vasari nelle Vite descrive Marco Marchetti, meglio noto come Marco da Faenza; si tratta di un genio della grottesca, un genio totalmente incompreso da una critica ottocentesca avversa al Manierismo e non comprensiva nei confronti di un uomo vissuto in un clima di puro terrore. Diversi furono, infatti, i suoi detrattori, i quali lo definirono banale, dimenticandosi delle norme a cui il Marchetti era obbligato ad attenersi per non attirare su di sé l’ira dei prelati. Nel ‘900 il critico d’arte Antonio Corbara scriverà di lui: “il Marchetti riempirà tele e quadroni con un numero enorme di figure inutili e con ciarpame di accessori che snatura completamente l’essenza della scena.”[1] Più recentemente si è affermata una nuova corrente di pensiero condotta da Alessandra Bigi Iotti e Giulio Zavatta, fondatori della rivista Taccuini d’Arte, che relaziona l’operato del Marchetti all’arte nordica e al pittore coevo Perin del Vaga.
Firenze
Marco Marchetti nasce a Faenza intorno al 1528, dove si forma prima di trascorrere un soggiorno a Roma per accrescere le sue competenze ed entrare in contatto con i più illustri pittori del tempo. Di lui poche informazioni ci sono giunte, ma si può affermare con certezza che si trovasse a Firenze nel 1555 per assistere il Vasari nelle decorazioni di Palazzo Vecchio; i registri di pagamento per il quartiere degli Elementi mostrano che Marchetti fosse stato il secondo pittore più pagato del cantiere dopo Cristoforo Gherardi, detto il Doceno, e ciò lascia intuire quanto rispetto e ammirazione provasse per lui il Vasari.
Faenza
Dopo anni di continui spostamenti tra Firenze e Roma, Marco Marchetti torna a Faenza intorno al 1566 per affrescare il sontuoso Voltone della Molinella, all’epoca stanza del Palazzo Comunale, che è oggi un passaggio tra Piazza del Popolo e Piazza Nenni.
Durante la permanenza nella città natia, Marchetti sviluppa la professione di pittore di pale d’altare. Sono del periodo le opere: San Giovanni Battista, il pittore e un devoto; Adorazione dei Pastori. Le due opere sono ora collocate nella pinacoteca di Faenza. Il suo orientamento per l’arte sacra non è frutto di una scelta personale, bensì di una serie di avvenimenti che turbano il mondo dell’arte faentina. Il concilio di Trento condanna aspramente la decorazione a grottesche nei luoghi di culto, precludendo all’artista svariate possibilità; non è difficile credere che ciò abbia spinto il Marchetti verso l’arte sacra, tesi avvalorata dalla crescente richiesta di pale d’altare in Romagna da sostituire con opere precedenti ritenute blasfeme. Si aggiunge a ciò la triste notizia dell’incarcerazione di Giovan Battista Bertucci il giovane per eresia, venne condannato a morte per aver detto al vescovo che Dio non può essere comprato con il denaro dell’indulgenza. Bertucci ebbe salva la vita dopo aver abiurato in piazza e aver scontato 6 anni in prigione. In un clima di terrore in cui ogni artista temeva di perdere il lavoro o di essere incarcerato, la notizia sconvolge Marchetti, il quale si rifugia a Rimini. San Giovanni Battista, il pittore e un devoto
Rimini
Durante la sua permanenza a Rimini all’inizio degli anni ‘70, decora il soffitto di una delle sale di Palazzo Lettimi, al tempo Marcheselli, considerato uno degli edifici più belli del rinascimento riminese, distrutto durante il secondo conflitto mondiale dai bombardamenti. Alcuni dei frammenti di soffitto ci sono pervenuti e sono conservati al Museo Comunale della città, tra essi si trovano 7 delle 11 storie dipinte dal faentino, che narrano le imprese di Scipione l’africano.
A Rimini dipinge anche due pale d’altare: Conversione di San paolo; Andata al Calvario.
La prima viene commissionata per la chiesa di Santa Maria dei Servi ed è un simbolo dell’arte manierista; i colori sgargianti rivestono la moltitudine di figure che circonda Paolo, lasciando la naturalezza in secondo piano.
L’altra pala, Andata al Calvario, dipinta per la chiesa del Suffragio, ci presenta Cristo che sorregge la croce circondato da una nutrita schiera di figure concitate; ad attendere il Salvatore sulla cima del colle c’è lui stesso crocifisso, che già simboleggia ciò che gli accadrà. L’obiettivo dell’artista non è quello di ricreare in maniera realistica la scena, bensì rendere lo spettatore partecipe del pathos che accompagna la salita verso il Calvario.
Il ritorno a Faenza
Dopo il soggiorno a Rimini, Marco Marchetti sente il richiamo della città natia e torna a operare a Faenza, talvolta recandosi a Roma per dei lavori commissionati da Papa Gregorio XIII. Al periodo faentino risalgono le opere: Cristo in casa del fariseo; Annunciazione; Lavanda dei piedi; Martirio di Santa Caterina.
Le prime due opere sono costituite da elementi di stampo raffaellesco accompagnati da un ricercato gusto fiammingo; i colori dovevano essere molto più vividi, ma lo stato di conservazione attuale non ci permette di cogliere l’effetto originario. Cristo in casa del fariseo è un olio su tavola raffigurante la Maddalena nell’atto di lavare i piedi al Salvatore, oggi collocato nella Pinacoteca Comunale di Faenza. L’assenza di realismo che caratterizza l’opera del Marchetti è evidente nei volti di alcuni dei suoi personaggi, come la Madonna dell’Annunciazione; tuttavia, la firma dell’artista è la presenza di un numero spropositato di figure, le quali si contorcono in pose innaturali, rendendo la composizione volutamente disordinata a sottolineare l’estro del suo ideatore. Nell’ultimo periodo della sua vita si concentrerà sugli affreschi della chiesa di San Girolamo dell’Osservanza, andati perduti in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Martirio di Santa Caterina
Una delle opere più importanti di Marco Marchetti è il Martirio di Santa Caterina, quest’opera risale al 1580 ed è conservata nella chiesa di Sant’Antonio a Faenza. Lo stato dell’opera è pessimo e a peggiorare la situazione sono stati dei restauri mal svolti, i quali hanno compromesso i volti delle figure e la nitidezza del colore; tuttavia, è grazie ai disegni preparatori di questa tavola che si è scoperto il modus operandi del pittore. Marchetti lavorava per modelli, che regolarmente mostrava ai committenti per saperne il giudizio. Dell’opera colpiscono i soldati, essi infatti sembrano curarsi più dello spettatore che della Santa, mostrandosi al nostro sguardo in tutta la loro magnificenza.
Note
[1] A. Corbara, Aspetti del tardo manierismo faentino, in “Melozzo da Forlì”, 7, 1939
Bibliografia
Romagna arte e storia, Alessandra Bigi Iotti e Giulio Zavatta
Sitografia
www.museicomunalirimini.it/musei/museo_citta/patrimonio_museo_citta/catalogo_mappa_museo_citta/-medievale_moderno_piano1/pagina28.html
www.treccani.it/enciclopedia/marchetti-marco-detto-marco-da-faenza_(Dizionario-Biografico)/
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