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A cura di Stefania Melito

Introduzione: il chiostrino del Cimitero

Proseguendo nell’immaginario percorso interno alla Certosa di Padula, dopo aver trattato del Vestibolo delle Campane e della particolarissima tavola del Sacrista, ci si sofferma sugli ambienti attigui ed immediatamente successivi che affacciano sul chiostrino del Cimitero antico.

Il chiostrino del Cimitero Antico

Uscendo dal Vestibolo delle campane ci si immette in un piccolo chiostrino interno della Certosa di Padula, detto chiostrino del Cimitero antico, in quanto era lì che venivano sepolti i monaci prima che lo spazio a disposizione si esaurisse obbligando la comunità monastica a ricercare un nuovo luogo per accogliere i confratelli morti. Tale destinazione d’uso fu in vigore, più o meno, fino alla metà del ‘500.

By Velvet – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20598024.

La questione della sepoltura è stata fin dall’inizio piuttosto spinosa per l’Ordine, in quanto i certosini all’inizio si configuravano come un Ordine piuttosto povero, i cui “avamposti” religiosi erano spesso collocati in luoghi difficili da raggiungere. A questo si aggiungeva il fatto che le Regole dell’Ordine stabilivano che vi fosse un unico cimitero nelle certose, ove dovevano essere sepolti non solo i monaci, ma anche i conversi, i parenti di costoro, e finanche i pellegrini che trovandosi in Certosa per visite devozionali morivano improvvisamente. Si capisce bene che in questo modo spesso si venivano a creare situazioni di “sovraffollamento”, soprattutto in periodi di carestie o pestilenze, che unite al divieto di seppellire insieme monaci e laici obbligavano i conversi a trasportare fuori dai confini dei territori della Certosa i laici morti per poterli seppellire. Visto che i possedimenti delle certose erano piuttosto estesi, al converso non restava altro che affrontare un viaggio anche piuttosto lungo per poter dare degna sepoltura al cadavere. Questa situazione piuttosto difficile fu risolta, dopo accorate suppliche da parte dei monaci della Certosa di Trisulti, nel 1300 da Bonifacio VIII con la Laudabilis vestrae religionis honestas, che permetteva nelle certose la realizzazione di due cimiteri, uno per i monaci e uno per i laici che vi morivano[1]. Come consuetudine dell’Ordine, la sepoltura del monaco avveniva nella nuda terra, con solo una piccola croce di legno sopra senza nome. Il corpo così si decomponeva facilmente, permettendo così il riutilizzo dello stesso spazio per un altro confratello, ai piedi del quale venivano poste le ossa del precedente.

Il piccolo spazio del cimitero antico venne utilizzato come luogo di sepoltura fino a quando fu possibile, ossia come detto fin verso la metà del ‘500, quando al suo posto venne commissionato il cimitero nuovo nel Chiostro grande, la cui committenza si dice fosse affidata a Cosimo Fanzago. In seguito poi, visto anche il suo ruolo di ambiente di raccordo fra la chiesa, il refettorio e le cucine che su di esso affacciano, il cimitero antico fu trasformato nel corso degli ammodernamenti settecenteschi in un semplice chiostro interno: i lavori furono affidati a Domenico Vaccaro, nome di spicco dell’epoca, il che dimostra la floridezza economica che godeva l’Ordine.

Il chiostrino interno oggi consta di un piccolo spazio centrale quadrato diviso in quattro spicchi, con al centro un obelisco sormontato da una croce. Tutt’intorno corre il porticato, formato da grandi archi chiusi in basso da una balaustra decorata e traforata. Gli archi sono intervallati da quattro aperture basse, affiancate da due paraste lisce con capitelli sostituiti da mascheroni e doccioni, che presentano al disopra dell’architrave una nicchia, oggi purtroppo vuota. Le aperture sono una in corrispondenza delle cucine, una in corrispondenza del refettorio e le altre negli altri due lati. Molto particolari sono i motivi che ornano le balaustre, tutti direttamente o meno riconducibili al tema della morte: clessidre, ossa, falci.

La Cappella del Fondatore

In posizione un po’ defilata, quasi alla fine di un piccolo corridoio, detto corridoio dei monaci, che veniva utilizzato dai religiosi per raggiungere la chiesa dalle loro celle e che affaccia sul chiostrino del cimitero, dirimpetto alla Sala del Capitolo vi è la Cappella del Fondatore, dedicata a Tommaso Sanseverino, il fondatore appunto della Certosa. La cappella fu costruita quasi cento anni dopo la morte del Sanseverino, intorno alla metà del XV secolo, e consta di un piccolo vano quadrato di spartana eleganza, che fu poi successivamente arricchito con un altare dal paliotto a scagliola. A destra dell’altare vi è il monumento funebre al Sanseverino.

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Si tratta di una sorta di piccola arca in pietra di Padula minimamente decorata su cui è ritratto Tommaso Sanseverino semisdraiato, in posizione di riposo, vestito con l’armatura e con la spada al suo fianco. Sembra quasi che si sia appoggiato un momento a terra prima di cominciare un’altra battaglia.

Di Velvet – Commons, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42002612.

L’espressione serena, quasi rilassata, e lo sguardo perso lontano ben si accordano all’altorilievo de La Madonna con Bambino che lo sovrasta, opera probabilmente di Domenico Napoletano, scultore e <<plasticatore[2]>> molto attivo nel cantiere di San Lorenzo Maggiore a Napoli, anche se in un primo tempo era stata attribuita a Diego de Siloè[3], scultore catalano cinquecentesco attivo a Burgos e, per un breve periodo, a Napoli e a Maiori. L’altorilievo è inserito in una cornice architettonica con due paraste decorate ai lati. Sulla sommità vi è lo stemma della famiglia Sanseverino, un elmo che sovrasta uno scudo attraversato orizzontalmente da una banda rossa e circondato da giragli fitomorfi.

La Certosa di Padula: il Refettorio

Ritornando nel chiostrino interno e proseguendo verso le cucine si apre lo scenografico ingresso del refettorio, ambiente aggiunto successivamente. Esso era utilizzato prevalentemente nei giorni festivi e durante la Quaresima, quando nell’enorme ambiente i monaci si riunivano per mangiare in rigoroso silenzio, mentre un confratello dall’alto di un pulpito recitava le letture.

Di Velvet – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20597994.

Il pavimento riprende lo stesso schema tridimensionale degli altri ambienti della Certosa di Padula, ma è interrotto al centro da un grande intarsio lapideo, che divide in due la stanza, intorno alla quale corrono gli stalli lignei, ben 61, davanti ai quali erano collocati i tavoli ove mangiavano i religiosi. Ai due lati si aprono due porte, sormontate da una ricca architrave: l’una, quella di sinistra, conduce in un piccolo chiostrino interno, di dimensioni ridotte, che conserva in un angolo un mosaico di piastrelle raffigurante Esculapio e il serpente. Probabilmente proviene da un altro ambiente della Certosa che nel corso dei vari ammodernamenti è andato perduto, ma quello che colpisce è la ripetizione del tema. Infatti già sulla cinquecentesca fontana collocata all’esterno della Certosa, nella corte esterna, è presente il caduceo, ossia il bastone con i due serpenti aggrovigliati intorno, ancora oggi simbolo della medicina, e qui si ritrova una raffigurazione del dio stesso della medicina. Evidentemente il richiamo all’immortalità, o semplicemente alla capacità di guarigione, magari anche in chiave metaforica oltre che fisica, era un tema decorativo abbastanza diffuso, tale da farlo prediligere ad altri soggetti di matrice religiosa.

Di Velvet – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20597936.

L’altra porta dirimpetto a questa conduce al pulpito, ove come detto si recava un confratello durante i giorni festivi o la Quaresima per effettuare le letture a voce alta. Esso, sorretto da un’aquila, presenta una forma rotondeggiante piuttosto morbida, movimentata lungo tutta la superficie; in alto una sorta di cortina marmorea chiude un arco su cui campeggia un angelo sormontato da un architrave.

http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio_member.php?id=97917&sid=97921.

Il refettorio della Certosa di Padula presenta una volta a botte arricchita da stucchi di chiara matrice settecentesca e da cornici, purtroppo oggi vuote, che racchiudevano affreschi e dipinti spogliati durante le razzie napoleoniche. L’unico superstite è il grande olio su muro della parete di fondo raffigurante Le nozze di Canaan, eseguito da Alessio D’Elia, allievo del Solimena, nel 1749, in cui compare la sua firma, costituita dalle sue iniziali intrecciate, in basso a sinistra[4].

Di Velvet – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20598004.

 

 

Note

[1] De Leo P., “L’Ordine certosino e il papato dalla fondazione allo scisma d’Occidente”, Rubbettino 2003, pag. 143.

[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/domenico-napoletano_(Dizionario-Biografico)/

[3] http://www.culturaitalia.it/opencms/it/contenuti/percorsi/percorso139/index.html

[4] https://www.treccani.it/enciclopedia/alessio-d-elia_%28Dizionario-Biografico%29/

 

Bibliografia

De Leo P., “L’Ordine certosino e il papato dalla fondazione allo scisma d’Occidente”, Rubbettino 2003

Allegro, “La Reggia del silenzio”, Roma 1941.

Pica, “La certosa di Padula”, Salerno 1969.

 

Sitografia

Wikimedia Commons

https://www.treccani.it/enciclopedia/alessio-d-elia_%28Dizionario-Biografico%29/

https://www.treccani.it/enciclopedia/domenico-napoletano_(Dizionario-Biografico)/

http://www.culturaitalia.it/opencms/it/contenuti/percorsi/percorso139/index.html

http://www.polomusealecampania.beniculturali.it/index.php/gli-ambienti-padula/35-certosa-di-san-lorenzo-padula-gli-ambienti/160-refettorio-cucine-cantine

http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio_member.php?id=97917&sid=97921

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