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 A cura di Mery Scalisi

La nascita di Adranòn

Adranòn, definita dallo stesso Plutarco Città Sacra e Città Fortezza, sulle pendici occidentali dell’Etna (Catania), fu fondata da Dionigi I il Vecchio nel 400 a.C.

Essa si presenta cinta da poderose mura ciclopiche (fig.1), realizzate con conci di pietra squadrate e messe in opera con tecnica poligonale, presso il luogo di culto del dio Adranòs, in cui sorgeva un tempio-santuario indigeno.

Fig. 1 – Antica veduta del tratto della cinta muraria di contrada Difesa (J. Houel, fine XVIII secolo). Credits: http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/museoadrano/ita/pagina.aspx?i=64.

Nell’area interna della città dionigiana di Adranòn, alcuni scavi archeologici iniziati nel 1959 restituirono fondazioni di case che dimostrano un assetto urbanistico decisamente avanzato, risalente al periodo dionigiano, in cui le cui abitazioni appaiono dotate di condotte idriche, di sistema di canalizzazione delle acque, vasche da bagno, pavimenti musivi, realizzati in cocciopesto o con tessere policrome, testimoniando, dunque, una civiltà inserita in quella che era la cultura media del periodo (fig.2).

Fig. 2 – Abitato di Adranòn – particolare del sistema di canalette di scarico. Credits: http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/museoadrano/ita/pagina.aspx?i=64.

Dagli studi effettuati dallo stesso archeologo siracusano e sovraintendente nei territori della Calabria e della Sicilia, Paolo Orsi, emerge che con molta probabilità, Adrano, sotto il nome di Adranòn, fu fondata da Dionisio I, detto anche il Vecchio, tra il 404-400 a.C.; qui fece trasferire gli abitanti di Piakos, cittadina indigena, anche se verosimilmente qualche altra popolazione risiedeva da tempo attorno al tempio del dio Adranòs; secondo le intenzioni di Dionisio il centro avrebbe dovuto svolgere funzione prettamente politica, al fine di favorire gli interessi militari ed economici dell’alleata Siracusa.

Il culto del dio Adranòs

Il dio Adranòs (a lungo ritenuto di provenienza orientale) era un’antica divinità sicula vulcanica, che venne associato dagli greci oltre che alla guerra al fuoco, identificandolo con Efesto (nella mitologia greca esso rappresenta il dio del fuoco, della tecnologia, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia), divinità a cui si presume si rivolgessero i siculi che abitavano la città. Sembra, infatti, che Dionisio, fondando la città volle darle il nome di Adranòn, proprio in riferimento alla divinità autoctona Adranòs.

Secondo lo storico tedesco Adolf Holm furono attribuite ad una sola divinità le funzioni simboliche di tutti questi dei; per questo motivo, Adranòs riunì in sé sia il carattere del dio guerra, indicato dalla lancia, che quello del dio del fuoco, tipico di Efesto, divenuto per la popolazione quasi personificazione dello stesso monte Etna dove si trovava il tempio.

All’interno del luogo sacro situato nei pressi del laghetto di Naftia, lago in territorio del comune di Mineo, in contrada Rocca, vi era una statua che raffigurava il dio armato con una lancia. Presso questo tempio accorreva una gran folla di fedeli, provenienti da ogni parte dell’isola; inoltre, l’edificio veniva custodito da una schiera di cani cirnechi, cani da caccia tipici dell’Etna e forse di origine egizia (in associazione alla divinità Anubi (fig.3). Si suppone che tali cani fossero così intelligenti da mostrarsi accoglienti nei confronti di coloro i quali accorrevano al tempio con molti doni e aggressivi e spietati, avventandosi contro quanti si avvicinavano al luogo di culto con cattive intenzioni, fino a sbranarli senza pietà. Risalirebbe a questo aneddoto la nascita dell’espressione siciliana di imprecazione, contro chiunque abbia intenzioni malvagie, ‘’chi ti pozzanu manciari li cani’’ (che ti possano mangiare i cani) (fig.4).

Con l’avvento del Cristianesimo, il culto del dio Adranòs è stato sostituito dagli etnei e dai siciliani con il culto di San Vito, festeggiato il 15 giugno.

Il centro abitato, dopo essere stato chiamato Adranòn, prese il nome di Hadrànumo Adrànum in età romana-latina; in età saracena la sua denominazione passò ad Adarnu o Adarna; nel periodo normanno Adernio e infine in età angioina Adernò.

Fu solo nel 1929, con Regio Decreto del 27 giugno 1929 n.1355, che il centro prese definitivamente il nome attuale, Adrano.

Negli anni, il nucleo urbano si è articolato in una disordinata cinta di isolati che si è allargata a macchia d’olio senza rispettare il piano regolatore disegnato da Roberto Calandra nel 1962.

Nell’attuale centro storico insistono le architetture storiche artistiche ben visibili nel loro insieme dal cosiddetto Torrione normanno, luogo più alto e belvedere della cittadina etnea (fig.5,6,7).

La città di Adrano, con molta probabilità, fu abitata fin dalla preistoria e le sue origini rientrano nel quadro della preistoria etnea, anche se non è da escludere una fase più antica coincidente con la preistoria siciliana

Il Mendolito: l’anonima area archeologica.

A 8 km dal centro di Adrano, venne individuata dall’adranita Salvatore Petronio Russo[1] una città siculo-greca, ubicata nelle contrade del Mendolito, Mendolitello e Sciare Manganelli, unanimemente ritenuta la più importante città sicula della Sicilia.

La sua fondazione risalirebbe con molta probabilità al XI-IX secolo a.C., anche se si suppone sia stata abbandonata in coincidenza con la fondazione di Adrano. La sua nascita si fa corrispondere con la formazione dello stile dell’arte greca che prende il nome di arcaismo e di arcaismo maturo (VII-V a.C.). Il suo abbandono invece si suppone fu dovuto all’arrivo di ulteriore popolazione, che non consentiva la difesa della città; a eventi naturali legati all’Etna, o addirittura alla necessità di dar vita ad un nuovo centro abitato che rispettasse l’organizzazione a scacchiera importata dai coloni greci, ideata da Ippodamo da Mileto, architetto e urbanista della Grecia antica, primo architetto di cui ci sia giunto nome ad utilizzare e teorizzare schemi planimetrici regolari nella pianificazione delle città nel V secolo a.C..

Il sito venne alla luce grazie al già citato Poalo Orsi, che dal 1898 al 1910 lo visitò a più riprese, esplorandolo e indagando sul luogo, arrivando a definirlo nei suoi taccuini da viaggio uno dei massimi centri dell’archeologia indigena della Sicilia.

Del centro abitato sono ancora visibili alcuni tratti della cinta muraria, il più importante dei quali è quello meridionale, realizzato con una doppia schiera di conci in pietra lavica riempiti a secco, nel quale è ricavata una delle porte di accesso alla città, definita Porta Urbica (fig.7). Questa costituisce l’ingresso sud, fiancheggiato da due torri alte 5 metri a forma di ferro di cavallo e rivolte verso il territorio di Centuripe. Dallo stipite orientale di questa porta è possibile individuare un blocco di pietra arenaria, in cui è contenuta un’iscrizione che costituisce il più lungo e importante testo in lingua sicula: un’epigrafe formata da 48 lettere in dialetto siculo-greco, oggi conservata presso il Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa. Si tratta di una scriptio continua graffita, da destra a sinistra, sulla faccia esterna del blocco (fig.8).

Le teorie riguardo la nascita del sito nel corso dei secoli sono state differenti. C’è, infatti, chi come Jenkins, accademico e saggista statunitense, presume che tale anonima città sia l’antica e già citata Piakos; chi, come Bernabò, uno tra i maggiori archeologi del XX secolo, ritiene si possa trattare dell’antica Paline, sede dell’antico culto del dio. Quest’ultima osservazione è stata forse quella più seguita, in quanto il sito del tempio, supposto in diversi luoghi, non è mai stato realmente ritrovato, forse perché inghiottito da qualche colata lavica. Dunque non è da escludere che tale zona sia stata adibita come un tempio a temonos (recinto sacro), costituito da un’area impetrale contenente solamente altari per il rito al dio e priva di un reale apparato architettonico.

 

Note

[1] Salvatore Petronio Russo fu personaggio di spicco nella seconda metà dell’Ottocento, storico, archeologo, poeta e socio di varie Accademia italiane ed estere.

 

Bibliografia

Antonino Bua, Adrano, storia, cultura e tradizioni, Direzione didattica statale I° circolo, s.d.

Pietro Scalisi, ADRANO La storia, Edizioni cinquantacinque, 2009.

Barbaro Conti, I castelli di Paternò, Adrano, Motta S.Anastasia, Stampa Sud-Editrice, 1991.

Giovanni Palazzo e Guido Valdini, Adrano, Kalòs – luoghi di Sicilia, Edizioni Ariete.

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