A cura di Fabio d’Ovidio
Storia conservativa del dipinto: passaggi di proprietà, acquisizione e restauro
La tela, dipinta da Orazio Gentileschi (1563-1639) e raffigurante il Sacrificio di Isacco, conservata oggi nella Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola, venne esposta per la prima volta nel 1947 all’interno della mostra intitolata Pittura del Seicento e del Settecento in Liguria. Nel 1956, dopo nemmeno un decennio, venne posto sull’opera il vincolo di interesse storico-artistico eccezionale, e nel 1986, tramite l’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato, il Sacrificio di Isacco venne formalmente acquistato a titolo definitivo.
Questo soggetto di Gentileschi proviene dalla quadreria di Palazzo Cattaneo Adorno, ubicato in via Garibaldi, come viene confermato da una fonte databile al 1847. Prima di quella data, come ricorda l’Instruzione del 1780 di Carlo Giuseppe Ratti il dipinto figurava nella collezione privata di Pietro Gentile, all’interno della quale erano presenti altre tele dello stesso pittore; tuttavia almeno una di queste – secondo le ipotesi della critica – dovrebbe essere ascritta al catalogo di opere dipinte da sua figlia Artemisia. Continuando con la ricerca a ritroso nel tempo di più antichi proprietari, si deve segnalare nel 1678 all’interno della collezione dell’ormai defunto Gian Luca Doria la presenza di un Isacco del Gentileschi, il cui valore stimato non superava le 30 lire.
Nel corso del biennio 1986/1987, subito dopo l’acquisto dell’opera, il Sacrificio di Isacco venne immediatamente sottoposto ad un restauro che gli restituì le dimensioni originarie: in corso di lavori si evidenziarono importanti lacune della pellicola pittorica soprattutto in concomitanza con i bordi della tela – i margini e l’angolo in basso a destra, nello specifico – dove era presente, vicino al corpo di Isacco, la testa di un montone che dopo l’intervento divino sarà sacrificato al posto dell’unico giovane figlio del profeta biblico Abramo. Della rappresentazione della testa di questo animale oggi sopravvivono soltanto due particolari anatomici: l’occhio destro e la punta del muso.
Sul piano esecutivo – data l’assenza di fonti documentarie certe – non si può stabilire con assoluta sicurezza se il dipinto venne eseguito dal pittore durante il suo soggiorno genovese, collocabile storicamente tra il 1621 e il 1624, o arrivò nel capoluogo ligure secondo altre modalità; è inoltre impossibile instaurare in maniera inequivocabile una relazione tra questo soggetto e l’affresco di tema analogo realizzato al centro della volta di una delle due sale dipinte da Orazio Gentileschi dietro committenza di Marcantonio Doria per il casino di famiglia sito nell’attuale quartiere cittadino di Sampierdarena, andato poi distrutto – stando alle fonti storiche – in chiusura di Settecento.
Descrizione iconografica dell’opera
Quando Carlo Giuseppe Ratti descrisse l’affresco di Sampierdarena nel 1768 si soffermò su quanto fossero soavi le proprietà del colorito: proprio queste parole, possono essere reimpiegate – secondo l’opinione di chi scrive – nell’approcciarsi alla descrizione cromatica di questa tela, connotata da una precisissima e calibratissima scelta delle cromie e dal magistrale impiego dei partiti luministici, tipici della lezione di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, del quale Gentileschi era seguace.
Un elemento tipico che costituisce un espediente impiegato spesso anche in altre opere dal maestro – si pensi per esempio al Davide e Golia, conservato a Dublino presso la National Gallery of Ireland, o al ben più famoso Davide con la testa di Golia, presente nella raccolta di dipinti di Galleria Spada a Roma – è la folta vegetazione in secondo piano che si configura come quinta ombrosa dell’intero evento, mettendo in risalto i personaggi raffigurati in primo piano. A concludere l’intera scena è un fondo nuvoloso striato.
La disposizione dei personaggi – l’angelo, Abramo e il figlio Isacco – è inserita entro un asse verticale che occupa l’altezza intera del supporto, dettandone inoltre il ritmo e le modalità di osservazione.
Un altro elemento che colpisce immediatamente l’osservatore ne il Sacrificio di Isacco è il dialogo fisico ed ottico, non verbale (la bocca dell’angelo è chiusa, quella di Abramo nascosta dalla barba) tra i corpi, il cui viluppo delle masse è studiatissimo ed estremamente calibrato: nuovamente è quasi d’obbligo richiamare sotto il profilo compositivo il superbo dipinto di Davide e Golia presente a Dublino, in merito al quale sono state avanzate ipotesi circa una provenienza Genovese. Proprio questo insieme di corpi trova il suo fulcro nel braccio proteso dell’angelo verso Abramo, attraverso cui impone una fine a ciò che fino a pochi istanti prima era ormai un dato certo, ovvero il sacrificio del figlio. Questo gesto è poi rimarcato sul piano “narrativo” dal gioco di sguardi che si instaura tra i due, mentre sotto il profilo cromatico è evidenziato dalle luminosissime pieghe delle maniche arrotolate di Abramo stesso: questi, nella mano sinistra stringe ancora saldamente il coltello con cui avrebbe compiuto il sacrificio del figlio, mentre con la destra, aperta e tesa sulla nuca del ragazzo, la spinge in avanti così da tendergli il collo per riuscire a recidergli la giugulare.
In ultima analisi non resta che considerare proprio chi sarebbe dovuto essere la vittima-protagonista della scena, ovvero Isacco, dipinto dall’artista nell’angolo in basso a destra, seduto sulle sue ginocchia con occhi chiusi quasi rassegnati al suo destino e nella penombra.
Bibliografia
G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura, Genova 1766
G. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in Pittura, Scultura ed Architettura, Genova 1780
Genova nell’Età Barocca, Catalogo della mostra, 1992
Simonetti, G. Zanelli [a cura di], Galleria Nazionale della Liguria, Genova 2002
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